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Agnus Dei
L'Editoriale
Cavalli, cerbiatti, volpi, gatti, tigri. Animali tanto diversi ma che Franz Marc portò nelle sue tele nel costante tentativo di svelare la natura e le sue leggi, di farsi interprete di quella che chiamò «la seconda vista»:
«Ho sempre sognato dei quadri impersonali: detesto le firme. E non ho mai desiderato, per esempio, dipingere gli animali come li vedo, ma come sono (come loro stessi vedono il mondo e sentono la loro esistenza)».
Questi animali sono fusi a tutto il resto: le linee sinuose del corpo equino seguono quelle del paesaggio, vi si mescolano; più tardi, anche quando le curve si irrigidiranno in forme più definite, in quadrati, triangoli, ellissi, quando la pittura di Marc si farà più geometrica, gli animali saranno spezzettati nella natura, in piena comunione, in una frammentazione simile a quella che i bambini vedono attraverso i loro caleidoscopi.
Nelle opere di Franz Marc si respira una certa colpevolizzazione dell’uomo, nei dipinti come negli scritti teorici. Dai Cento aforismi contenuti in La seconda vista (SE, 1999), ci si perde nella mente di Marc, ed emerge un pensiero in lotta col genere umano, in particolare con l’uomo europeo. Sono pensieri che «non sono nati nel celebrato atelier della modernità, ma in sella e tra il rombo dei cannoni». La Grande Guerra, da cui Marc non farà ritorno, diventa il purgatorio attraverso cui dovrà passare l’uomo europeo per purificarsi da tutto ciò che fino ad allora ne ha avvelenato l’esistenza (curiosamente, in Italia lo scrittore Antonio Baldini darà alle stampe le sue impressioni sulla guerra col titolo di Nostro Purgatorio). Una via crucis necessaria per potersi lasciare alle spalle il «deserto artistico del XIX secolo». Già in questa fiducia nel futuro e nella rinascita di uno spirito europeo vediamo le differenze col pensiero nietzschiano, da cui lui stesso si disse ispirato.
«La guerra, questa “sublime festa dei filosofi”, ci ha fatto mancare sotto i piedi il terreno dei nostri padri. Fluttuiamo nel nulla. Ora dobbiamo creare, riempire il mondo, per poter vivere. Ci sentiamo sobri e vacillanti, credo per la fame».
Questa espiazione è necessaria per poter finalmente creare.
«Le tradizioni sono una cosa bella; ma creare tradizioni, non vivere di tradizioni».
Un passaggio che non tocca gli animali, i quali a differenza dell’uomo sono natura, semplicemente esistono. E Marc li ritrae nel loro spirito, in quelle posizioni arcuate simili alle pitture rupestri, quando gli uomini primitivi rappresentavano non l’animale com’era, ma l’animale nel suo sentire, dove l’animale è tutto azione e niente soggetto. E così deve diventare il nuovo uomo europeo: liberarsi del soggettivismo, eliminare l’io, come scrive Elena Pontiggia nel suo saggio a corredo de La seconda vista, perché nel soggetto risiede già l’errore.
Dal fronte, Marc sogna l’avvento di questo nuovo uomo europeo capace di sollevare il velo, di sentire per davvero, capace di eliminare tutti gli infruttuosi artifici che è andato costruendosi lungo i secoli.
«Ci sono epoche in cui il silenzio è vile e criminoso. Il coraggio di un’orgogliosa inattualità è il segno dei veri profeti.
Ci sono tempi in cui i discorsi saccenti sono un crimine, le chiacchiere davanti alle masse sono il contrassegno dei falsi profeti».
Ecco perché la storica dell’arte Susanna Partsch dice che nel tentativo di dipingere come gli animali vedono, come gli animali sentono, Marc ha dipinto cose umane. Potremmo aggiungere: ha dipinto un’aspirazione, una meta, una liberazione.
Allora Marc lancia le sue fiere contro questi falsi profeti; non per sbranarli, ma come luminose figure di forza. Seguire la scia di quei cavalli blu. Essere un cavallo, essere finalmente spirito.
Valerio Ragazzini
*In copertina: Franz Marc, Volpe blu e nera, 1911