Mi chiamo Giuseppe Berto. Ho 58 anni e da trent’anni circa faccio lo scrittore. Sono un isolato. La critica – quando dico critica non intendo soltanto la schiera di coloro che recensiscono libri per mestiere, includo anche i vari gruppi di potere intellettuale – da principio mi definì un dilettante. Poi, siccome mi ostinavo a scrivere, ma ancor più mi ostinavo ad osteggiare i gruppi che manipolano i successi, dissero che ero pazzo e negli ultimi anni – cioè dopo la pubblicazione d’un libretto intitolato Modesta Proposta per Prevenire – anche fascista. Ora, io non sono fascista, ma non sono nemmeno antifascista. Sono venuto qui appunto per difendere il mio diritto di non esser perseguitato come fascista soltanto perché non voglio dichiararmi antifascista. Dico di non essere né fascista né antifascista. Allora, cosa sono? Da anni ormai io amo definirmi afascista, fascista con un’alfa privativa davanti. Lo faccio non per lo snobismo d’introdurre una parola nuova, ma perché questa parola, afascista, secondo me esprime qualcosa di nuovo, e cioè un’avversione al fascismo così intima e completa da non poter tollerare l’antifascismo, il quale, almeno così come viene praticato dagli intellettuali italiani, è terribilmente vicino al fascismo. Il fascismo, dicono, è autoritarismo violento, coercitivo, retorico, stupido. D’accordo: il fascismo è violento, coercitivo, retorico, stupido. Però, come lo vedo io, l’antifascismo è del pari, se non di più, violento, coercitivo, retorico, stupido.
Ora vorrei esporre, il più brevemente possibile, la mia personale condizione. Ho fatto delle guerre quand’ero giovane – non è un mistero: ho anche pubblicato un diario di guerra – ma è del 1943, cioè da quando gli Alleati mi presero prigioniero, che rifuggo da qualsiasi forma di violenza. Non sono nemmeno coercitivo; ho sempre esposto con la più grande libertà il mio pensiero, ma non ho mai preteso di imporlo a nessuno. Non sono retorico, e non solo perché fin dagli Inizi della mia carriera sono stato un realista, ma perché mi servo abbastanza spesso dell’ironia e dell’umorismo: ironia e umorismo sono l’opposto della retorica. Infine non sono, o almeno spero di non essere, stupido. Mi mancano quindi le qualità di base per essere sia fascista che antifascista. Eppure tutte le volte – in verità non sono molte – che la stampa dell’arco che si autodefinisce democratico si occupa di me e del mio lavoro, insinua, o magari dice anche a chiare lettere, non solo che sono fascista nell’animo, ma che firmo manifesti fascisti, e perfino che traggo vantaggi economici vendendomi ai fascisti. Ecco che io posso affermare: in Italia non esiste libertà per l’intellettuale. Intendiamoci, non dico che in Italia sia impossibile per l’intellettuale essere libero. In verità non è impossibile nemmeno in Spagna, o in Grecia, o in Russia. Un uomo trova sempre il modo d’essere libero, se lo vuole. Ma non è giusto che egli debba sopportare condanne e persecuzioni per essere libero. In Spagna, in Grecia, in Russia, le sopporta. lo dico che ne sopporta, sia pure in misura notevolmente minore, anche in Italia. Ma quali persecuzioni? E da parte di chi?
Esistono, in Italia, molti gruppi di potere intellettuale. Il più solido, preparato e importante, è quello che grosso modo si può definire radicale. Ma ce ne sono parecchi altri, per lo più alimentati dai partiti o dalle diverse correnti dei partiti. Se si escludono gli sparuti gruppi liberali o della destra nazionale, tutti gli altri sono collegati in nome di principi invalicabili: sono democratici, antifascisti e nati dalla Resistenza. In realtà ciò che li unisce è una comunità d’interessi che non è azzardato definire mafiosa, tendente all’acquisto, alla conservazione, all’esercizio del potere. È un potere enorme. La radiotelevisione italiana, che come si sa è un comodo monopolio, oltre che un comodo mezzo di sussistenza, è praticamente nelle loro mani. E nelle loro mani stanno quasi tutti i periodici che si levino al disopra dell’informazione cronachistica o scandalistica, e naturalmente i più grossi quotidiani, ivi compresi il Corriere della Sera o La Stampa.
Di questo enorme potere i gruppi si servono senza debolezze e senza scrupoli. Se per esempio un intellettuale non entra in un dato gruppo o peggio ancora se osa denunciarne le manovre mettendosi contro i grossi capi, viene messo al bando, proscritto. Allora del suo lavoro si parlerà il meno possibile, e solo in termini spregiativi. Lui personalmente verrà chiamato fascista, con valore d’insulto. Naturalmente non gli sarà consentito di far conoscere il suo pensiero servendosi dei mezzi di diffusione controllati dai gruppi. Verrà condannato al silenzio, come in Russia. A meno che non abbia il cattivo gusto di stampare qualcosa, magari una semplice intervista, sui giornali non controllati dai gruppi, perché in questo caso non farà che comprovare la sua qualità di fascista. Per gli antifascisti, infatti, avere qualsiasi forma di colloquio con qualcuno diverso da loro è segno di fascismo. Ora se si pensa che in mano a questi gruppi ci sono tutte, o quasi, le case editrici, ci stanno tutti, o quasi, i premi letterari, ci sono gli emolumenti e le facili prebende elargite dalla televisione italiana, allora si capisce che in questo nostro paese uno scrittore che voglia mantenersi libero ha la vita più dura di quanto la gente non sappia.
Sono venuto per dire questo. L’ho detto, e vi ringrazio di avermi ascoltato. Però vorrei pregarvi di ascoltare l’inizio di una intervista rilasciata dallo scrittore Borges, che molti stimano lo scrittore più grande fra i viventi, alla Signora Vanna Brocca. Sappiamo tutti quanti che Borges, nell’imminenza dell’arrivo di Perón in Argentina, ha scritto un manifesto di una violenza atroce contro Perón, quindi non si può dire che sia un uomo vile. Tuttavia dice: “Non mi piace parlare di politica, non me ne sono mai interessato molto; quando ero giovane dicevo di essere un anarchico individualista, adesso sono un conservatore. Lo sono diventato abbastanza presto e continuo ad esserlo. Ma vi è una grande differenza tra quello che si intende per conservatore nel nostro paese, ed un conservatore diciamo Europeo. Essere conservatore da noi significa più che altro essere, in senso etico, uno scettico, credere che un governo vale l’altro, che sono tutti egualmente buoni o cattivi”. lo penso che Borges è fortunato ad essere in Argentina perché se fosse Italiano per queste parole l’avrebbero già linciato o per lo meno fatto passare per qualunquista come probabilmente è.
Giuseppe Berto
*Il discorso di Giuseppe Berto, “Fascismo, Antifascismo, Afascismo” è tratto dagli “Atti del primo congresso internazionale per la difesa della cultura” che si è svolto a Torino dal 12 al 14 gennaio del 1973. Gli atti sono stato pubblicati da Cidas, Centro italiano documentazione azione studi, come “Intellettuali per la libertà”. Ringrazio Enrico Picone per avermelo mostrato