24 Dicembre 2019

“E un giorno, a Natale, morì anche Giorgio Bocca. Uomini così non ne fanno più… ma forse manca soltanto a me”. Elogio di un giornalista duro, geniale, rompico*lioni

È morto a Natale, 8 anni fa, e da allora non passa giorno che io non gli dedichi un pensiero. Uomini così non ne fanno più, e per chi Giorgio Bocca non l’ha mai sopportato è una fortuna, per me è un vuoto, io che avrei dato, fatto qualsiasi cosa, per avere il suo sguardo addosso. Giorgio Bocca lo diceva, che con l’età cambia la prestazione fisica, ma la voglia no, la passione ti mangia, ti divora uguale. A Bocca le donne belle spaventavano, e del gioco del sesso gli piaceva carezzare le cosce, svelarle, nude, via via più furiosamente, ché il sesso a lui ingolosiva gustarlo, in ogni suo odore, e sapore. Bocca ha fatto in tempo a viversi le case chiuse, e c’erano pomeriggi in cui scappava dalla redazione per perdersi in quei bordelli di cui era pazzo. Una volta, il desiderio per una collega lo accese proprio in redazione, e si misero a farlo, nascosti, al buio, nella sala archivio.

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Il Bocca. Quanto m’ha fatto dannare. Per me è sempre stato un vecchio, un bel vecchio, e gelosa conservo una sua foto 50enne (credo) in cui è in cucina e lava i piatti. Me ne sono invaghita che ero una ragazzina e non mi chiedere perché, non lo so, ma so che contavo i giorni fino al venerdì, compravo L’Espresso e Il Venerdì di Repubblica unicamente per lui, ne staccavo le pagine delle sue rubriche: lo divoravo, ma mi lasciava stizzita. Il Bocca, con la sua boria, la sua durezza, mi ha spalancato gli occhi su varie realtà, mostrandomi che con la scrittura puoi bestemmiare Dio, i Santi, la Madonna, nei libri di Bocca è così, e io non mi ricordo col quale ho iniziato, ma dei suoi libri sono avvolta. Il Provinciale, è quello a me più caro, quello che mi ha tramortita, a leggerne un “Che altro?”, messo lì, a capoverso, a farmi capire, in uno schiaffo, che a scrivere così, netto, innamorante, io non ci sarei riuscita mai.

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Ce l’ho, in eterno stampato in mente, il Bocca che abita a Milano, 400 metri linea d’aria da Piazza Fontana, e non sente lo scoppio. Gli squilla il telefono, è Italo Pietra, suo direttore a Il Giorno: “Vai alla Banca dell’Agricoltura, dicono sia una caldaia”. Bocca ci arriva tardi, è Corrado Stajano che è lì dentro e vede “sangue dappertutto, e dei pezzi di mani, di gambe, pezzi di corpo umano appiccicati ai muri”. Bocca rimane fuori, tra le transenne, e ne ricava righe di cronaca livida: “Era una notte di cielo nero, di aria gelida, una folla silenziosa guardava la porta della banca da cui portavano fuori cadaveri e feriti. Non dimenticherò quel cielo color pece, tagliato dai fasci di luce dei fari della polizia. Pietra mi aspettava nel suo ufficio: «Secondo te», mi chiede, «chi l’ha messa, la bomba?». «I carabinieri»”, gli risponde Bocca, di getto, impeto, rabbia, ma in realtà lui si riferisce ai piani alti, “gli apparati statali che da mesi alimentano gli opposti estremismi”. Bocca lo scrive: c’è una ‘mano’, dietro, e agisce nei servizi segreti deviati, nell’ufficio affari riservati.

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Mi pare di vederlo, il Bocca, ragazzo, a scrivere sventate boiate antisemite in quell’articolaccio infame che lo perseguiterà tutta la vita, come la condanna di quella sua firma tra gli 800, ché il Bocca è stato uomo dai grandi abbagli, e maestro di sbagli. Me lo vedo, il Bocca, che se gli chiedevi dei suoi esordi in cronaca, ti rispondeva che la saponificatrice di Correggio era pazzia pura: una signora qualunque di una famiglia qualunque, una che invitava le vicine di casa a prendere il caffè, le uccideva, e ne faceva saponi, biscotti, o spezzatino per cena.

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Bocca è morto a Natale ma da mesi era spento dentro. Un giorno va a trovarlo Scalfari: “Non tornare”, gli intima Bocca, “io non ci sono più, è inutile”. Ha vissuto 91 anni, Bocca, ha scritto fino alla fine, tra gli ultimi ha firmato la morte di Gheddafi e l’alluvione in Liguria dell’autunno 2011. Ma già da qualche anno Bocca non scriveva ma dettava, una terribile artrite alle dita gli aveva tolto la capacità di battere sui tasti. Non girava più per l’Italia come aveva fatto per 60 anni, lui che dell’Italia ha scritto e capito più di tanti altri. Dell’Italia vera, metropoli e provincia, fin dal boom degli anni ’50 Bocca ha denunciato furberie, mafie, tangenti, le mediocrità: lo leggi e ti svegli e ti rendi conto che l’enfasi su ogni cambiamento è fuffa, è aria fritta. “Ho l’impressione che ci sia nella nostra sinistra alto borghese una strana voglia di rievocare il fascismo, per potersi incontrare e dire: come siamo democratici noi, come siamo civili”. Sai che data hanno queste sue righe? 11 giugno 1993. Non 2019…

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Mi pare di vederlo, il Bocca, sconvolto, al capezzale di Montanelli gambizzato dalle Brigate Rosse: Bocca scappa via, capisce, sente che il prossimo è lui. Se Bocca non è stato toccato dai terroristi è stato per caso, le minacce erano concrete, respirabili, tali da farlo vivere col sistema nervoso a pezzi, per poi scoprire, nei processi, che era vano fuggire, cambiare casa, itinerari: quel compagno di scuola del figlio, era lui l’informatore, era lui a entrargli in casa, per studiare, in realtà spiarlo, riferire ai capi. E Bocca, che alla notizia che il figlio del collega Morandini è un terrorista, pensa subito che lo aveva visto nascere, crescere. A tutte le volte che lo aveva preso in braccio. Quello di Bocca è un giornalismo iroso, di scatto e vigore, per anni battuto su fogli i quali, se vi cadeva una parola sbagliata, erano gettati via per ricominciare il pezzo daccapo. Giornalismo da inviato anche all’estero, e qui se vuoi puoi leggere La Russia di Breznev, e su Andrej Sakharov, sul sogno fatto a pezzi nel suo dispiegarsi a incubo, fame, orrore.

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Caro Bocca, nessuno parla più di te. Tu che al destino hai chiesto solo una cosa, che non ti desse l’onere di scrivere i necrologi di Montanelli e Biagi. Ti sono toccati entrambi. C’è stato un tempo, in cui Bocca e Montanelli s’isolavano nello studio di quest’ultimo, e vi rimanevano ore. A parlare. Tu che mi leggi: hai mai visto, in rete, il confronto tra Bocca e Montanelli, moderato da Arbasino? Che lezione di stile, di classe. Di come si può essere uomini. Gentiluomini. Pensanti. Di come si può stare dalla parte opposta, e stimarsi. Senza urlare né offendersi.

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Il Bocca si riconosceva un po’ omofobo. Era, in definitiva, un gran rompic*glioni. Chissà se manca solo a me. Io che per Bocca ho rubato. I suoi articoli strappati stanno chiusi in una busta gialla, nel cassetto del tavolo su cui scrivo. Non l’ho più aperta dalla sua morte.

Barbara Costa

Gruppo MAGOG