Nessuno sa veramente che cos’è l’amore. Nonostante le infinite forme che il più potente sentimento del mondo può assumere, o le sconfinate circostanze nelle quali si può manifestare. Già è sbagliato definirlo sentimento. Non si definisce. Semmai, si prova. E donarlo o riceverlo è appagante. Ciò nonostante non sappiamo da dove venga, né quando finirà. È lui a dettare le regole del gioco. Sempre. Lo viviamo e basta. Però è mistero, senza compromessi.
Chi può dire di averne abbastanza, si sbaglia; ha preso un abbaglio. Chi non ne ha, lo desidererebbe come appiglio o, quanto meno, s’è abituato senza. Pur sapendo che è sola bestemmia pensarlo. Il fatto è che ci abituiamo a tutto, tranne proprio che all’amore.
Il poeta, eterno bambino, qualcosa ne sa. Egli penetra nei giardini delle donne, ivi ne costruisce i labirinti e vi si perde. Corteggiato, rispettato all’inverosimile, altrimenti bistrattato o tenuto al guinzaglio da qualche musa, s’è scontrato con l’enigma conficcato tra spazio e tempo. Il poeta visita l’altrove, vedendo altro, stando oltre la soglia. Ma andiamo oltre.
Non è normale amare. È roba dell’altro mondo. Voler bene è poca roba, al confronto. Qui stiamo insinuando l’inverosimile e l’impossibile che diventano realtà. Si diventa sonnambuli, a volte. Altre, non si sa. L’amore è cocaina allo stato puro. Una volta provato, è difficile rinunciarvi. Ma chiedi a qualcuno di dirti che cos’è, per davvero… Non si sa se sia pianto o riso, godimento o deliquio. Illusione o sortilegio.
Nei cortili di ringhiera (chissà se ne esistono ancora?) c’era sempre un pozzo. E le rondini, a primavera, costruivano un nido nel cantuccio più nascosto del portone. Sono ricordi dell’infanzia da non dimenticare. Dunque l’amore è un far memoria, testimoniare l’accaduto della bellezza. Desiderarne il rinnovarsi. L’amore è infinito creare: cadere nel pozzo, sapendo che qualcuno, prima o poi, verrà a salvarci. Oppure, inoltre, le donne hanno in seno quell’amore che nemmeno il poeta potrà mai sperare. Ma se una donna sarà poeta, il busillis si farà interessante.
Eppure nessuno vuole sapere realmente cosa sia l’amore. Quel qualcosa che rompe gli indugi, improvvisamente. Non ci si può ‒ non ci si deve ‒ ammalare per amore. Forse che il dolore da esso provocato possa diventare giustificazione alle nostre debolezze. Strappa i limiti, scioglie i patti: il poeta questo lo sa bene. Egli ne ha parlato e scritto nelle sue poesie. Perché ne conosce il battito, in levare. Sa che è sacro, indissolubile. Assoluto. Esso permane oltre la morte. Travalica persino il suicidio.
Ditemi cos’è l’amore e vi farò re e regine! Il mio argento per un bacio… Dell’amore io ne porto il segno. Trafitto. Un anello al dito che fu speranza spezzata. Ora quest’anello assurge a aristocrazia della forma. Scisso un patto ancestrale sotto una sfacciata luna piena, ho giurato a me stesso che darò tutto per la letteratura. E non può più bastare nemmeno un abbraccio a tentare di scalfire la furia del poeta. Egli vuole tutto: un amore onnicomprensivo, pieno, colmo. Diversamente, dirsi addio. Diversamente, è menzogna, opportunismo, compiacenza.
L’amore morde, è roba da fratellanza orfica; colpisce, inganna, tradisce. Si sta come su un palcoscenico. Magari a omaggiare chi non si è mai conosciuto. Forse a incontrare chi si conoscerà. Quindi l’amore è immortale, perché nell’anima possiede il soffio. Non ditelo troppo in giro. Vivetelo, piuttosto. Esso non ama definizioni, tanto meno definirsi. L’amore preferisce l’esempio, non è ciarliero. D’altronde, qualcuno ci aveva messo sull’avviso: “l’amor che move il sole e l’altre stelle”, non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.
Giorgio Anelli
*In copertina: John Singer Sargent, “Miss Elsie Palmer”, 1890