30 Maggio 2019

“Faticato, affannato mestiere? D’accordo: ma voi lo amate”. Gita nell’epoca aurea del giornalismo italiano, tra Buzzati e Pasolini, Brera, Soldati, Biagi, Fallaci…

Non è il mestiere più vecchio del mondo, ma certo è un lavoraccio. È la professione che molti inseguono, sognano, per cui sono disposti a fare carte false. Il reporter. All’università mi avevano messo in guardia: mai fidarsi di un giornalista. Il quarto potere si basa, senza dubbio, su un cumulo di chiacchiere. Eppure per mettere assieme un benedetto giornale (e venderlo) quelle dannate chiacchiere sono oro. E c’è stato un tempo in cui i giornali si costruivano, pezzo su pezzo, senza computer, senza mail, senza Google, senza internet. È il giornalista Luigi Mascheroni a rinfrescarci la memoria con una bella mostra – da lui curata in collaborazione con Corinna Carbone – che viene inaugurata domani (31 maggio) in coincidenza con l’avvio del festival “La grande invasione”: Piccoli tasti, grandi firme. L’epoca d’oro del giornalismo italiano (1950-1990), a Ivrea, naturalmente, nella culla delle Olivetti, presso il Museo civico Pier Alessandro Garda.

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Dai corridoi di redazioni di quei tempi spuntano nomi impressi nella memoria, oltre che nelle linotypes: Dino Buzzati, Camilla Cederna, Indro Montanelli, Oriana Fallaci, Gianni Brera, Pier Paolo Pasolini, Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Beppe Viola, Mario Soldati. Insomma: la stagione d’oro del nostro giornalismo: un momento storico, al centro del Novecento, che coincide – non sarà un caso – con l’invenzione e poi la diffusione e il larghissimo uso delle portatili Olivetti. La Lettera 22 in particolare (“La leggerezza di scrivere tutto l’alfabeto con un’unica lettera. La 22”). La stagione aurea del giornalismo è racchiusa tra gli anni Cinquanta (il 1950 è l’anno della progettazione, appunto, della Lettera 22) e la fine degli anni Ottanta-inizio anni Novanta (cioè l’introduzione del computer nelle redazioni dei giornali). La mostra, ricchissima di spunti di riflessione, è un album di famiglia, uno spietato e nostalgico amarcord, tra macchine per scrivere, taccuini, agende, dattiloscritti, pagine di giornale, ritagli, riviste, vignette, disegni, caricature, fotografie e filmati. Ma ciò che più di tutto stordisce è il racconto del curatore. Gli aneddoti che colorano, con l’indelebile, la pagina della mostra. Prendiamone uno. L’allunaggio. Le prime foto a colori della Missione Apollo 11 sulla luna. Cinquant’anni fa, tra un paio di mesi. 20 luglio 1969. “I settimanali aspettano di fare il colpo pubblicando le prime foto a colori della luna, che la NASA avrebbe distribuito alla stampa tre o quattro giorni dopo il rientro dell’equipaggio dell’Apollo 11. Riuscire a pubblicare quelle foto per primi è lo scoop dell’anno. E negli Stati Uniti, per l’Italia, ci sono Livio Caputo, corrispondente di Epoca, e Oriana Fallaci, prima firma dell’Europeo. Due amici ma nemici. Due colleghi ma concorrenti quando la concorrenza era una cosa seria). Comunque, mentre oggi basta un clic per inviare una foto ovunque, allora – con i fotocolor che per essere pubblicati dovevano essere portati materialmente nelle redazioni, anzi: in tipografia – tutto era un problema di aerei. La NASA annuncia che consegnerà il materiale ai giornalisti intorno alle 13.30, troppo tardi per prendere l’ultimo volo per New York in coincidenza con quelli in partenza la sera per l’Italia”. Sembra un passato remotissimo, oggi. Era l’epoca della nascita di testate rivoluzionarie, sia per la grafica sia per il nuovo ordine delle pagine e delle notizie. Nasceva Il Giorno, nel 1956. Alcune giocano un ruolo fondamentale nella battaglia delle idee, sono il manifesto, il Giornale, la Repubblica, neonati negli anni Settanta. Poi ci sono le anticonformiste e irriverenti (il Borghese di Leo Longanesi, del 1950, oppure, Cuore, il “Settimanale di resistenza umana” dell’Unità, del 1989). Insomma il baby boom del giornalismo.

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Nascono anche inserti culturali destinati a fare scuola, “Tuttolibri” della Stampa, nel 1975, o l’inserto “Domenica” del Sole 24 Ore, inventato negli anni Ottanta. E cento altri fogli, periodici, quotidiani del pomeriggio, da Paese sera a La Notte. Impossibile non sentire l’amaro in bocca della crisi del giornalismo di oggi, la moria di giornali, il boccone amaro della nostalgia della carta stampata, il predominio dell’on line. “Voi siete dei manovali, e ogni tasto che battete sulla vostra macchina da scrivere è un mattone che portate alla costruzione di una società migliore, più giusta” era il consiglio che Arrigo Benedetti, il fondatore di Oggi (1939), L’Europeo (1945) e L’Espresso (1955), dispensava ai suoi giornalisti. Altri tempi? Cosa suggerirebbe oggi ai giovani pubblicisti? In quegli stessi anni interrogava anche lo scrittore (postumo) Guido Morselli, dalle colonne della provincia varesina, dalla «Prealpina», il lontano 14 dicembre 1949: “Faticato, affannato mestiere? D’accordo: ma voi lo amate, perché il giornale – opera intelligente e umana come nessun’altra opera dell’ingegno e del braccio – vi rappresenta e vi esprime”.

Linda Terziroli

*La mostra “Piccoli tasti, grandi firme. L’epoca d’oro del giornalismo italiano (1950-1990)” inaugura il 31 maggio (ore 17,45) a Ivrea, presso il Museo ‘Garda’ e resterà in sede fino al 31 dicembre. Per informazioni: www.museogardaivrea.it.

**In copertina: Dino Buzzati (1906-1972)

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