“Sono solo, ma non mi lamento”. Julien Gracq, lo scrittore assoluto
Letterature
Silvano Calzini
Memorie lontane è un racconto di velluto. Caldo, gradevole al tatto, soffice ma tutt’altro che leggero. Dietro l’apparenza lieve c’è una solidità profonda innervata di ironia e autenticità. Lo ha scritto Guido Nobili (1850-1916), nome quasi del tutto sconosciuto alle antologie letterarie italiane. Era un avvocato fiorentino acuto, intelligente, ma che non ha lasciato grandi segni di sé. Durante la sua vita ha scritto poco e niente. Qualche articolo, un romanzo (Senza bussola) tutt’altro che memorabile e poi negli ultimi anni di vita questo racconto lungo che non ha neanche pubblicato. Subito dopo la morte parenti e amici lo ritrovarono tra le sue carte e lo inserirono con altri scritti in un volume che passò del tutto inosservato. A scoprirlo fu il critico Pietro Pancrazi nel 1942, che ne capì subito il grande valore e lo fece pubblicare dall’editore Le Monnier. Da allora ogni tanto riaffiora come un fiume carsico e viene riscoperto grazie a nuove edizioni, prima quella di Einaudi e qualche anno fa un’altra di Sellerio.
In buona sostanza Memorie lontane è il ritratto di una famiglia benestante nella Firenze del 1859, data da non trascurare dal momento che i giorni della cosiddetta “insurrezione”, che segnarono il passaggio della città dal Granducato di Toscana al nascente Stato italiano, sono parte importante nel racconto. In questa cornice si inserisce la vicenda di un bambino di nove anni che vive i suoi primi fremiti per una piccola amichetta. Il protagonista non è altri che l’autore stesso che, a distanza di più di cinquant’anni, rievoca quelle emozioni e quegli stati d’animo in un momento decisivo della propria giovinezza. Uno di quei riti di passaggio eterni eppure sempre nuovi e diversi. Il tutto espresso in una magnifica lingua italiana toscaneggiante di un secolo fa, che già da sola varrebbe la lettura.
«Quando vi capita di passare di mezzo a Piazza della Indipendenza, voltate lo sguardo verso tramontana, vedrete quel palazzo, che rimane in linea proprio dietro le spalle di Bettino Ricasoli; quella era casa mia. Son nato lì al primo piano, in quella stanza ultima a destra di chi guarda. Forse un giorno nel davanzale della finestra, sotto quella persiana grigia, sarà messa un’iscrizione a mio onore; l’ho già preparata, per mettere in ogni caso i posteri sulla buona via. L’epigrafe dice così: “Qui nacque un illustre ignoto, che seppe apprezzare per quello che valeva l’uman genere”».
Attenzione! Memorie lontane non è un racconto sdolcinato zeppo di nostalgie caramellose. Al contrario, uno dei tratti distintivi di Nobili è una continua sottile ironia, a dire la verità più inglese che fiorentina. Ma si sa che tra i sudditi di Sua Maestà e la Toscana c’è sempre stato un legame molto forte. La qualità maggiore del racconto sta proprio nell’abilità dell’autore di sfiorare e accarezzare i suoi ricordi senza mai calcare troppo la mano.
Al centro di tutto poi c’è Piazza dell’Indipendenza, il teatro dove si svolgono gli avvenimenti pubblici e quelli privati del racconto. La prospettiva è sempre quella “dal basso”, cioè dagli occhi di un bambino di nove anni che osserva fatti e vive sensazioni in apparenza molto più grandi di lui. Ci sono i giochi dei ragazzi e l’educazione spartana di allora, e tutte quelle piccole grandi cose che scandivano l’esistenza in quella Firenze che oggi ci sembra lontanissima, ma in cui affondano le nostre radici.
«Anche nel piccolo mondo dei fanciulli questi avvenimenti, ormai storici, avevano portato una certa agitazione, e delle consuetudini nuove. Sulla piazza della Indipendenza ogni sera si era cominciato, come cosa nata da sé, un convegno di fanciulli delle migliori famiglie di Firenze».
Un racconto in cui la misura è tutto. Anche il piccolo-grande amore del protagonista è riportato con un tono quasi divertito, che però non fa velo alla sua sincerità, alla sua profondità. La goffaggine comica del bambino, per la prima volta di fronte a un sentimento così grande, non contraddice l’intensità del suo struggimento, destinato a lasciare un segno indelebile in lui. Uno di quei momenti magici che sono degli spartiacque e che fanno dire al protagonista di un bellissimo racconto giovanile di Dostoevskij: “La mia prima infanzia finì in quell’istante”. Certe esperienze, anche se rimangono sopite a lungo, sommerse da tanti fatti che in apparenza sembrano più importanti e urgenti, sono destinate a riaffiorare a distanza di molto tempo più vive che mai in virtù di una forza primigenia che travalica la nostra stessa volontà.
«Mezzo secolo, e più, è passato; una selva di anni si è messa di mezzo fra quei giorni d’amore e di dolore, e l’oggi; ma l’immagine di Filli, chiara, colorita e fulgente, è sempre viva nella mia memoria e nel mio cuore».
La memoria, individuale o collettiva, è importante, ma è materia delicata e va usata con giudizio. Muoversi sul filo dei ricordi è come camminare sul filo, serve una grande capacità di equilibrio per non precipitare nella melassa e nel ridicolo. In questo senso Guido Nobili ci ha lasciato una lezione non da poco con Memorie lontane: una lezione da tenere sempre a portata di mano.
Silvano Calzini
*In copertina: Telemaco Signorini, L’alzaia, 1864