19 Agosto 2019

“Ho coraggio a sufficienza per rendermi indipendente da altri critici e maestri, e di percorrere la mia strada”. L’editoriale oggi lo scrive Friedrich Hölderlin. Una lettera a Schiller

Il 1797 è un anno capitale per Friedrich Hölderlin. Il legame con Susette Gontard è tanto felice da diventare pettegolezzo; il poeta pubblica per Cotta il primo volume di “Hyperion”, abbozza l’idea dell’“Empedocle”. Frequenta con una certa assiduità Hegel, il compagno di studi che lavora come precettore a Francoforte. Hölderlin cerca il conforto dei grandi letterati del tempo, scrive a Friedrich Schiller, inviandogli “Hyperion” e alcune poesie, tra cui “Il viandante”. Le sue ambizioni, tuttavia, trovano ostacoli. Mentre la Rivoluzione francese scalpita presso i cancelli tedeschi, per gioia del poeta (“la giovinezza del mondo ritornerà dalla nostra decomposizione. […] Io credo a una futura rivoluzione delle coscienze e dei modi di pensare che farà arrossire di vergogna tutto ciò che è stato finora”), una analoga rivoluzione accade nel cuore di Friedrich. L’incontro con Goethe – il 22 agosto, a Francoforte –, ordito da Schiller, è un piccolo fallimento: i duchi della letteratura tedesca non capiscono la poesia di Hölderlin, accusata di essere troppo filosofica e soggettiva. “Schiller manda a Goethe le due poesie, senza menzionare il nome dell’autore. Il giudizio di Goethe è critico, ma sostanzialmente positivo. Schiller lamenta però la «pericolosità» della condizione di Hölderlin, che risente a suo dire di un eccesso di «soggettività» e meditazione filosofica…  L’atteggiamento di Schiller e Goethe è significativo della “dittatura del gusto” esercitata in quegli anni dai due scrittori di Weimar” (Luigi Reitani). La lettera di Hölderlin a Schiller, qui ricalcata, è raccolta nel ‘Meridiano’ Mondadori che raccoglie “Prose, Teatro e Lettere” di Friedrich Hölderlin, curato magnificamente da Luigi Reitani.

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A FRIEDRICH SCHILLER

Francoforte, 20 giugno 1797

La mia lettera e ciò che contiene non verrebbero così tardi, se fossi più certo dell’accoglienza della quale mi degnerete. Ho coraggio a sufficienza, e autonomo giudizio, per rendermi indipendente da altri critici e maestri, e di percorrere la mia strada con la quiete necessaria, ma da Voi dipendo in modo incoercibile; e siccome sento quanto una Vostra parola possa decidere di me, cerco talvolta di dimenticarVi, per non provare angoscia mentre sono intento a un lavoro. Perché sono certo che proprio questa angoscia e questo imbarazzo sono la morte dell’arte, e dunque comprendo bene come sia più difficile portare la natura a giusta espressione in un’epoca in cui si è già circondati da capolavori, piuttosto che in un’altra, in cui l’artista è quasi solo con il mondo vivente. Troppo poco egli se ne distingue, troppo gli è familiare per doversi opporre alla sua autorità, o per consegnarglisi prigioniero. Ma questa brutta alternativa è quasi inevitabile là dove, più potente e comprensibile della natura, ma proprio per questo più soggiogante e deciso, sull’artista più giovane agisce il maturo genio del maestro. Qui il bambino non gioca col bambino, qui non c’è l’antico equilibrio in cui il primo artista si trovava con il suo mondo: qui il fanciullo ha a che fare con uomini con i quali difficilmente acquista familiarità tale da fargli dimenticare il loro predominio. E se lo sente, non può che diventare ostinato o servile. O forse no? Quanto meno, non vorrei trarmi d’impaccio come quei deboli che in casi simili, come sapete, imboccano la via dei matematici e con infinite riduzioni rendono l’infinito uguale e simile al limitato. Se anche ci si potesse perdonare l’infamia che si commette a spese delle cose migliori, è pur sempre una troppo magra consolazione: 0 = 0!

Mi prendo la libertà di accludere il primo volume del mio Hyperion. Vi siete preso cura del libretto quando, sotto l’influsso di uno stato d’animo avverso e di offese immeritate, era del tutto sfigurato, e così arido e povero che preferisco non pensarci. Con riflessione più libera e con animo più felice l’ho ricominciato daccapo e Vi prego di avere la bontà di leggerlo, all’occasione, e di farmi sapere in qualche modo il Vostro giudizio. Sento che è stato poco prudente pubblicare il primo volume senza il secondo, perché è una parte troppo poco indipendente rispetto all’insieme. Possano le poesie che accludo meritare un posto nel Vostro Musenalmanach! – Vi confesso che sono troppo interessato per poter attendere senza inquietudine il mio destino fino all’uscita del Musenalmanach, e Vi prego quindi di fare qualcosa di più, e dirmi con due righe cosa abbiate trovato degno di accoglienza. Se permettete, Vi manderò ancora, rielaborate, una o due delle poesie che l’anno scorso sono arrivate troppo tardi. Parlando così, certo, mi mostro a Voi nella mia indigenza, ma non mi vergogno di aver bisogno dell’incoraggiamento di un nobile spirito. Posso assicurarVi che tanto meno trovo conforto in vane soddisfazioni, e che per il resto sono molto riservato su ciò che desidero e faccio. Con profondo rispetto il Vostro devotissimo

Friedrich Hölderlin

*In copertina: Cornelis van Haarlem, “La caduta dei Titani”, 1638

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