26 Luglio 2020

“Rifugio di un Dio infuriato”. Le poesie di Georg Trakl tradotte da Guido Ceronetti, pugnalata di morfina nel disastro

Nel 1986 Adelphi pubblica un libro intrepido, s’intitola Come un talismano: il titolo è tratto da un verso di Montale, denunciato in esergo (“e recano il loro soffrire con sé come un talismano”, da Ripenso il tuo sorriso), e ascende a una poetica. Il libro è il repertorio minimo di decenni di traduzioni di Guido Ceronetti, da Eraclito a Zola, da William Blake e San Giovanni a Thomas Hardy e Nietzsche. Spesso sono brandelli di testi, ritagliati con onnivora indecenza; a tratti Ceronetti ha vigore di iena, in altre ha la vertigine della serpe. Di certo, queste traduzioni sono l’esito di letture notturne, da nottambulo: come puoi mungere la luce dall’oscurità? Il talismano, nello stesso tempo, è oggetto da dispiegare nel momento del terrore, efficace farmaco, pugnalata di morfina nel disastro. D’altronde, il talismano è commerciato tra pochi, per accoliti, accolti dall’esoterico del verso. “Dovremmo pronunciare ogni parola vera come fosse un’agonia o un testamento. Raccolta un po’ di gente, avvitarci a delle Termopili improvvisate, una qua una là, in attesa dell’ululato dei vincitori e guardando venire la morte”, scrive Guido Ceronetti nel saggio conclusivo. Di quei testi, sussurrati ad alta voce, dall’italiano volutamente involuto, rétro, un po’ fuori tempo, come un pianoforte in uno shuttle, scelgo le poesie di Georg Trakl, che “vanno ben oltre l’orlo delle trincee, riaccennando in larghe pietà malinconiche, tra sventure senza volto, a un altare invisibile, più vicine al Ghilboa del lamento di Davide che alla collina di Simonide” (Ceronetti). Morto per scelta nel delirio della Prima guerra, tra visioni allucinanti e la rivelazione di una fine infera, la poesia di Trakl, in un aldilà blu, trova coincidenza con la fame di Ceronetti. Non cerchiamo consolazione, in effetti, ma cuciture in versi, che diano ago ai contrari. Nel verbo che non nega si vince il male. (d.b.)

***

Luna, falcata luna,
Tu che di forme di morti eroi
Vai le mute foreste popolando,
E col placato abbraccio degli amanti
Con l’ombra della fama degli evi
Riempi delle cariate
Rupi la cerchia, un vago
C’è irradiarsi di azzurro
Là dov’è la città, che una perversa
Gelida specie abita
Col suo sfacelo:
A larve di nipoti
Fila un domani di tenebra.
O anelanti in un vacuo
Cristallo di alpestre lago
Ombre cinte di luna

*

È la furia dei popoli, oscura,
Organi barbarici di tempestoso inverno;
Mareggiata purpurea, snudate stelle,
Lo scannamento

Caglia disfatte, inargentate braccia
Ai morenti soldati addita
Di sé la Notte. I gemebondi spiriti
L’ombra del frassino autunnale accoglie
Degli stroncati

Guantano le città selve di aculei.
Disperde sui gradini insanguinati
Le donne in preda al panico la luna.
Un branco inferocito si precipita
Attraverso la porta

*

Per le pianure dorate, per i boschi autunnali
E i laghi azzurri, a sera,
Rimbombano le armi, mortali;
Più lugubre è il calare giù del sole.
La notte si attorciglia ai moribondi
Combattenti, alle bocche fracassate
Coi loro selvaggi lamenti.
Ma nel prato dei salici una tacita
Rossa nube coagula,
Rifugio di un Dio infuriato;
Sangue versato, refrigerio lunare.
Cloache di nero carnaio
Tutte le strade

Sotto i rami dorati della notte
E delle stelle, per il bosco muto
L’ombra della Sorella
Alle anime degli eroi, alle teste sanguinanti
Dà il commiato ondeggiando.
C’è di crepuscolari flauti un flebile
Concento dell’autunno tra le canne.
Alta fierezza del lutto! E voi
Ferrigni altari!
Un più forte dolore oggi alimenta
L’incandescente ardore della Mente,
Non generata prole

Georg Trakl

*In copertina: L’immagine di Guido Ceronetti è tratta da qui

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