Domenica 5 maggio, alle ore 18, un manipolo di resistenti del CVV, Corpo Volontari della Verità, ha tenuto un pubblico assembramento nell’androne di un palazzo storico di Novafeltria, mentre fuori c’era la tempesta … bisogna toccare i tasti del romanticismo e del Valore per descrivere l’incontro con Gianfranco Stella e Stefano Pierucci e il loro libro Compagno Mitra, 600 pagine di fatti tristi, ma che andavano raccontati perché realmente accaduti e l’unica persona in Italia che ha avuto il coraggio di farlo è Gianfranco Stella, uno scrittore e giornalista di Ravenna che ha vinto le sue battaglie nei tribunali della Repubblica perché ha al suo fianco la Verità e con lei si vince sempre.
Quest’anno, qualche Fenomeno ha cominciato a dire che “la Storia non si riscrive” … eh, no cari bambarelli, la Storia si riscrive perché non è completa, perché la storia scritta dai “vincitori” è scritta con il sangue delle Vittime Dimenticate e con il silenzio degli assassini impuniti. Nel libro di Gianfranco Stella ci sono i nomi dei morti assassinati e dei loro carnefici e il minimo che possiamo fare è leggere questi nomi e cognomi e salvarli dal colpevole oblio. L’odio al pari dell’amore è un fiero sentimento umano tant’è vero che Leo Longanesi, uno dei più grandi giornalisti italiani, si autodefiniva “carciofino sott’odio”, ma dev’essere il motore della Verità e Stella ha raccontato come, anche sotto mentite spoglie, abbia incontrato partigiani, abbia visitato cimiteri ed archivi per trovare nomi e volti, perché solo i nomi e i volti ci rimangono di una persona morta… quella storia dell’anima è, secondo me, la proiezione intima del nostro ricordo.
Comunque, a Novafeltria, aleggiava un’aura novecentesca, tra 25 aprile e 8 settembre che parevano lontani, ma bene o male sono le nostre radici, noi che viviamo nel duemiladiciannove veniamo da quella Storia, da quegli avvenimenti e quando sento dire da qualche Fenomeno: “la Storia siamo noi”, calma, “la Storia siamo anche noi” e di fronte al Tribunale della Verità non ci saranno né vinti né vincitori, sarà tutto un grande pareggio.
Curzio Malaparte scrisse: “Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore. Ma una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori. Tutto il mio cristianesimo è in questa certezza, che ho tentato di comunicare agli altri nel mio libro La pelle, e che molti, senza dubbio per eccesso di orgoglio, di stupida vanagloria, non hanno capito, o han preferito rifiutare, per la tranquillità della loro coscienza. In questi ultimi anni, ho viaggiato, spesso, e a lungo, nei paesi dei vincitori e in quelli dei vinti, ma dove mi trovo meglio, è tra i vinti. Non perché mi piaccia assistere allo spettacolo della miseria altrui, e dell’umiliazione, ma perché l’uomo è tollerabile, accettabile, soltanto nella miseria e nell’umiliazione. L’uomo nella fortuna, l’uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicità, l’uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore, l’uomo seduto sul Campidoglio, per usare una immagine classica, è uno spettacolo ripugnante”.
Senza pretendere di convincere nessuno, con il solo entusiasmo di contarci, ho sognato che Enrico V varcasse il portone di Palazzo Mattei e urlasse il suo: “Noi pochi. Noi felici, pochi.”
Silvano Tognacci
*In copertina: Curzio Malaparte in una clinica romana dopo il ritorno dalla Cina, 1957 (photo Mondadori Portfolio)