20 Febbraio 2023

La stupidità dilaga, la società è fasulla, tutta pilates e marce per la pace: soltanto Gombrowicz ci può salvare…

Leggete Witold Gombrowicz e vi assicuro che riderete parecchio. La raffica di trovate, allusioni e caricature, tutte condite in una salsa agrodolce, sarcastica e pungente, è travolgente, però non è altro che un urlo disperato per difendersi dalla stupidità dilagante. Insomma, siamo dalle parti di Leo Longanesi, «uno che sghignazzava per non piangere», come diceva Montanelli che lo conosceva bene.

Nato in Polonia nel 1904, nel 1939 Gombrowicz si trovò per caso in Argentina proprio mentre i nazisti invadevano il suo Paese e vi rimase per 24 anni. Ritornò in Europa solo nel 1963, ma dal momento che la sua opera in Polonia era proibita preferì stabilirsi in Francia, dove tra l’altro conobbe sua moglie e dove morì all’improvviso nel 1969.

A mio parere Ferdydurke, il suo primo romanzo pubblicato nel 1938, è anche il più significativo. L’origine del libro va ricercata nel clima opprimente che si respirava in Polonia tra le due guerre. L’ossessione di Gombrowicz è l’immaturità dilagante, il regresso della società moderna verso l’infantilismo; per usare le sue stesse parole: «nel mondo moderno, teso verso il progresso, tutta l’umanità si va bambinizzando». Letto con gli occhi di oggi, non c’è che dire, assume un valore profetico. Basta guardarsi in giro.

Ferdydurke ha un inizio che ricorda molto La metamorfosi di Kafka. Il protagonista è un trentenne che una mattina si sveglia e scopre di essere tornato adolescente e si trova catapultato indietro ai tempi della scuola. Gombrowicz si diverte a presentare a getto continuo una serie di personaggi e di facce a dire poco grotteschi. Leggendolo viene naturale il collegamento con Fellini e l’infinita galleria di “mostri” presenti nei suoi film. Dalla scuola il protagonista di Ferdydurke finisce ospite della famiglia Giovanotti, nomen omen, “moderna” e “progressista”, dove impera la padrona di casa, sempre in scarpe da ginnastica, che per dimostrare di essere al passo con i tempi sbandiera di continuo i suoi ideali umanitari e liberali e ha la fissa della forma fisica. Come detto, l’ambientazione del romanzo è quella degli anni Trenta, ma è un ritratto sputato di quel mondo dolciastro, tutto pilates e marce della pace, perennemente ammantato di buone intenzioni, che da anni va per la maggiore nel mondo della nostra “buona”, si fa per dire, borghesia. Alla fine il nostro eroe, rieducato al verbo del conformismo, si incammina verso le masse proletarie, infatuato dalla “bellezza” della vita povera e semplice della servitù, “bellezza” che come è risaputo vedono solo quelli come lui che per loro buona sorte della povertà vera non sanno niente. 

Un romanzo divertentissimo e di grande attualità dunque, ma il surreale fuoco d’artificio continuo di Gombrowicz è molto più di un semplice divertissement. Dietro la facciata ilare nasconde una visione lucidissima delle tragedie a cui sarebbe andata incontro la società europea nel corso del Novecento. Lo scrittore polacco aveva capito che quell’umanità vacua e infantile era fatta apposta per gettarsi tra le braccia di qualsiasi ideologia e di ogni totalitarismo, dal fascismo al comunismo per arrivare fino al nazismo. Il suo sguardo però volava anche più alto, fino ad assurgere a una visione tragica dell’esistenza umana. Il grande male all’origine di tutto sta nell’incapacità dell’uomo moderno di sfuggire ai condizionamenti imposti dalla società e a cui tutti, o quasi, si adeguano in modo conformistico per paura di non essere accettati e di restare tagliati fuori. Una società nella quale la finzione regna sovrana, la stupidità dilaga, gli adulti si atteggiano a giovani e gli individui ormai sono solo delle marionette prive di senso. I personaggi del libro sono moralmente e culturalmente indolenti, irresponsabili; in realtà non hanno convinzioni o sentimenti propri, ma se li costruiscono in base alle convenienze del momento, un po’ come quegli abiti che vengono tirati fuori dall’armadio per essere indossati in determinate circostanze. Il filo conduttore del romanzo è che l’uomo moderno è l’incarnazione dell’immaturità. Gombrowicz definisce questo grande male la “forma”, contro la quale ha lottato per tutta la vita, pur rendendosi tragicamente conto che gli esseri umani hanno ormai abdicato e rinunciato per sempre alla vera libertà.

Per concludere, prima una piccola avvertenza: Ferdydurke, il titolo del romanzo, non significa assolutamente niente. E poi un ultimo consiglio: leggete il libro e poi alla fine fate come dice lo stesso Gombrowicz nella prefazione all’edizione argentina e spargete la voce:

«Forse passerà inosservato, ma sicuramente qualche amico si sentirà obbligato a dirmi una o due frasi di quelle che si dicono sempre quando un autore pubblica un libro. Vorrei chiedere loro di non dire nulla… Sì, tacete, ve lo chiedo per favore… se ci tenete proprio a dire che vi è piaciuto quando mi incontrate muovete semplicemente l’orecchio destro. Se vi toccate quello sinistro capirò che non vi è piaciuto, se vi toccate il naso vorrà dire che il vostro giudizio e così-così. Con un lieve e discreto cenno della mano vi ringrazierò per il riguardo dimostrato nei confronti della mia opera e così, evitando situazioni imbarazzanti e ridicole, ci intenderemo in silenzio. Tanti saluti a tutti».

Gruppo MAGOG