“Non si erano adattati all’esistenza comune, al medio destino…”. Elogio della Fortezza Bastiani
Cultura generale
Michele Nigro
Ancora mi stupisco del potenziale dell’Odissea, l’avventura madre di tutte le avventure, che nasconde al suo interno una miniera di letture. Ma non solo: è madre di moltissimi altri testi, libri che si innestano in quella tradizione rivelandone il valore imprescindibile nella cultura occidentale, e al contempo la sua grande attualità. Scomodando solo qualche connazionale: l’Ulisse di Alberto Savinio, l’Odissea e le tante narrazioni di Tonino Guerra, Itaca per sempre di Luigi Malerba, o il più recente La morte di Penelope di Maria Grazia Ciani, sono soltanto alcuni esempi di quanto sia inesauribile l’avventura di Ulisse; perché se le peripezie del più astuto fra gli eroi sono durate dieci anni, con quella dantesca ripartenza da Itaca l’eroe segna il proseguo di un viaggio che dura fino a noi, un moto perpetuo non solo del personaggio, ma anche della letteratura. Ulisse, in fondo, è l’umanità in viaggio.
Fra le ultime scoperte nel nostro panorama letterario c’è La Sublime Costruzione di Gianluca Di Dio, pubblicato dalle edizioni Voland. Anche qui, all’origine, c’è una guerra, ma questa ha causato distruzione e morte in tutto il pianeta. L’evento, di per sé condizione prima per intraprendere il viaggio, s’annebbia in quella indefinita casualità propria delle catastrofi immani, e non è importante il perché o il come, ma solo quel che resta: una terra immersa nell’oscurità dove un brandello di umanità si aggira senza più uno scopo, vivendo di avanzi, di rifiuti. La salvezza è rappresentata da una corriera/dormitorio in grado di trasportare chiunque voglia riscattare la propria inutilità partendo alla volta della Sublime Costruzione, un cantiere perenne, una promessa con quel vago retrogusto sovietico proprio delle monumentali costruzioni, un edificio/città dove c’è posto per tutti. Ma il viaggio attraverso la sconfinata notte nordica è ricco di insidie. A vestirne i panni non sono ciclopi o sirene, ma mostri tutti contemporanei, come la droga e la pornografia, e tutta una serie di trappole e figure grottesche in grado di trascinare il protagonista Andrej e i suoi compagni nell’oblio delle cose inanimate.
La differenza sostanziale sta tutta nel senso del viaggio: Ulisse cerca di tornare a casa, dalla sua famiglia, dalla sua terra, e anche quando s’imbatterà in piacevoli distrazioni, sarà sempre quello il suo obiettivo: tornare a Itaca, rappresenti questa le sue radici, l’amore per Penelope o chissà cos’altro. Andrej non ha nessun posto dove tornare: la sua casa è distrutta, la sua famiglia perduta; prima di tutto Andrej deve ritrovare la speranza, quella scintilla capace di provocare un moto, anche piccolo. Egli compie un viaggio verso l’ignoto, una promessa incerta, qualcosa in grado di sollevarlo dallo stato d’inerzia in cui è piombato il genere umano. La Sublime Costruzione promette un lavoro, promette di trovare utilità per quelle tante mani inoperose e ricongiungere l’uomo alla dignità che gli spetta; ma in fin dei conti il lavoro fine a se stesso non nobilita nessuno, e tantomeno rende liberi. È l’umanità, nel senso di composto di valori, che l’Ulisse contemporaneo cerca di ritrovare, superando le prove generate da decenni di umana sconsideratezza, dall’abuso di sostanze fino all’abuso dei corpi, ritrovare qualcosa per cui vivere davvero.
Ma La Sublime Costruzione non è tutta qui. Negli ultimi anni siamo di fronte a una riscoperta del fantastico, dove giovani autori prendono in mano il testimone lasciato dai nostri maestri Buzzati, Landolfi, Morselli, Manganelli, raccolgono i lasciti fugaci ma sicuri del Futurismo, e guardano ai più vicini come Mari, senza dimenticare quel bacino miracoloso del Sud America. L’invenzione di Gianluca Di Dio mi ha fatto pensare al Cavazzoni di Cirenaica (oggi riedito come La valle dei ladri), ma con un linguaggio poetico, semplice e efficace; insomma, è davvero ben scritto, e la poesia del linguaggio mi ha ricordato a tratti la prosa di Tonino Guerra, visionario ma sempre preciso, nitido come un sogno che finalmente riusciamo a ricordare al nostro risveglio.
Valerio Ragazzini