02 Agosto 2019

Il minotauro siamo noi, perduti nel labirinto emozionale. Su “Fisica della malinconia” di Georgi Gospodinov

Fisica della malinconia di Georgi Gospodinov (edita Voland) è un libro che consiglierei a due tipi umani estremi: ai duri e feroci di cuore e a chi invece ha il cuore come una poltiglia molliccia che assorbe tutto. Georgi Gospodinov ci porta in un viaggio labirintico e magmatico dell’essere umano empatico, a livelli estremi quasi patologici. Il primo brevissimo capitolo ci disorienta: un elenco di dichiarazioni di chi sarebbe l’autore, da individuo di sesso maschile a drosofila che nasce per morire in 24 ore, “io siamo” è la chiusura. E quale riassunto migliore di questo per un empatico? Io siamo: è esattamente così. L’empatico entra in tutte le vite degli altri, senza una libera scelta, ci entra e basta, anche sfinito.

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Gospodinov ci trascina dentro i ricordi del nonno, ci porta per mano alla fiera di paese e “faccia a faccia (o meglio a muso)” col Minotauro, il fenomeno da baraccone della festa. Una bestia bambina che in qualche modo è un uomo e dove “alita in lui una tristezza che nessun animale può possedere”. Il protagonista può entrare nei ricordi degli altri, scoprire le taciute verità e ripercorrere la storia familiare. La narrazione ci confonde, smarriamo gli anni e gli stessi corpi che attraversano il tempo, Gospodinov lo sa e ci gioca molto bene. Il labirinto emozionale di un empatico è inesauribile, si articola su più livelli e uscirne è impossibile. L’empatico è il minotauro: una bestia che ha una malinconia umana, come un essere umano senza essere del tutto umano, qualcuno da tenere rinchiuso, se possibile da abbandonare più in fretta che si può. Il minotauro siamo noi, quelli affetti di sindrome ossessiva empatico-somatica: ci trasferiamo nel corpo e nei ricordi dell’altro senza chiedere permesso, invadiamo il nucleo privato, perdiamo noi stessi perché “il nostro cranio è una grotta”, le immagini della risonanza sono nere: “dentro è buio, un’oscurità accumulata da secoli”.

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Fisica della malinconia è un viaggio lunghissimo dentro agli altri, isterico nel suo susseguirsi di cambi di vita. Gospodinov ci indispettisce, ci sfianca e allo stesso tempo ci fa capire l’altro lato dell’empatico. Oltre alle montagne russe c’è la paura dello schianto, la paura di rimanere bloccati sul fondo melmoso di un lago senza più possibilità di risalita, un labirinto di alghe che soffoca. L’empatico non si può permettere di stringere legami, ha bisogno di una distanza di sicurezza, gli atomi devono avere aria neutra attorno, devono poter restare nel loro sistema isolato per non friggersi.

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All’empatia c’è rimedio però: invecchiare. Un empatico quando invecchia perde la capacità di trasferirsi, è già tanto se “riesco a passare da una stanza all’altra nella casa del mio stesso corpo”. Rimangono quindi i ricordi di quei trasferimenti, una malinconia selvatica e impronunciabile, sorda a ogni richiamo esterno, buia come una cella senza finestre né porte.

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L’empatico esiste solo se viene osservato, se qualcuno gli restituisce la concessione di uno sguardo senza però avvicinarsi troppo, negando il contatto fisico. Solo allora nel suo nucleo protetto può essere sé stesso, guardando e venendo guardato. Semplicemente esistendo. La malinconia è compagna costante, non ha una forma propria ma assume quella del recipiente, la malinconia è un gas e migra, passa dal contatto, è cieca e spietata. State attenti a toccare un empatico, non sottovalutate il contatto.

Clery Celeste

*In copertina: Étienne-Jules Ramey, “Teseo e il Minotauro”, 1826, Parigi, Giardino delle Tuileries

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