La morte di un editore viene mitigata soltanto leggendo i suoi libri, figli suoi.
Per molti, la Giometti & Antonello di Macerata è stata l’editore più estremo d’Italia, di estenuata estasi. Un paragone si può fare con le éditions fata morgana, a Saint Clément de Rivière.
Che la casa editrice sia nata intorno a una libreria antiquaria, ne ha conferito il carisma del rifugio ultimo, dell’antro delle meraviglie. Dopo Danni Antonello, il poeta, morto nel 2017, è morto anche Gino Giometti, l’altra mente della casa editrice, nata dieci anni fa per suo volere, dopo essere stato tra i fondatori di Quodlibet. L’ultimo libro della G&A – curato da Tommaso Di Dio – è una selezione di poesie di Dylan Thomas, Visione e preghiera; forse è un segno: dobbiamo immaginarci gli angeli del cielo con la faccia da Dioniso-putto del bardo apocalittico di Swansea.
Uno dei libri ‘mitici’ nel catalogo G&A è il carteggio tra Ernst Jünger e Albert Hofmann, dal titolo lisergico, LSD. Uscì nel 2017, con degno scalpore di stampa. Nel tempo, parlai con Giometti della possibilità di un libro che radunasse parte dell’Epistolario di Joseph Conrad. Il libro uscì, in effetti, nel 2021, per la cura di Alessandro Serpieri e di Simone Barillari.
Chiunque abbia frequentato la G&A ricorda libri dalla fattura pregevole, ‘quaderni’ fatti per stare come rotoli sacri nella propria biblioteca, da stanare. Libri, per così dire, già d’antiquariato, già vecchi, cioè fuori tempo, senza alcun compromesso con le attuali mode intellettuali, senza vieti rimbambimenti da esoteristi sull’attico. Niente tarocchi taroccati, insomma. Il libro che torna a essere pane, a non riconciliare con l’abisso, a speronare.
Alcuni autori vegliano sul catalogo eccezionale ed eccentrico della G&A: Georg Büchner – di cui si è stampata un’edizione speciale di Lenz oltre alle Lettere –, Osip Mandel’štam – con l’edizione, nel 2017, dei Quaderni di Voronež e poi dell’Opera in versi, l’anno dopo, a cura di Gario Zappi, e dell’Epistolario, nel 2020, a cura di Maria Gatti Racah –, Georg Trakl – quest’anno sono state pubblicate le Poesie “nella traduzione di Leone Traverso”, nel 2020 Quaranta poesie a cura di Dario Borso – e Varlam Šalamov – nel 2021 escono le poesie come Quaderni della Kolyma. Si tratta, cioè, di autori la cui opera è un eterno contraddittorio con la Storia, con la pretesa di distillare pur l’infimo singulto di verità e di candida grazia dall’orrore, bava di allucinazioni. Poeti col corpo vivo arso dal testo.
Secondo il progetto degli editori, l’intento originario della G&A era quello di stampare:
“Scritti che sfuggono di mano al loro autore, pagine postume, anche se “pubblicate in vita”, lettere e diari, “appunti sparsi e persi”, e tutti quei frammenti di scrittura che puntellano le rovine della moderna letteratura d’Occidente”.
L’editore, sempre in veglia, discerne la letteratura nel materiale non letterario, finanche illetterato, infinito perché non-finito. È il balbettio privo di controllo quello che si intende registrare, la brina prima dello scritto. Dunque, ciò che sfugge, il frammento, il singulto verbale, la pietra d’angolo piantata nel fianco del lettore non comune. Un lettore, sempre, fuggiasco, con i cani delle proprie manie tirati dietro.
Di questi lari – tra i vari, vale citare il Gerard Manley Hopkins nella traduzione di Nanni Cagnone, uscito nel 2021, e Il Gioco della Guerra, stralunato e strategico libro di Guy Debord e di Alice Becker-Ho edito nel 2019 – ho incorporato soprattutto Arsenij Tarkovskij, poeta straordinario, erede della generazione di Pasternak e di Anna Achmatova, a cui G&A ha dedicato un libro memorabile, Stelle tardive (2017) e un “album” con fotografie e “poesie disperse”, Stelle tardive II (2020), entrambi a cura di Gario Zappi. Le poesie di Tarkovskij, meditate con il fuoco e con l’accetta, hanno la profondità di chi ha vagato per altri mondi, di chi sa nutrirsi senza chiedere, felice del proprio inginocchiatoio d’erba. Ricalco una poesia, a mo’ di amuleto:
“L’anima, accesasi in volo,
non fu vista nella stanza bianca
in cui tra dita di streghe misericordiose
si scaldava dolcemente il corpo del bambino.
Alla vigilia sul giardino era caduta la pioggia,
e la terra non s’era ancora asciugata:
a giugno vi furono così tanti lillà
che la lucentezza del mondo si fece turchina,
e a luglio, ad agosto, vi fu
alle tre finestre una luce tale, un colore
tale sgorgò a fontana nel cielo
fino al termine di quell’estate primordiale,
che anche nell’oltretomba la mia sorte
si scalda, come il suolo, al giorno della creazione”.
Più di tutti, però, credo che il libro miliare della G&A sia In compagnia di Antonin Artaud, di Jacques Prevel. Uscì nel 2015, per la cura di Antonio Malinverno e dunque con l’amore di Danni Antonello. Il libro ha pochi pari per intensità d’affetto, per la vita consacrata a vegliare la vita di un altro – ricordo, per effrazione del ‘genere’, Conversazioni con Kafka di Gustav Janouch e Passeggiate con Robert Walser di Carl Seelig. Vita, in questo caso, consacrata al fuoco bianco di Artaud, dunque vita votata all’incendio. È proprio questo tratto – il voto senza trattative, nella calamità catapultato, il voto-flagello – a rendere il libro un sortilegio, degno auspicio al disastro solare.
“Se mai un uomo si è impossessato dell’irrazionale e del potere di trascendere la vita, questo è lui. Il minimo istante vissuto al suo fianco prende la forza e la potenza dello strazio più atroce e insopportabile… Vorresti andartene ma non puoi andare. Vorresti restare ma non puoi restare. Un fiume di lava e cenere incandescenti ti si abbatte contro. Davanti hai un uomo che comanda, che si erge e combatte di fronte a una creazione incessantemente ripetuta nella sua carne, e se cola il sangue in che modo evitare di macchiarsi e di immergervi le mani? E di queste mani cosa resta? Qualche frammento d’osso, un fantasma di mano. Lì è allora possibile passare dall’altra parte e avventurarsi tra gli spiriti. Ma come tornare alla propria carne, al proprio corpo, come ritrovare i gesti atti a vivere in un mondo soffocante da cui non si può né evadere né sottrarsi? Ti ritrovi dannato, inseguito dalle ombre, finché un giorno non avendo più uno scopo non ti abbatti, perché non puoi continuare nel deserto, non si può abitare sempre nel deserto, la sabbia e la sete bruciano gli occhi, e allora o ti abbatti o diventi un demente – la scelta è tra questo o la realtà falsa e abietta degli uomini vampiro, devi cedere, o morire”.
Il diario raddoppia il nostro smarrimento: inseguiamo la vita dell’inseguitore. Leggendo la vita di uno, per reticenze e specchi, ci infrangiamo nell’altra. La nostra, in sostanza, resta sotto ricatto, senza responso.
“Bisogna scrivere avendo coscienza del suo essere un atto magico, un atto divino”
scrive, a un certo punto, Prevel. Che la scrittura riesca a far risorgere i morti? Il suo essere magico si realizza proprio perché non fa risorgere i morti: li cauterizza in memoria senza cautele. Quando muore Artaud, nel 1948, Prevel ne muore, “Antonin Artaud era il mio solo amico. Era il solo uomo a cui volevo bene. ora non ho più nessuno”, scrive alla zia. Occorre morire nella morte di chi si ama, del solo, perché la vita abbia senso, ne sia cibata, altro celibato è insensato.
Prevel muore tre anni dopo Artaud; Giometti muore sei anni dopo Antonello. La Giometti & Antonello resta, a risarcimento del pianto, come una cresta di fiori su questo inverno a capo chino, sotto il tavolo.