Volete sapere come funziona la vita? Ecco. Fuori dalla mascella delle Alpi contiamo quanto Napoleone a Sant’Elena. Urliamo al mare, sbraitiamo alle foreste. Ma neppure la meteorologia ci ubbidisce. Stringendo: culturalmente l’Italia conta zero. Non esportiamo i libri che contano. Eventualmente, solo quelli che vendono. Comunque, nella lingua che conta – l’inglese – siamo come un ago nel pagliaio, una tigre nel deserto. Non ci cagano. Non siamo in grado di esportare i migliori prodotti della nostra editoria, al contrario di quanto facciamo, ad esempio, con il cibo. Per una Elena Ferrante e un tot di Roberto Saviano, per dire, non c’è, con equivalente prepotenza, un Massimiliano Parente, un Milo De Angelis, un Alessandro Ceni. Insomma: uno Stato è forte se riesce a fertilizzare il resto del mondo con la propria cultura. Noi siamo a digiuno dal Rinascimento. Tocca cambiare marcia. Chi ci rappresenta globalmente – al di là degli arancini di Montalbano e delle pistolettate di Gomorra e della mafia in salsa Usa – è Umberto Eco. La Paris Review pubblica un estratto da Chronicles of a Liquid Society, che sarebbe il Pepe Satàn Aleppe pubblicato da La nave di Teseo l’anno scorso. Paginone intero. Titolone. On Unread Books. Fa effetto leggere Eco all’inglese (il traduttore è Richard Dixon, l’editore Houghton Mifflin Harcourt, che ha in catalogo pressoché tutti i libri di Eco, questo lo fa pagare 24 dollari). Traduzione di traduzione (cortocircuito verbale che manderebbe in pappa l’Umbertone): “Ricordo, anche se il mio ricordo potrebbe essere fallato, un magnifico articolo di Giorgio Manganelli che spiegava come un lettore raffinato può capire se valga la pena di leggere un libro prima ancora di aprirlo. Non si riferiva alla capacità, spesso in dotazione di un lettore professionista, o di un lettore appassionato e capace, di giudicare dalla prima riga, da due pagine aperte a caso, dall’indice o dalla bibliografia, se un libro valga la pena di essere letto. No, Manganelli stava parlando di una specie di illuminazione, un dono che egli evidentemente e paradossalmente pretendeva di avere”. Verrebbe da pensare cosa ne sappiano gli americani di Giorgio Manganelli. Verrebbe da proporre un volo sulla Grande Mela gettando ai newyorchesi, chessò, Centuria o La letteratura come menzogna. A volte l’impressione è che noi italioti ci vergogniamo della nostra cultura – umanistica, umanissima – scimmiottando l’american way of life. Vogliamo fa’ gli americani. E gli americani si fanno quattro risate. Detto ciò. La Paris Review, che è la rivista più fighetta d’oltreoceano, nel 2008 dedicò una delle sue fatidiche interviste (intervistava Lila Azam Zanganeh) proprio a Eco (vedete qui). Insomma, dalla cultura Italiana, in America arriva appena un eco. Eco. Ecco.