“Che poesie di merda”: ecco cosa ho pensato leggendo i componimenti inediti di Olimpia Buonpastore, questa pseudo poetessa comparsa qualche mese fa sui social. Stupri, cannibalismo, odio verso le figure genitoriali e soprattutto tanta voglia di scioccare a ogni costo. Ma ho visto troppa realtà per spaventarmi. Solo successivamente, come avevo il sospetto che fosse, ho scoperto che dietro c’era la mente malata e perversa del mio giovane amico poeta Gabriele Galloni. L’ha scritto lui su Facebook.
Il fatto è che di questi tempi, è proprio il caso di dirlo, conta più il personaggio di ciò che scrive, il poeta più della poesia. Quante volte, leggendo una poetessa, ho pensato: “gioia mia, senza le tette in mostra, le gambe in vista e la passera promessa in una prossima foto, altro che cento, non avresti ottenuto neppure il like di tua sorella”… Oh cielo, adesso mi daranno del maschilista. Come non detto.
Insomma, ho riso tantissimo una volta appreso del bluff ordito da Galloni, soprattutto quando ho letto che aveva ricevuto decine di proposte, anche da importanti case editrici, per una schifezza di silloge buttata giù per scherzo, per parodiare certe figure della poesia attuale. Ciò per farvi capire che genere di porcherie si possono trovare oggi in libreria e con quale criterio queste vengano selezionate.
Gabriele, raccontami come ti è venuto in mente di scrivere una silloge sotto falso nome, spacciandoti per una donna. E la biografia della pseudo poetessa come l’hai messa su?
Sul treno Napoli-Roma. Per noia, immagino. Mi giravano in testa alcuni versi estremamente stupidi e li ho appuntati sul retro del biglietto. Naturalmente, non era roba pubblicabile a mio nome: troppo dolorismo, troppo sangue, troppo kitsch. Una cazzata, insomma. La silloge l’ho buttata giù il giorno dopo in un paio d’ore: è venuta da sé. Per la biografia devo ringraziare la mia fantasia fervida. Una ragazza che, orfana di madre, decide di ricostruire e decostruire il genitore attraverso una serie di componimenti osceni che svariano dallo stupro all’omicidio al cannibalismo. Insomma, parliamoci chiaro, una idea geniale. Oppure un perfetto modo per darsi la cosiddetta zappa sui piedi. Vedremo.
Tu hai definito la creazione di Olimpia Buonpastore un “esperimento sociale”. Spiegami cosa volevi dimostrare.
Volevo dimostrare la vacuità dell’editoria italiana e, in particolar modo, di molti lettori di poesia. Buonpastore ha immediatamente suscitato consensi e contrasti, fin dalla primissima pubblicazione. C’era chi la adorava e la difendeva a spada tratta e chi la accusava di scrivere schifezze. Poi ci sono stati anche coloro che hanno subodorato lo scherzo e, insomma, il loro merito è lì. Ma quelli che mi fanno davvero ridere sono gli indignati: non esistono da sempre gli eteronimi? E allora, citando lo scrittore e critico Roberto Batisti: “Olindo Guerrini è forse da considerare come un criminale di guerra?”.
Ma, secondo te, cosa attirava tanto nella lirica e nel vissuto di questa poetessa frutto della tua fantasia?
Il senso di shock, lo scandalo, l’idea che una ragazza giovanissima potesse scrivere della madre in quei termini. Ho ricevuto anche mail di persone che dicevano di riconoscersi in quelle poesie, di sentirle proprie – anche loro, allo stesso modo di Olimpia, avrebbero volentieri mangiato, stuprato, coccolato, massacrato e ucciso la propria madre.
Una merda di raccolta poetica ha ricevuto più importanti proposte di pubblicazione di tanti bravi poeti in circolazione. L’editoria, insomma, cerca personaggi e non poeti. Quante mail di editori famosi hai ricevuto? Mi racconti il piacere che hai provato nel sputtanarli?
Tantissime mail. Un signore si offrì persino di presentarmi alla Bianca Einaudi, per dirvi. Piacere nello sputtanarli non ne ho avuto granché, anche per questo eviterò di fare i nomi. Comunque in tantissimi si sono mossi per Olimpia Buonpastore. A un certo punto sono arrivato a diventare quasi geloso di lei. L’avrei strangolata, se mi fosse passata tra le mani. Scherzo, naturalmente. Se avessi conosciuto davvero una Olimpia Buonpastore me ne sarei innamorato. Il punto è che moltissimi avrebbero voluto Olimpia nella propria scuderia autori, dalla piccola casa editrice all’editore di prestigio. Poi, appena rivelavo la mia vera identità, e cioè quella di un ventiquattrenne poeta chiamato Gabriele Galloni, annullavano tutto. Gli serviva il corpo del martire, una vittima sacrificale. Un personaggio, appunto. Un personaggio che si esponesse pubblicamente e che pubblicamente apparisse. Cosa se ne fanno di un eteronimo? Da qui la mia riflessione: il valore di un’opera (e parlo di opere di successo, di grande successo) è relativo. Conta il personaggio, più che l’autore; chi ci sta dietro. Ho scoperto l’acqua calda, certo, ma la storia di Olimpia Buonpastore è l’ennesima conferma di questo.
Matteo Fais