
Richard Wagner, il Terzo Reich e uno stuolo di documenti “proibiti”
Cultura generale
Luca Bistolfi
Come opportunamente rileva Ernst Bloch in Soggetto-Oggetto, una delle maggiori opere su Hegel, il filosofo di Stoccarda aveva le sue ottime ragioni per adoperare un linguaggio ritenuto criptico. Cionondimeno, gli studenti d’ogni ordine e grado e persino taluni studiosi tremano al solo pensiero di affrontare quelle pagine tanto ardue da gettare in ambasce persino Jacobi e Schelling. E non c’è saggio, monografia o manuale che entro le prime dieci pagine non si periti sempre di mettere in guardia sulla prosa hegeliana.
Dopo aver preso coraggio e varcato la soglia di quel tempio, subentrano prima la noia e poi l’irritazione per concetti ritenuti astrusi, fiammeggianti, serpentini e intricati, che solo con estrema fatica si capisce dove conducano e talora da dove inizino. Insomma, Hegel gode di grande impopolarità, e ciò nonostante sia uno dei filosofi più citati e commentati della storia del pensiero, tanto da potersi affermare che gran parte della filosofia degli ultimi due secoli, occidentale e non solo, ne sia debitrice: senza contare poi il contributo involontario dato da Hegel a una buona parte del pensiero marxiano.
Dobbiamo pertanto guardare con ammirazione a Jürgen Kaube, del quale Einaudi ha da poco pubblicato Il mondo di Hegel, una biografia materiale e intellettuale di notevolissimo livello, che dirada le nebbie. L’edizione originale ha ricevuto anche un’entusiastica recensione della «Junge Freiheit», il settimanale meno conformista di Germania.
Nella nostra lingua fino ad oggi esistevano solo due biografie, entrambe intitolate Vita di Hegel: il classico ottocentesco dell’allievo e amico Karl Rosenkranz, reperibile oggi, dopo anni di assenza, presso Bompiani e con testo a fronte; e l’altra di Horst Althaus, un vecchio Laterza esaurito da anni. Entrambe però, a dispetto del titolo, si concentrano di più sull’esposizione del pensiero hegeliano, che non sulla ricomposizione di un tutto armonico di vita e opera, come imporrebbe qualsiasi tentativo biografico.
Kaube invece riesce a contemperare con estrema abilità la vita, offrendo anche particolari significativi fino a questo momento sconosciuti o negletti, e il pensiero, al contempo ripulendo Hegel da molti pregiudizi e dalle fumisterie con cui da quel dì lo avvolgono hegeliani, non hegeliani e antihegeliani, talora ancor più incomprensibili di lui.
Con ossessione e anche un po’ di saccenza molti critici (e magari anche qualche lettore) osservano spesso quanto la vita di un letterato o d’un filosofo sia quasi sempre priva di avvenimenti esteriori, tanto da non potersi scrivere alcuna biografia che non risulti insipida. È un’irritante sciocchezza. Sicuramente la vita di Hegel non offre momenti avventurosi, come quella d’uno Spinoza o d’un Giordano Bruno, per tacere di Rimbaud, di Marx, o di Wagner. Ma chi desideri il brivido a tutti i costi, può rivolgersi alla letteratura giallistica o a Salgàri e lasciar perdere la filosofia e l’arte, perché non capirà mai quanto sia possibile ricostruire ed esporre un pensiero solo attraverso la biografia totale, di cui esso fa parte, senza per forza che un’esistenza sia costellata di imprese rocambolesche. E a ogni buon conto della serva, anche una vita di solo pensiero può essere avvincente, come dimostra proprio Kaube, il quale senza artifici immerge il filosofo nel suo tempo tumultuoso, lo segue e insegue e, più di tutto, lo fa vivere, tantoché, nonostante la durezza dei concetti di cui espone essenza e andamento, Il mondo di Hegel sin dalle prime battute accende d’entusiasmo, anche grazie a una assai serrata concatenazione logica biografico-concettuale (per fortuna una logica lineare, non hegeliana).
Ora, non dirò che chi abbia sino a oggi trascurato i Lineamenti di filosofia del diritto o le Lezioni sulla filosofia della religione, dopo la lettura di Kaube si scapicollerà in libreria. Tuttavia non si può mai dire, e in parentesi mi permetto di suggerire al lettore temerario di evitare per il momento quei due titoli, per non parlare della Scienza della logica: inizi meglio dalla Fenomenologia dello spirito o dall’Enciclopedia filosofica, possibilmente nell’edizione Bompiani, tradotte e curate da Vincenzo Cicero, uno studioso molto serio, oppure dalle Lezioni di storia della filosofia, che Mimesis qualche anno fa ha avuto il merito di ripubblicare.
I pregi di Kaube però non possono cancellare le sue omissioni.
Stupisce ad esempio l’assenza totale del succitato Bloch oppure di Jean Wahl, autore di uno splendido La coscienza infelice nella filosofia di Hegel (pubblicato nel lontano 1971 da un Istituto Librario Internazionale e, nemmeno a dirlo, disponibile solo in biblioteca). Anche Jean Hyppolite, tra i più attenti commentatori del filosofo, se la passa male con una sola e fuggevole citazione; e non parliamo di Marx, che un paio di cosette mica male su Hegel pare le abbia scritte e invece si merita solo distratti e discutibili accenni. Ancor più grave, o almeno curioso, è il silenzio su Meister Eckhart e Jakob Böhme, cruciali per intendere la filosofia hegeliana. Così come disturba non trovare alcuna riflessione a Hegel e la tradizione ermetica di Magee (Edizioni Mediterranee): si può e si deve diffidare di certe letture, ma ritengo che questo lavoro avrebbe meritato attenzione, o per smontarne la tesi o almeno per non apparire un accademico un po’ troppo schifiltoso.
«Come ogni scrittore – scrive Kaube nei Ringraziamenti – devo molto anche alle mie letture. Nessuno si orienta da solo nelle opere di Hegel». Ed è forse proprio aver fatto affidamento su certe letture a impedire a Kaube di mettere in conto nella sua opera quei lavori d’obbligo.
A proposito delle letture di Kaube a sostegno della sua esposizione, voglio rilevare ancora un particolare. Ovvero: se pure farsi masticare i libri da altri è un atteggiamento ormai irrimediabile, direi una vera e propria calamità, ritengo che una lettura chiamiamola “allargata” – ma che lo sia davvero – contraddica felicemente all’individualismo e al “titanismo” tipici della nostra epoca e che ha una delle sue radici moderne proprio nell’idealismo. Sono poche le persone che da sole possano raggiungere certe vette: occorre sempre qualche sherpa e le imprese di una certa proporzione sono nella maggioranza dei casi quasi sempre, per non dire sempre, collettive. Con buona pace degli “isolazionisti”. Mettiamola così: Jürgen Kaube è un accademico brillante, ma resta pur sempre legato ai limiti tipici di quell’ambiente, che si mostrano e quasi accentuano nella scelta del campo in cui egli milita.
Egli, infatti, si pone schiettamente sulla scia dell’idealismo hegeliano: una posizione ormai un po’ datata e disfunzionale (oppure funzionale a un peggioramento delle nostre esistenze), ma onesta, per certi versi comprensibile e necessaria quanto meno per comprendere il cervello della classe dominante e di chi a vario titolo e in svariati modi la sostiene.
Trovo pertanto necessario raccomandare, dopo essere saliti con quella sontuosa mongolfiera che adorna opportunamente la sovracoperta del volume nell’empireo impero dell’idealismo hegeliano, di ritornare coi piedi a terra, perché è qui e non lassù che si gioca la partita della vita. È qui e non lassù che la filosofia può e deve avere il suo campo di applicazione.
Luca Bistolfi