04 Marzo 2022

“La pace è arrivata, come una raffica di mitragliatrice”. Rileggiamo “La paura” di Gabriel Chevallier

Meglio di un film, più realistico di un documentario storico. Questo è il succo del romanzo La paura, scritto dal francese Gabriel Chevallier (1895-1969). Rifacendoci a una storica trasmissione radiofonica dedicata al calcio, potremmo definirlo una “librocronaca” minuto per minuto della Grande guerra, a cui l’autore partecipò dall’inizio alla fine come soldato semplice. C’è tutto: le trincee, gli assalti all’arma bianca, i periodi di stasi, i generali ottusi, gli ordini insulsi, le notti al freddo, il sangue, le ferite, i morti, lo sporco, il sudiciume, ma soprattutto c’è lei, la vera protagonista del romanzo. La paura. Raccontata per quello che è veramente, e per come la prova un ragazzo sbattuto in prima linea; uno che non è né un eroe né un vigliacco, ma soltanto un uomo che, come tutti gli altri, i suoi compagni d’armi o anche i nemici tedeschi, non può non provare paura di fronte a quel massacro immane, in cui è difficile trovare un senso.

A un certo punto del romanzo il protagonista è all’ospedale, ferito e pieno di schegge. A un’infermiera che gli chiede cosa vuol dire combattere, lui risponde: “Vi dirò la sola occupazione che conta in guerra: ho avuto paura”.

Quando sei lì, a tu per tu con la morte, parole che prima sembravano di marmo come patria, militarismo, senso del dovere, fratellanza, solidarietà, umanità si rivelano solo parole di pastafrolla e vanno a farsi benedire. Tutti quelli che parlano della guerra da lontano, le anime belle di allora, che se ne stavano al calduccio nel quartier generale di Compiègne o quelle di oggi che pontificano un giorno sì e l’altro pure sui giornali o dagli schermi della televisione possono pure storcere il naso, ma le cose stanno così. Attenzione. Chevallier odia la guerra perché la conosce, ma non va confuso con i pacifisti al sugo di pomodoro di oggi. Nel 1939, alla vigilia della nuova guerra, chiese di ritirare il suo romanzo nel timore che potesse minare la voglia dei francesi di combattere contro i nazisti.

Il libro ha una storia curiosa. Fu pubblicato per la prima volta nel 1930, ritornò poi nelle librerie nel 1951, per avere una nuova edizione nel 2008. In Italia è stato tradotto per la prima volta solo nel 2011 e pubblicato da Adelphi. Nel frattempo, Chevallier aveva raggiunto il successo letterario con il ciclo Clochemerle, una sorta di saga umoristico-campagnola pubblicata in tre volumi tra il 1934 e il 1963, tradotta in ventisei lingue e che ha venduto diversi milioni di copie.

Lo stile con cui è scritto La paura è secco ed essenziale, ma quando descrive le scene di combattimento tocca punte di alta drammaticità e porta il lettore nel cuore dell’azione. Se il paragone non fosse irriguardoso, verrebbe da pensare alle grandi battaglie descritte da Tolstoj in Guerra e pace. Leggere per credere:

“Una vampata che sembrava investire il mondo intero ci strappò al torpore. Avevamo appena superato una cresta, e il fronte, davanti a noi, ruggiva con tutte le sue bocche infuocate, fiammeggiando come una fucina infernale i cui mostruosi crogioli trasformavano in una lava di sangue la carne degli uomini. Ci veniva la pelle d’oca all’idea di essere solo una palata di carbone destinata ad alimentare quella fornace, al pensiero che dei soldati, laggiù, lottavano contro la tempesta di ferro, contro l’uragano di fuoco che faceva ardere il cielo e tremare le fondamenta della terra”.

Bellissimo l’ultimo capitolo del romanzo, intitolato “Cessate il fuoco!”, nel quale Chevallier descrive il senso di vuoto e di smarrimento che coglie il protagonista e i suoi compagni quando tutto finisce, il senso di colpa provato nell’essere ancora vivo, così simile a quello dai sopravvissuti ai lager nazisti. Si intuisce che non sarà facile girare pagina da un momento all’altro per tutti quei ragazzi che hanno passato quattro anni di sofferenze e di dolore che li segneranno per sempre:

“Per anni ci hanno tenuto davanti a corpi straziati e putrefatti, corpi di fratelli, fino al giorno prima, nei quali era inevitabile vedere l’immagine di ciò che saremmo stati anche noi il giorno dopo… Ed ecco che la pace è arrivata all’improvviso, come una raffica di mitragliatrice, come una fortuna inattesa in sorte a un uomo povero e malandato”.

Silvano Calzini

Gruppo MAGOG