06 Settembre 2020

“Una poesia di Seamus Heaney porta il nome del creatore sulla lama e taglia direttamente all’osso”

Seamus Heaney (1939-2013) è tra i grandi poeti degli ultimi decenni. Il Nobel gli è capitato nel 1995, venticinque anni fa, ma la fama lo ha baciato fin da subito, da “Death of a Naturalist”, la raccolta edita da Faber nel 1966. Il rapporto tra Seamus Heaney e l’Italia è celebrato nella sua opera – il legame con Dante, le traduzioni da Virgilio e Pascoli – e sancito nel ‘Meridiano’ Mondadori che ne raccoglie le “Poesie” (2016; a cura di Marco Sonzogni). La Princeton University Press ha da poco pubblicato “On Seamus Heaney”, firmato da R.F. Foster, professore emerito di storia d’Irlanda a Oxford. Ne pubblichiamo alcuni frammenti.

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Quando iniziò a pubblicare poesie, lo pseudonimo scelto da Seamus Heaney fu “Incertus”, cioè “non sicuro di sé”. Sottile ironia. Mentre negli anni successivi continuò a riferirsi a un certo “residuale Incertus” dentro di sé, il suo istinto originario era costituito da certezza della propria direzione letteraria, ambizione potente, formidabile energia poetica. Aveva rispetto nei lettori, di cui aveva ottenuto la fiducia. “Lo status speciale della poesia tra le arti letterarie”, suggerisce in una celebre conferenza, “deriva dalla disponibilità del pubblico a dar credito al poeta e al suo potere di spalancare comunicazioni inedite e inattese tra la nostra natura e la realtà in cui viviamo”. Come T.S. Eliot, presenza costante e obliqua nella sua vita da scrittore, apprezzava “l’immaginazione uditiva” e ciò gli ha concesso una forte “sensibilità per la sillaba e il ritmo, che penetra più in profondità dei livelli del pensiero e del sentire coscienti, e rinvigorisce così ogni parola”. I suoi lettori condividevano.

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I segni esteriori della certezza interiore di Heaney, insieme al suo carisma, allo stile e all’accessibilità, avrebbero potuto suscitare risentimento nei critici relegati al lamento, nei poeti che hanno avuto meno successo di quanto credevano di meritare. Heaney ha superato questo e altri ostacoli grazie alla sua “eloquenza estemporanea”, evitando ogni egotismo: possedeva quella che chiamava, riferendosi a Robert Lowell, “radicata normalità del grande talento”. Allo stesso tempo, non assomigliava a nessun altro, non suonava come altri. Una poesia di Heaney porta il nome del creatore sulla lama e taglia direttamente all’osso.

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La fama gli capitò da giovane, ma quando era necessario Heaney praticava l’elusione, l’evasione, come chi fugge gli abiti di un lavoro comune, come il folle re Sweeney della leggenda irlandese, condannato a vivere la vita di un uccello migratore. Nato in Irlanda del Nord nel 1939, cresciuto tra i nodi, i legami, le allusioni e le repressioni di una società profondamente divisa, ha visto quelle fratture aprirsi alla violenza. Conosceva “il Nord” (come gli abitanti della Repubblica d’Irlanda chiamano le sei contee nord-orientali), ne scrisse, lo sviscerò, lo fece vivere nel “Sud”. Chiamò così la sua raccolta di poesie più celebre, mostrando come si potesse scrivere di quei luoghi. Ma la moderazione che praticava quando parlava di politica, unita alla spettacolare crescita della sua fama, sollevano questioni delicate. Se “Sweeney” fa rima con “Heaney”, famous, famoso, suonava troppo simile a “Seamus”.

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È stato fotografato e dipinto all’infinito, ma il ritratto a olio di Edward McGuire, commissionato dall’Ulster Museum nel 1973 è forse l’immagine esemplare: “il poeta che veglia”, nella descrizione di Heaney, esprime una “raccolta, concentrata, frontale presenza, la capacità di mantenere la tensione”. La bella, possente testa adornata da un intreccio di foglie, suggerisce l’immagine del re-uccello… è un quadro complesso di un poeta la cui complessità si estende ben oltre le poesie – un fascino che non è mai ciò che sembra.

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Le origini di Heaney sono state immortalate nelle poesie e in un ampio archivio di interviste: la piccola fattoria intorno a Derry, il padre che commercia bestiame, la madre molto amata e la zia, che insieme presidiano il mondo domestico; la routine degli animali, i raccolti, la terra; cavalli e carri, candele e lampade a olio, una latrina all’aperto, topi che raspano nella paglia, un mondo già arcaico quando il poeta era ragazzo. (Gli arguti provocatori di Dublino scherzavano su queste poesie che “precedono l’invenzione dell’elettricità”). Ma c’è un’esattezza proustiana in queste evocazioni, nei primi dettagli della vita del poeta, il ricordo infallibile dell’illustrazione su un barattolo, il nome di un macchinario, che nascondono la percezione psicologica propria di un romanziere.

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Sapeva prendersi in giro: durante una visita alla “Tam O’Shanter Experience”, nel luogo di nascita di Robert Burns, gli dissero che un giorno ci sarebbe stata una “Seamus Heaney Experience”. Lui rispose: “Proprio così. Ci saranno alcune zangole e un confessionale”. Heaney ebbe in dono l’intelligenza: passò dalle scuole locali alla vita al St. Columb’s College di Derry dopo aver superato più di undici esami. Lasciò casa a dodici anni, nel 1951, il ricordo restò acuto; poesie e memorie lo celebrano come un momento capitale.

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“Ho iniziato come poeta quando le mie radici s’innestarono sulla lettura”. Al St. Columb’s i suoi compagni di classe includevano il futuro politico John Hume e il brillante Seamus Deane, poeta di talento ma noto in seguito come critico letterario potente e spietato. L’istruzione al College gli fornì una buona base di latino e l’esplorazione della tradizione poetica inglese (la scoperta di Patrick Kavanagh è più tarda). Non rifiutò mai le molte interviste: “Solo rispondendo contribuisci alla creazione di un mito”, diceva. Fu abile nel gestire la fama.

R.F. Foster

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Il Maestro

Dimorava in se stesso
come un corvo in una torre senza tetto.

Per accostarlo dovevo inerpicarmi
a lungo su per bastioni deserti
senza battere ciglio o alzare gli occhi
per cercare degli occhi che scrutassero
dalla sua vedetta di clausura.

Deliberatamente disserrava
il suo libro di reticenze
una pagina alla volta e non era nulla
di arcano, solo vecchie regole
che tutti avevamo iscritto sulle nostre lavagne.
Ogni carattere bloccato sulla pergamena sicuro
nel suo volume e misura.
Ad ogni massima il suo spazio.

Dì il vero. Non temere.
Nozioni durevoli, ostinate,
come martelli di minatori e cunei saggiati
da un intransigente servizio.
Come la pietra della cimasa su cui ci si ristora
nel balsamo della fonte.

Che fragile mi sentivo scendendo
la scala senza ringhiera delle mura,
sentendomi sopra il battito d’ali
del proposito e del rischio.

Seamus Heaney

*In copertina: Edward McGuire, “Seamus Heaney”, 1974

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