20 Maggio 2022

“Entusiasta di vivere”. Il teatro d’ombre di Giampiero Neri

Oh, certo, nelle poesie di Giampiero Neri (in copertina nella fotografia di Dino Ignani) – direi: epigrafi, cenni di vita su lamina, non più orfica – traspare la perizia entomologica: si sa – l’ha scritto lui, spesso – quanto deve a Jean-Henri Fabre. Il gusto per il particolare, per il suo delirio, però, non dilaga mai in ornamento, descrizione, esercizio di statistica, stasi. Il particolare, sempre, è breve epifania, quasi che il caos avesse la bava alla bocca, glassando una forma stramba di provvidenza, vite riflesse in goccia d’ambra. A me piace di Neri – che inspiegabile senso della ‘misura’, quasi che tutto fosse teso, come su corda, sul punto di rivelarsi, di esplodere: tensione da veglia meridiana, a tratti cupa, da dopo pasto – l’affinità coi poeti cinesi classici – reperiti per razzia di curiosità, qua e là –, con i vagabondaggi ultramondani di Milarepa, la poesia dei paraventi, tra corte e massacro, esistenze, cioè, incise su porcellana, in blu: quanto reggeranno alla vertigine di crollare?

In sintesi: il ‘romanzo’ in Italia non funge – troppo presuntuosi, i nostri, per stare nella sequela di Manzoni, così si sono americanizzati con esiti prossimi alla demenza –, il ‘romanzo in versi’ meno che mai; Neri, dunque, opta per le lasse, le glosse, il teatro d’ombre, le prose, depurate di ogni refluo retorico, mai assertive, al bivio, cari esercizi di assoluzione. Dai cassetti di Giampiero Neri – ne immagino lo schedario di figure, piccoli Achille di provincia, sbandati e sbalorditi sotto assedio di un fato microscopico, Omero che si districa tra nebbie erbose – sono uscite queste prose – di cui ringrazio Alessandro Rivali – raccolte come Un insegnante di provincia. Le ricorrenze – il “progetto letterario, su un ragazzo che allevava lumache” lo leggiamo anche in Piano d’erba: “Delle opere letterarie del professor Fumagalli si sapeva poco, di più dei progetti, come di quel ragazzo che allevava lumache” – inducono all’indagine: dietro la genesi di ogni ‘tipo’ giace una gnosi, non per forza pubblica; il gheriglio delle varianti, in Neri, assume valore esistenziale, è probabile, proverbiale. Quanto al resto, il poeta – pari al pittore di icone – non dovrebbe che scrivere sempre la stessa cosa, lo stesso verso, il medesimo verbo, finché sillaba e respiro non diventano uno, puro sigillo.

*Per chi transita per il Salone di Torino: Giampiero Neri sarà nella Sala Rosa, Pad 1: alle ore 15 di sabato 21 maggio, insieme ad Alessandro Rivali e ad Alberto Bertoni parla di “Antologia personale” (Garzanti) e di “Un difficile viaggio” (Ares).

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All’Istituto magistrale Carlo Annoni, in Brianza, era arrivato un nuovo insegnante di lettere.
Si era notata la sua andatura claudicante, di una gamba leggermente inferiore all’altra. Un incidente di gioco, come si era saputo in seguito.
Il professor Fumagalli era un uomo originale, meno che trentenne, vistosamente indipendente, entusiasta, non si sapeva di che.

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Entusiasta di vivere, forse. Certo di scrivere, come progettava.
Per questo, aveva detto dalla cattedra, occorreva una grande anima.

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Alcune lezioni le teneva all’aperto, al parco comunale.
Il professore amava passeggiare mentre parlava, circondato dagli studenti che più degli altri erano incantati dalle sue parole.
Ma i suoi discorsi avevano anche una morale.

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Fumava sigarette Serraglio, accompagnando il fumo con larghi gesti della mano.
A voce alta leggeva in classe dai Promessi Sposi.
Qualche volta parlava di un suo progetto letterario, su un ragazzo che allevava lumache.

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Aveva trovato per caso su una bancarella Une saison en enfer di Rimbaud e ce ne leggeva qualche passo: “Dei miei antenati Galli ho la testa oblunga e la sfortuna nella lotta”.
Su questo saremmo stati concordi, sulla sfortuna nella lotta, ma allora non lo sapevamo.

Giampiero Neri

Gruppo MAGOG