27 Aprile 2023

“Morire non è più accettabile”. Intorno all’ultimo libro di Fuani Marino, un inno alla sana virtù dell’egoismo

L’odore delle case dei vecchi.

Da sorrentiniano canone, piacere esistenziale di somma sostanza. Sigillo di predestinazione alla sensibilità, dunque a un futuro da scrittore.

Vecchi. Non anziani surrogati. No all’amputazione del linguaggio – Ceronetti docet. Odore che non esiste più. Non esistono le case dei vecchi. Non ci sono più vecchi. Solo diversamente giovani. Eternamente giovani. Che non vogliono saperne di morire.

Vecchi. Vecchiaia. Vecchiaccia. Fuani Marino, dunque. Non più ragazza sul balcone involatasi dal quarto piano con scarsi risultati tanatologici, ma autrice che riemerge in terrena veste, partenopea vestale, con la sua creazione ultima – Vecchiaccia, insulto a se stessa o ironica presa d’atto –, einaudiano ritorno. In principio, la melmosa, giornalistica vicenda di tweet ageisti redatti in tempi di peste (alias lockdown) – «Stiamo sacrificando cose imprescindibili come il diritto all’istruzione, la socialità, infine l’economia di un paese in nome degli over 75». Da qui, vittima sacrificale dei bobo sull’altare del polcorr. Paranoia e delirio da cancel culture. In ultimo, ancora, la morte. Da lei mancata, da altri anelata, dai vecchi respinta.

Quindi, l’atto politico. Del narrato suicidale s’era già detto, decretandolo, finanche, poetico. D’ageismo e dintorni – topos nodale dell’opera ora edita – zampillano invece ricche fonti bibliografiche, di ossessiva meticolosità. Il più avido dei lettori ha di che abbeverarsi.

L’atto politico, si diceva. Il definitivo. Celato fra il nuovo capitolato. Monile incastonato fra le pagine. L’Ode alla colf.

«Vivere? Lo facciano per noi i nostri domestici».

La citazione di Villiers de l’Isle-Adam a restituire il sapore d’un manifesto ideale, esistenziale, insperatamente antimoderno, brillantemente reazionario. Il personale di servizio – subalterno per definizione – in qualità di succedaneo di sé, in favore di una vita rigorosamente a tempo parziale, con dovuta destituzione da gravose incombenze, sfibranti responsabilità, spossanti oneri familiari. Fra cui – dato il tema – l’accudimento di vecchi congiunti non più autosufficienti. Ode alla colf, sì, ma lode alla badante. Nuova eroina postmoderna.

«Un’intera équipe di domestici e familiari è impegnata a fare le mie veci mentre dormo» annota sollevata l’autrice, ergendo il vessillo dei disforici d’età – altro che ageismo! – giovani che, al pari dei vecchi che non accettano di morire, faticano a vivere.

Rifuggire dal rifulgere di promesse d’una vita eterna – immortalità? per carità! – con buona pace dei volgari transumanisti che affollano quest’era buia. Della salute erta a nuova divinità. Della vecchiaia che ha abdicato a se stessa:

«bisogna essere attivi fino all’ultimo respiro, godersi le proprie seconde case di proprietà anche in sedia a rotelle».

A tutela di simili nefandezze, l’autrice espone le proprie disposizioni testamentarie, di piglio frontalmente opposto:

«nel caso in cui io raggiunga un’età molto avanzata non desidero andare in vacanza o essere spostata da chicchessia. Mi basta avere un unico posto dove restare stabilmente, che sia un’abitazione o una casa di riposo».

Il gesto politico, ancora, ancorato al poetico. Letterario. Di supporto alla tesi, Romei decrepiti e Giuliette in menopausa di Iosif Brodskij – Fondamenta degli Incurabili. Corpi decrepiti e giovinezza scioperata di Konstantinos Kavafis – Le anime dei vecchi.  Derive postumane di houellebecqiano profilo – La possibilità di un’isola. Rothiane rimostranze verso anziane autorità familiari – Lamento di Portnoy. Senili insurrezioni buzzatiane – I vecchi terribili. Congelamenti umanoidi per sconfiggere la vecchiaia – Don DeLillo, Zero K.

Un libro di lotta – dal letto, prediletto giaciglio – conflitti intergenerazionali e mancati ricambi. E conseguenze psicologiche, economiche, sociali. Adieu ai nonni welfare – pensionati imbellettati, impegnati nel balletto vacanze-burraco-botox. E il vecchio quale autorevole detentore di saggezza come figura estinta, unico vero defunto.

«A tenerci in ostaggio è anche l’aspettativa di vita che non conosce limiti. Siamo arrivati a un punto in cui, grazie alla scienza, alla ricerca e ai vaccini, morire non è piú accettabile, a nessuna età».

Vecchiaccia, solenne inno alla sana virtù dell’egoismo. Vecchi – ultimi a credere nel futuro – che non vogliono saperne di badare a nuove generazioni d’infanti vs giovani che non vogliono saperne di fungere da badanti per i propri vecchi. Anteporre le proprie esigenze a quelle altrui? Sì, grazie. Non senza le dovute rimostranze etico-morali, in un continuo gioco di vittimismi. Invecchiare a oltranza, ergo, ricadere, autoinsufficienti, su altri. Desiderare, con un barlume di buonsenso, un’aspettativa di vita priva di patetici allungamenti geriatrici, per sé e per i propri.

Alla colf, non si potrebbe affidare anche il proprio senso di colpa oltre alle chiavi della porta di servizio?

Fabrizia Sabbatini

Gruppo MAGOG