
Oltre il 60% degli italiani legge (soprattutto: guide turistiche). Vilipendio pubblico della lettura
Politica culturale
Paolo Ferrucci
“Partiamo da una premessa: non conosco A., la ragazza che ha denunciato per stupro il figlio del presidente La Russa, non sono andata a guardarmi il suo profilo su Tik Tok e ho letto in maniera trasversale ciò che di lei è stato scritto negli ultimi giorni. Però, di ragazze che, come lei, sembrano un po’ perse ne conosco tante (…)”.
Michela Marzano, la Repubblica, 13 luglio 2023
Ecco: vogliamo parlare del quotidiano la Repubblica? Parliamone. E da dove vogliamo cominciare? Potremmo partire dal pezzo in epigrafe, oppure da quel dannato lunedì 24 luglio in cui l’articoletto – ingenuo quanto scioccamente trombonesco – firmato da Alain Elkann sui lanzichenecchi del treno ha praticamente scatenato l’inferno.
Intanto possiamo dire che l’uscita di undici giorni prima dell’intellettuale Michela Marzano, nota habitué del giornale romano e del suo gemello torinese la Stampa, sembra aver preparato il terreno allo scoppio dell’affaire Elkann, che ci ha sfiniti per una settimana alimentando speculazioni e dibattiti ad ampio raggio su stampa e social. La ricostruzione della vicenda è semplice: Alain Elkann, ex genero di Gianni Agnelli e – secondo la vulgata – raffinatissimo seduttore, si trova inaspettatamente a condividere una carrozza del treno Italo diretto a Foggia con un drappello di ragazzi rumorosi e incuranti della privacy. Giunto a destinazione, traumatizzato per aver trascorso ore accanto a giovani esponenti del popolaccio, incontratosi col direttore di Repubblica gli racconta l’accaduto e questi, fiutando lo scoop, lo incita a scriverci un articoletto pittoresco, adatto a questi giorni d’estate. Così ne esce quella cretinata totale che sembra scritta da un ragazzino di terza media, se non fosse per lo sfoggio del Financial Times, del New York Times, della Recherche di Proust e perfino di “Robinson” di Repubblica, il più scadente supplemento culturale che abbiamo in Italia – insieme al gemello TTL de La Stampa.
Insomma, succede che il papà del padrone del giornale arriva a pubblicarvi un “raccontino” inqualificabile, senza che nessuno dall’interno abbia avuto il fegato di far notare la pericolosa stupidaggine dell’iniziativa. Ma non vogliamo dilungarci su questo, perché se ne è discusso a tal punto e da così tante angolazioni che avremmo poco da aggiungere. Ne riportiamo solo qualche spigolatura: «Non è che dobbiamo stare soli di sera: andiamo a cercare ragazze nei night»; «Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica. Mentre facevo quello…» (e viene in mente il Corrado Guzzanti che interroga l’oracolo “Quelo”); fino alla chiusa «e io non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani “lanzichenecchi” senza nome».
Le conseguenze, com’è noto, sono state devastanti. A quel lunedì seguono giornate intere di perculamenti a Elkann e al giornale, con la risentita presa di distanza del comitato di redazione, che in un impeto di schienadrittismo pretende dal direttore la pubblicazione di un comunicato; il direttore non solo rifiuta di pubblicarlo – sarebbe folle dare contro al padre del padrone –, ma rilancia ordinando un’immediata controffensiva agli attacchi della social-sfera, inviando seduta stante lo scrittore-scritturato Paolo di Paolo (che obbedisce come un soldatino) a realizzare un reportage sui “lanzichenecchi femmina”, ovvero le ragazze che infestano i treni al pari dei maschi; lo scrittore-soldatino ovviamente corre a eseguire, confezionando un articoletto insapore che esce mercoledì insieme a due interventi “a difesa” di Elkann in una doppia paginata. Ma il comitato di redazione non demorde ed emana un comunicato sindacale ancora più aspro, che il direttore a questo punto è tenuto a pubblicare, dove in sostanza si depreca il classismo del pezzo incriminato e si rivendica l’impegno quotidiano dei giornalisti a favore della gente svantaggiata e non dei ricconi sprezzanti. In pratica, i giornalisti fanno buuuuu a chi dà loro lo stipendio, perché la paura folle di continuare a perdere lettori (e quindi il posto) supera quella di dar contro al padrone, vista la costante erosione della professionalità, l’esternalizzazione, la cessione di testate satelliti e lo snellimento organizzativo operati unilateralmente dalla proprietà. Insomma, quello che era un piccolo impero sta perdendo pezzi, vendite e credibilità, e in questa situazione anche episodi stupidi come questo possono provocare frane. Se a Repubblica le tensioni col direttore si aggravano, a La Stampa si fa guerra aperta a Massimo Giannini (un romano catapultato a Torino, vi rendete conto?), con la redazione che arriva addirittura a indire uno sciopero.
Si sa che La Stampa è diventato un giornale inutile, sono in molti a rilevarlo, ma anche il gemello maggiore Repubblica pare sulla strada dell’entropia. Il parco editorialisti invecchia, l’opinionismo consolidato non offre più spunti, non riconosce i propri limiti e non accetta di cedere il passo, convinto di una superiorità morale che vede come eterna. Così, le leve dei collaboratori “giovani”, che sono cooptate dai vecchi e da questi modellate, si vedono costrette a macinare ovvietà, essendo impreparate al confronto con la realtà e incapaci di uscire dal circuito devo-scrivere-ma-non-so-cosa-intanto-butto-giù-quello-che-viene. La società dell’informazione spinge sull’acceleratore della rapidità e della semplificazione, questo lo vediamo tutti: così va a perdersi la capacità di restituire la complessità del reale, se manca un autentico spirito di missione.
Così arriviamo al pezzo citato in epigrafe. Michela Marzano, già docente di filosofia morale all’Università Cartesio di Parigi, già definita come “filosofa del corpo”, eletta deputata PD nel febbraio 2013, animatrice del femminismo antiberlusconiano, già comparsa in diverse trasmissioni televisive e autrice di diversi libri, è anche firma assidua delle testate di cui stiamo parlando. Quando esplode il caso del figlio di Ignazio La Russa, il direttore Molinari la incarica di scrivere un articolo: chi meglio di lei? E Marzano, che non ha una mezza idea sul caso in questione perché non si è documentata, non trova di meglio che iniziare mettendo le mani avanti: «Partiamo da una premessa: non conosco A., la ragazza che ha denunciato per stupro il figlio del presidente La Russa, non sono andata a guardarmi il suo profilo su Tik Tok e ho letto in maniera trasversale ciò che di lei è stato scritto negli ultimi giorni». In pratica ammette di non saperne nulla, ma per contratto deve scriverne, quindi le tocca inventarsi qualcosa. Ecco allora che inizia a snocciolare le ovvietà che è abituata a somministrare, praticamente inutili ma che rassicurano il suo lettore-tipo: le cosiddette Formule Ripetute A Vuoto, ovvero FRAV, una specialità in cui Marzano è diventata maestra insieme a diversi colleghi e colleghe che condividono le stesse pagine. Per capire meglio, vediamone alcuni esempi.
1. «E il concetto di “minorata difesa” non è una formula vuota, e significa che quando si è ubriachi si è più indifesi; quando si è sotto l’effetto di una sostanza stupefacente si è più indifesi; quando mancano le parole giuste per spiegare quello che si prova si è più indifesi; quando si postano sui social video o foto di sé in abiti succinti o vistosi si è più indifesi. Punto. Diciamolo a tutti i benpensanti o alle benpensanti».
Qui la prima cosa da notare è il perbenismo della frase che abbiamo messo in corsivo: per puntare il dito contro i benpensanti, Marzano usa una frase tipicamente da benpensante, senza nemmeno accorgersene. Ti mostri in pubblico un po’ discinta? Metti abiti vistosi? Allora sei fragile e a rischio, ragazza mia, e puoi diventare preda di maschi allupati. La sobria studiosa che vive nelle accademie e nei salotti televisivi imprime un marchio – che sa di razzismo strisciante – alle ragazze “perse e fragili”, senza conoscere davvero gli ambienti di cui sta parlando. Poi è evidente la banale ovvietà delle frasi precedenti: l’argomento “se sei ubriaca o fatta sei naturalmente indifesa” è noto a tutti, potremmo sentirlo dire da qualunque impiegata pendolare che viaggia sui treni, anche perché rimane la grande preoccupazione di molti genitori, senza dover scomodare la “filosofa” che insegna in Francia. Non si capisce a cosa serva riproporre gli stessi temi a ogni piè sospinto come se fossero rivelazioni filosofiche, in articoli di giornale che vengono pure pagati.
2. «chi, ragazza o donna, tiene alla propria integrità, deve fare attenzione a come si veste, a quanto beve, a chi frequenta. Colpevolizzando tutte coloro che sembrano scostarsi dalla norma. Sebbene la norma, per le ragazze e i ragazzi di oggi, non esista più: loro fanno quello che possono per restare a galla, anche quando, invece di galleggiare, affogano; e, oggi, stanno (quasi) tutte e tutti in alto mare».
Sono perse quasi tutte e tutti, si badi: per Marzano i giovani che seguono gli studi e stanno lontani dalle droghe sono eccezioni, come trovare aghi nei pagliai. Ma la realtà è molto diversa. Tenere alto il livello di allarme su certi fenomeni che fanno comodo alle proprie tesi è un’usanza diffusa, e gli opinionisti à la carte ci sguazzano. Inoltre, si trascura un aspetto non secondario: siamo proprio sicuri che mostrarsi succinte o mettere abiti vistosi non sia solo un modo di “chiedere aiuto e di rassicurarsi sul proprio valore”, ma punti anche a sfruttare la fragilità dei maschi “destinatari”, per poterli manipolare e sentirsi affermate? Come mai non si coglie questo aspetto e non lo si include nella riflessione complessiva?
3. «Siccome ho bevuto o mi sono drogata allora lui (un lui generico, ché poco importa, oggi, chi sia esattamente lui) può scoparmi? Se ho bevuto, lui deve starmi alla larga. Se mi sono drogata, non si deve nemmeno avvicinare. Se è vero, com’è vero, che il discrimine fra il sesso e la violenza è il consenso – cosa su cui, ormai, chiunque è d’accordo – allora questo benedetto consenso si deve essere in grado di poterlo dare. Poi possiamo (e dobbiamo) discutere su come si può manifestare il consenso, se lo si debba sempre e solo esplicitare oppure si possa anche dare in altro modo».
Ecco servito il capolavoro di approssimazione e sofismi a vuoto: di fronte alla ragazza ubriaca o sballata ci sarebbe un lui generico, un potenziale aggressore senza personalità, un essere appena al di sopra della pulsione animale, pronto a impossessarsi del corpo della donna per profanarlo. Il resto non avrebbe alcuna rilevanza, non importa in che condizioni si trovi questo lui, perché si assume che si trovi nel pieno possesso delle sensazioni e possa calcolare freddamente le sue mosse predatorie. Invece la realtà è ben diversa anche qui: con questo sofisma si perde di vista il vissuto fra coetanei, dove nella maggioranza dei casi se la ragazza è drogata anche lui è drogato, se lei ha bevuto anche lui ha bevuto, e pensare che lui sia in grado di misurare con equilibrio la situazione calcolando che “deve starle lontano” e “non si deve avvicinare” significa non avere la minima contezza di come si vanno a sviluppare queste dinamiche. Marzano sembra argomentare in base a esperimenti fatti con figurine in laboratorio, e non a esseri umani di vent’anni disorientati da una deriva ambientale e comportamentale di cui questi stessi intellettuali sono corresponsabili.
Tornando all’inizio: «non conosco A., la ragazza che ha denunciato per stupro il figlio del presidente La Russa, non sono andata a guardarmi il suo profilo su Tik Tok e ho letto in maniera trasversale ciò che di lei è stato scritto negli ultimi giorni». Ricordiamo ancora questo incipit, per capire una volta per tutte come si muovono le specialiste e gli specialisti in FRAV che scrivono su certi giornali. Anche se non ne sai nulla, scrivine lo stesso, perché basta azzeccare le formule che funzionano, anche stra-risapute. Infatti, la nostra specialista non manca di ricordarci: «Alcol, droga e dipendenze sono il chiaro sintomo di un malessere profondo che noi adulti non vogliamo prendere sul serio». Amen.
Paolo Ferrucci