Essere contro la morte non può che significare essere anche contro la morte della letteratura. In Essere una macchina, del 2017, Mark O’Connell scrive: “Una ribellione contro l’esistenza umana come ci è stata data: mi sembra una descrizione accettabile sia di quanto state per leggere, sia di ciò che accomuna le persone che ho conosciuto prima di scriverlo”. O’Connell fa riferimento ai transumanisti e postumanisti statunitensi, a coloro che vogliono vincere la morte tramite la conoscenza tecnologica più avanzata. “La morte, da questo punto di vista, non è più un problema filosofico: è un problema tecnico”. Essere contro la morte equivale a essere contro la condizione umana. Per non essere più mortali il prezzo da pagare è il non essere più umani. Non è dato poter misurare quanto ci si stia avvicinando alla immortalità, maggiori gli indizi che suggeriscono una rodata e progressiva disumanità tutto sommato placidamente accettata, e che si accompagna alla ormai data per assodata morte della letteratura, per cui non si intende che non si pubblichino più libri – mai altra epoca storica ne ha visti stampare così tanti – ma la sua perdita di centralità, di importanza, di senso rispetto alla questione dell’essere umani qui&ora e quindi, tra le altre cose, alla questione dell’essere mortali, di avere un tempo, e un limite.
Nel 2017 Adelphi pubblica Il libro contro la morte di Elias Canetti. Il libro non scritto e registrato dagli Heirs of Elias Canetti nel 2014 raccoglie editorialmente i frammenti datati tra il 1942 e il 1994. Appunta Canetti nel 1942, commentando i fatti bellici del 2022: “Le guerre si fanno per amore della guerra. Finché non si ammetterà questo, non si riuscirà mai a combattere veramente contro le guerre”. Appuntava nel 1943, riferendosi alle fughe in avanti di transumanisti e postumanisti: “Per quanti varrà ancora la pena di vivere, appena non si morirà più”. Ha appuntato nel 1944: “Prima o poi troverò frasi che faranno vergognare Dio al mio cospetto. A quel punto non morirà più nessuno”. Evidentemente le frasi non furono trovate, Elias Canetti è morto nel 1994 e a oggi si continua a morire. Nel 1991 appuntava, desolato: “Il processo del disarmo, che aveva preso l’avvio con grandi speranze tra le potenze che effettivamente contano, è stato sabotato dal libero mercato delle armi”.
Leggendo il libro impossibile di Canetti si ricava la sensazione che essere contro la morte finisca col corrispondere all’essere contro gli umani, i quali per sentirsi tali devono rivendicare per sé il diritto tanto di dare la vita quanto di dare la morte, il quale diritto in sostanza corrisponde: non è dato dare inizio a una vita che non debba necessariamente finire; a meno che le persone conosciute da Mark O’Connell non risolvano il problema tecnico della morte, in barba ai facili scetticismi forse fin troppo ottimistici.
Tra i tanti appunti di Canetti ne ho sottolineato uno del 1960 perché mi ha fatto pensare a Aldo Busi e al suo Seminario sul posmortem, scritto e non pubblicato. L’appunto è: “Uno che ha concluso l’opera della sua vita a trent’anni, e poi vive fino a cento. Ha tempo per conoscere la propria fama, la propria caduta nell’oblio e la propria riscoperta”. All’interno de Il libro contro la morte Canetti ha appuntato sinossi-di-romanzi-tutti-da-smerigliare, non poteva darsi il tempo per sviluppare tutti i soggetti, opzione consentita alla realtà che si scapriccia tentando ogni variazione, e non aveva immaginato potesse avvenire chi avrebbe progettato da sé sia l’irrompere sulla scena sia il ritiro, giocando molto di più con i tempi di rilascio dell’opera e mettendo tutto in conto da prima. Secondo l’idea-di-storia di Canetti per la vicenda da scrittore di Aldo Busi va previsto il rientro, il tornare a vedere l’effetto che fa, ma quella di Canetti era una idea conciliante, non considerava la possibilità che il rientro non ci fosse, che lo scrittore non volesse partecipare all’atto conclusivo della riscoperta. Canetti non arrivò a immaginare che la vendetta più sopraffina di uno scrittore non fosse di non scrivere più ma di scrivere senza però farsi più leggere. Lasciando aperto il desiderio. Avere scritto così tanto e lo stesso far sentire chi lo legge in diritto di chiedersi: “Perché non scrive ancora e ancora e ancora?”. Il capolavoro dello scrittore nell’instillare nei lettori la pretesa di chiedergliene ogni volta un altro, e un altro, e un altro, non aspettandosi mai un di meno. Una tensione aizzata dall’assenza nonostante la larga abbondanza già assicurata. L’attesa continuamente desiderante del libro che verrà.
Come si pone il caso del romanzo scritto e non pubblicato di Aldo Busi rispetto al tema della morte per assassinio della letteratura, omicidio dissimulato con la stampa di mai-così-tanti-libri-prima? Chi sono i lettori ideali di un libro sul postmortem in una civiltà di aspiranti immortali, di individui mancati vale a dire? Per esistere ma per davvero bisogna sapersi rendere distinguibili perlomeno ai propri occhi, dunque darsi uno stile, e uno stile si dà solo all’interno di un limite, autoimposto e prima che ci pensino le condizioni esterne a importi il loro, massificante. Che lettori sono coloro che ambiscono all’eternità solo per poter delegare a soluzioni tecniche le domande su sé stessi che hanno sempre meno voglia di porsi? Figurarsi se ne hanno di darsi delle riposte da sé, e inventive, come quelle che suggerisce la letteratura.
In un mondo letterario o no dove morire non fa più la differenza, siccome la questione del cosa significhi essere vivi o l’esserlo stati è del tutto fuori corso, un Seminario sul postmortem sarebbe contemporaneamente l’opera più fantascientifica e la più preistorica. Felici coloro che la leggeranno, se custodiranno la curiosità di voler sapere cosa c’è dopo di loro, oltre di loro.
Antonio Coda