07 Dicembre 2020

“L’amore non è un miracolo. È un’arte”. L’educazione dei sensi e dei sessi secondo Goliarda Sapienza

L’arte della gioia di Goliarda Sapienza (Einaudi) è un libro feroce che parla della vita partendo dalla carne, un libro immerso nel senso del tatto. Goliarda ci racconta la storia di Modesta, una donna che sopravvive a qualsiasi cosa. Modesta dentro di sé ha una furia che la abita, vuole vivere libera. L’arte della gioia è un libro che non vi tiene al riparo, non vi culla e non vi consola. Un libro fondamentale se volete conoscere tutte le sfumature dell’erotismo e della sessualità senza civetterie inutili, senza moralismi e soprattutto senza abbellimenti. Il sesso è un mezzo di conoscenza universale, dall’autoerotismo al rapporto omosessuale, al rapporto eterosessuale. Goliarda Sapienza ha scritto un manuale di libertà erotica, senza filtri e senza sconti. L’erotismo fatto male si paga, come si paga l’inesperienza.

Prima pagina: Modesta ha quattro o cinque anni, ha una sorella maggiore mongoloide che urla e si strappa i capelli ogni volta che la madre si allontana. “Per anni l’avevo sentita urlare così senza badarci, sino al giorno che, stanca di trascinare quel legno, buttata in terra avvertii a sentirla gridare come una dolcezza in tutto il copro. Dolcezza che in seguito si tramutò in brividi di piacere, tanto che piano piano, tutti i giorni cominciai a sperare che mia madre uscisse per poter ascoltare, l’orecchio alla porta dello stanzino, e godere di quegli urli. Quando accadeva, chiudevo gli occhi e immaginavo che si lacerasse la carne, si ferisse. E fu così che seguendo le mie mani spinte dagli urli scoprii, toccandomi là dove esce la pipì, che si provava un godimento più grande che a mangiare il pane fresco”. In questo estratto c’è il seme di tutto il libro. Dal dolore al piacere il passo può essere molto breve, è comunque un salto che si deve fare se si vuole superare il pregiudizio. Le urla disperate e anormali della sorella erano state per anni un sottofondo al quale non prestava più attenzione, poi in modo impercettibile qualcosa è cambiato, l’urlo è comunque un atto di decompressione, liberiamo il suono per toglierci un dolore, l’urlo diventa piacere. E cosa c’è di meglio che immaginare la sorella mongoloide, deforme e sempre riempita di carezze dalla madre che si ferisce da sola, che esterna il dolore non solo nel pianto, la sorella preferita che soffre. Ma il sesso è una cosa sporca, il piacere ha sede dove si urina. E Modesta scopre che toccarsi proprio lì è molto meglio che mangiare pane fresco.

Goliarda Sapienza inizia così il suo libro, col dolore che è strettamente connesso al piacere e col piacere che si trova in un luogo sporco. Questo libro sarebbe da leggere per ricominciare a guardare al sesso per quello che è, uno scambio di fluidi, di sudore, di umori, di odori. Ciò che abbiamo dentro esce, e non sempre è al profumo di roselline. Il sesso come ci hanno abituato a immaginarlo da alcuni decenni con la diffusione del porno è semplicemente utopia. I corpi sono perfetti, scolpiti dagli allenamenti, lisci e privi di segni, il sesso dove gli unici fluidi che vedete sono la saliva e lo sperma sembrano messi lì con il pennello. I pornoattori fanno acrobazie incredibili, orifizi che si aprono a comando. Tutto bellissimo, in una patina ovattata e argentea, non fanno fatica e dallo schermo non sentiamo nemmeno gli odori. Goliarda Sapienza non poteva saperlo ma ci riempie di sberle. L’arte della gioia è un libro che dovremmo leggere tutti, è uno schiaffo. Bisogna tornare all’erotismo quello vero, quello della conoscenza che dal mio corpo poi può andare al tuo. Se io non mi conosco, non posso conoscere l’altro.

Goliarda Sapienza (1924-1996)

Modesta a cinque anni viene violentata dal padre. “Doveva scappare, ma la roccia lentamente si era arrovesciata su di lei e la schiacciava alle tavole del letto grande e il fuoco saliva. Tina gridava, ma nessun piacere le facevano quelle grida. Quell’uomo non la teneva sotto l’ascella, non l’accarezzava come Tuzzu, ma le tirava le gambe e le infilava, nel buco da dove esce la pipì, qualcosa di duro che tagliava. Doveva aver preso il coltello da cucina e la voleva squartare”. L’autrice non ci risparmia proprio niente, le cose stanno esattamente così, non troverete altre parole per descriverlo. Chi ha subito una violenza ve lo può confermare, la sensazione è quella. La roccia e il fuoco che sale, qualcuno che ti opprime da sopra, una lama che non esce più. Ma da questo Modesta continua a vivere, è una furia di vita.

La cura passa per la tenerezza e l’accoglienza, Modesta viene salvata e portata in un convento di suore. La cura però è spesso donna. “E se lei, sentendo che continuavo a tremare per paura che cadessi mi stringeva ancora a sé, il brivido si faceva così forte e lungo che dovevo serrare i denti per non gridare. Purtroppo non mi è più avvenuto così, senza nemmeno toccarmi, come siano a quel momento ero stata costretta a fare”. E qui Goliarda ci mostra l’altro lato dell’erotismo, quello che viene dalla dolcezza. La carne morbida dei seni di un’altra donna, la pelle più liscia, i peli morbidi sono uno specchio in cui poter affondare, in cui potersi conoscere. Ce lo dirà chiaramente più avanti, sarà Carmine a dirlo, il suo amante: “La verità è che quando trovi la donna giusta o l’uomo giusto, allora è di dovere intendersi. Il corpo uno strumento delicato è, più d’una chitarra, e più lo studi e più l’accordi all’altro, più diventa perfetto il suono e forte il piacere. (…) Che credi che sei la prima a passare all’inizio per mani di femmine? Niente c’è di male, figghia”. Goliarda Sapienza fa dire a un uomo adulto e siciliano che non c’è niente di male se la donna con la donna si conosce e si passa tra le mani il piacere. Infatti Modesta eserciterà l’erotismo e l’amore sia verso le donne che verso gli uomini, perché ci sono tenerezze e forme di simbiosi che solo tra le donne possono instaurarsi, e forme di passione che solo l’uomo può dare. Il sesso non sceglie perché l’amore non sceglie, è un fluido che va dove trova un altro fiume in cui gettarsi. “L’amore non è un miracolo, Carlo, è un’arte, un mestiere, un esercizio della mente e dei sensi come un altro. Come suonare uno strumento, ballare, costruire un tavolo”.

La vita di Modesta è impietosa e passa per tutte le tappe, anche per quella dell’abbandono: “Soffrì esattamente come tutti. Ma l’amore non è assoluto e nemmeno eterno, e non c’è solo amore fra uomo e donna, possibilmente consacrato. Si poteva amare un uomo, una donna, un albero e forse anche un asino, come dice Shakespeare. Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore, esattamente come la parola morte”. L’arte della gioia è un libro che svergogna anche le parole, le priva di tutti i moralismi imposti da secoli di dittatura clericale. Modesta apre le porte dei conventi, ciò che resta chiuso nasconde sempre una incoerenza. Questo romanzo riporta le parole al loro originale significato. Modesta è una Eva che ritorna all’albero e parla col serpente, lo sfinisce di domande, lo tira giù dal ramo.

Goliarda Sapienza ha scritto un libro che è una cura, vi spurgherà da tutti i preconcetti e da tutte le resistenze. L’arte della gioia è uno slancio per riflettere su questa condizione immobile in cui siamo, abbiamo un’apparente libertà sessuale, pensiamo di aver raggiunto i traguardi più importanti. Ma dalla storia d’amore tra Modesta e Joyce impariamo che la donna è nemica alla donna e spesso non sta nella diversità il rischio. “Sei passata dalla loro parte, e il vecchio pregiudizio dettato dalla norma delle nostre madri e sorelle, in te si è mutato in odio per il tuo lato donna perché bene o male hai il seno e le mestruazioni, un odio tale da sterilizzare il tuo seno e il tuo ventre. (…) Fino a che individui come te andranno al macello per placare i loro sensi di colpa, la causa sarà persa in partenza. Non ho più nessuna fiducia in te, né in alcun eroe futuro come te”.

Clery Celeste

*In copertina: Egon Schiele, “L’abbraccio”, 1917

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