25 Ottobre 2023

Ricordo di Millerba, ovvero: della libreria come luogo dell’anima contro i “librifici” uguali dappertutto

Raramente la realtà ci mette dinanzi personaggi e ambienti che paiono letteralmente frutto di un’affabulazione romanzesca: una di queste felici e improbabili circostanze si verificava per quanti ebbero la ventura di essere frequentatori della libreria G. A. 90 di Giorgio Hillel Millerba. Quell’antro scolpito di libri pareva situato, più che nella realtà fisica della centralissima via Carlo Alberto di Torino, in uno shtetl della Mitteleuropa e il suo pittoresco proprietario era un personaggio balzato direttamente dalle pagine delle Botteghe color cannella di Bruno Schulz o dai più gremiti dipinti di Chagall. 

Giorgio non era nato ebreo, all’ebraismo era approdato in età adulta a seguito di rivolgimenti interiori che non svelò mai neanche agli intimi, eppure la connotazione di ‘convertito’ sarebbe stata per lui sbagliata perché la sua forma mentis era costitutivamente ebraica e a un certo punto del suo percorso l’abbracciare la fede di Mosè fu per lui solamente il rispecchiamento di qualcosa che egli già serbava in sé. L’ebraismo si innestava in Giorgio in una vena corrosiva e irriverente di anarchismo e l’acronimo G. A. stava appunto per “Gruppo Anarchico” (il 90 era un riferimento agli anni 90 in cui la libreria si era costituita). 

Più che di libreria in senso ortodosso si trattava appunto di una anacronistica e colorata enclave anarchica in cui si ritrovavano i personaggi più assurdi ed eterogenei: transfughi dell’anarchia e del comunismo come delle più varie confessioni religiose, studiosi squattrinati e bohémiens, avventurieri metropolitani, sedicenti guru e maestri sapienziali, commercianti furtivi e pronti a ghermire i tesoretti librari che affioravano da quel magma di carte ed oggetti.

Questo scenario balzacchiano, questa autentica commedia umana dove parevano concentrarsi in un microcosmo tutti i vizi e le virtù della nostra aiuola terrestre si svolgeva in una botteguccia angusta, tra gatti scorrazzanti, profili di menorah, scaffali gremiti fino al soffitto di tomi rigorosamente polverosissimi, stipati alla rinfusa su scaffali pericolanti e minacciosi dell’incolumità degli avventori. 

A fare da cerimoniere era Giorgio, con il suo eloquio straripante, infarcito di storielle ebraiche, di aneddoti saporosi, di battute folgoranti e del più squisito umorismo ebraico, di collegamenti arditi e vertiginosi fra i più vari piani della storia e dello scibile. L’ebreo ortodosso riforniva generosamente anche i più accaniti nemici dell’ebraismo di pamphlet antisemiti: “Figlio, se io sono libero di parlare male di loro, anche loro devono essere liberi di parlare male di me”, soleva dirmi sornione. Autentico scrigno di sapienza, umanità e umorismo, Giorgio sorrideva benevolo anche ai personaggi più deleteri che facevano capolino nella sua spelonca libraria, astenendosi dal giudicare, forse memore del detto di Droysen che Dio solo è giudice delle anime. 

A un altro libraio torinese (personaggio quanto mai bizzarro e sconfinante nella psicosi), che aveva contro di lui inveito, profondendosi in parole e gesti di cattivo gusto, Giorgio oppose solo l’arma di un abbraccio affratellante e di poche semplici parole: “Mi dispiace, perché sei tu a star male, non io”.

Si dice che l’individuo sia ineffabile e non c’è cosa più ardua del trasmettere l’intima essenza di un essere umano tramite il mezzo inadeguato della parola. Per restituire l’eloquio di Millerba, la sua conversazione torrenziale, le mille finezze ironiche delle sue boutades occorrerebbe la penna all’argento vivo di un Singer quando ci restituiva il mondo sfrenato e coloratissimo degli ebrei ashkenaziti. 

Si è persa la memoria anche delle librerie come quella di Giorgio. Le librerie non sono più luoghi dell’anima ma anonimi librifici, uguali in tutto il mondo. 

Il meglio sta nascosto. Nell’avvicendarsi delle sorti umane quasi sempre il luccicore esteriore e la visibilità sono inversamente proporzionali al valore effettivo della persona. In un mondo sempre più corrotto dalla ‘socialità’ virtuale e da parametri meramente esteriori le menti brillanti e i tesori celati di umanità tendono a ritrarsi ancora di più e proprio allora soccorre l’opera della memoria, che invisibilmente opera a perpetuare le cose che paiono smarrite. Sono il sale della Terra gli uomini come Millerba, quel sale che, come nella parabola di quello che Giorgio amava chiamare “l’Ebreo che ha fatto carriera”, dà sapore alle cose del mondo, ma per poterlo fare deve scomparire alla vista. 

Alessio Magaddino

Gruppo MAGOG