Gressoney, 25 agosto 2022
Caro Boris,
quassù la ricerca della poesia forse è più facile. Anche se ‒ per dirla tutta, anziché la ricerca ‒ sarebbe meglio dire che è più facile la consapevolezza di uno sguardo. Salire come oggi ad alta quota, oltre i duemila metri, insieme alla mia amatissima musa, è sfida a un bisogno. Occorre esserci in questi luoghi, per capirne la possanza.
L’aria qui ormai è fredda e cristallina. Arrivare a 2450 metri con di fronte agli occhi il Massiccio del Monte Rosa è sfida ai sogni, desiderio di libertà. Il vento sferza, penetra il corpo, rende limpida l’anima. Stamattina, quasi all’alba, dopo un breve tragitto, abbiamo avuto il dono di sorprendere marmotte e un branco di camosci. Mezzi impauriti, sono fuggiti; con il capobranco che ci fissava da un cocuzzolo per capire se potevamo essere ancora un pericolo per loro. Proseguendo, la poiana volteggiava altissima sulle nostre teste, e rumori di zoccoli ad altissima quota facevano presagire cavalcate di stambecchi.
Insomma, quella poesia della quale tu parlasti un giorno; quella poesia che si trova rasente l’erba, quassù, oggi, non si è palesata, ma ha mostrato lati per molti aspetti inimmaginabili e inesplorabili altrove.
Dicevo dell’aria. Un’aria che ormai in città non ha più consistenza. Aria vera, fresca, soprattutto fredda, ma che ti fa rivivere i polmoni. Per il resto, un paesaggio mozzafiato dietro l’altro. Deve aver nevicato parecchio tra ieri e stanotte sul Monte Rosa. Il ghiacciaio sembrava in forma, rispetto a come l’avevamo sorpreso lunedì scorso, alle sorgenti del Lys: dopo tutto, rimane comunque uno spettacolo straordinario. Sfido chiunque a non rimanere stupito e incantato di fronte a una fetta di Paradiso come questa. Quella neve limpida: bianca… E le nuvole…
Boris!,
quassù tutto richiama ad altro. Non saprei come spiegarti meglio. Abbiamo portato su con noi Rilke, oggi. Sì, un suo libro: Le elegie duinesi. E ce lo siamo letto a vicenda, io e la mia musa. Ci siamo ascoltati, e filmati. Quasi per lasciare un messaggio a noi stessi, o forse nell’illusione che qualche camminante, di soppiatto, ci scoprisse inermi come la poesia. Abbiamo letto versi immortali, che spero il vento abbia trasportato altrove. Magari nel mondo dove stai tu adesso, per rinfrancarti. Per farti sentire più vicino il tuo caro amico poeta praghese.
D’altronde, non te lo nascondo, è una forma d’amore anche questa. Io e Abigail, in un certo senso, ci siamo amati proprio leggendo poesia. Può accadere qualcosa di più potente, protetti dalle montagne e attorniati da cieli e nuvole bianche e immense, mentre lo splendore della neve ‒ irraggiungibile ‒ lambiva i nostri sguardi come i nostri cuori?
Abbiamo letto anche tue poesie, sere fa, oltre a quelle di Benjamin Fondane, tra una birra e una chiacchiera, seduti ad un tavolino all’aperto di un bar.
Dunque, se ti scrivo, è per dirti che la poesia è viva e sorgiva. Che ce la portiamo dietro continuamente, che non ne possiamo fare a meno; e che tu ne fai parte. Boris, tu sei parte di questa meravigliosa storia d’amore che ancora oggi osiamo chiamare letteratura; della quale la poesia ne è la parte migliore ed essenziale, come l’urlo di un lupo che rimbomba per le valli, nelle gelide notti estive a quasi tremila metri di altezza.
In speranza immortale,
tuo Giorgio