18 Aprile 2019

Israele ha vinto! Tra poco verranno “desecretati” i documenti nascosti di Franz Kafka (e c’è chi spera nel capolavoro inedito e inaudito). Storia del più grande scrittore del secolo ostaggio di un amico, di un’amante, di un tribunale, di uno Stato…

La storia della letteratura non è fatta dai libri, ma dalla ritrosia. Manoscritti nascosti, scritti diffidenti del lettore, scritture indifese. Dentro questa intrepida debolezza bisogna scavare. Nel momento in cui la letteratura, con la nascita della stampa, si fa pubblica, l’artista si ritrae, si conferma in una lingua aliena al comunicare. Rimbaud che dimentica Une Saison en Enfer nella tipografia di Bruxelles; Friedrich Hölderlin che lascia la sua opera pazzesca in fogli sparsi; William Blake che si stampa da sé e Giuseppe Ungaretti che trova, in trincea, un suo superiore, Ettore Serra, che in una manciata di copie, a Udine, pubblica i suoi versi, quei “rimasugli di carta” pregni di illuminazioni; Lev Tolstoj che rifiuta di pubblicare i racconti più estremi – Padre Sergij, ad esempio – ed Emily Dickinson che si affratella al monastero della poesia. Le grandi opere eludono il grande pubblico, anelano a farsi scoprire, scompaiono. In questa fragilità d’elezione è la loro grandezza.

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Il caso assoluto, si sa, è quello di Franz Kafka, che in vita pubblica un fascio di racconti ma la cui fama – corroborata da libri supremi come Il processo, Il castello, Amerika, ad esempio – è tutta postuma. Il più influente scrittore del secolo, vive dell’interpretazione che diamo ai suoi manoscritti, in controluce, prolifera in un prolifico nascondimento, in un profluvio di ombre. Viene a noi, dico, dalla contraffazione e dal tradimento.

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I manoscritti di Kafka, nonostante la richiesta – agiografica – di essere bruciati, cioè provati dalle fiamme, passano di mano in mano come un fuoco. Kafka cede la sua opera all’amico Max Brod – non certo alla volubilità delle amate, Milena, Felice, Dora. Max Brod fa la fortuna di Kafka – e la propria – rifugiato in Israele, pubblicando molto. Poi, a sua volta, consegna i preziosi alla segretaria – e amante e factotum – Esther Hoffe. La quale, coriacea, muore a 101 anni, nel 2007, affidando i documenti alle figlie, Ruth e Eva. Questa storia dove, forse, incrociando i nomi – Esther, Eva, Ruth – possiamo decrittare un destino, ha, ora, una fine. Ruth muore nel 2012; Eva muore nell’agosto dello scorso anno, ma già due anni prima, nel 2016, la Biblioteca Nazionale di Israele ottiene la proprietà dei manoscritti kafkiani in quanto patrimonio ebraico collettivo.

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Franz Kafka, dopo morto, è un ostaggio. Prima è ostaggio dell’amicizia con Max Brod. Poi è ostaggio dell’amore contrabbandato da Max con Esther. Infine, è ostaggio del destino di Israele. A nessuno importa dell’opera di Kafka, per tutti Franz Kafka è una griffe, un marchio. Addirittura – lui, poi, l’inafferrabile – Kafka sigilla una identità, quella ebraica.

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D’altronde, Kafka è ostaggio, pure, di una lotta tra due Stati, Israele e Germania. Kafka, in effetti, di ceppo ebraico, scrive in tedesco. I manoscritti ‘segreti’ di Kafka sono stati oggetto di una lotta processuale, aspra, tra Biblioteca Nazionale di Israele e l’Archivio per la letteratura tedesca di Marbach. Di chi è Kafka? Di Israele in quanto ebreo o della Germania in quanto scrittore che ha abitato la lingua tedesca? Kafka è il pasto di svariati interessati e di diversi interessi. L’ultimo è quello letterario, intoccabile.

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Anche ciò che è becero ha un riscatto in questa storia kafkiana. Esther Hoffe ha venduto, nel 1974, a privati danarosi tedeschi, 22 lettere e 10 cartoline spedite da Kafka a Max Brod. Nel 1988 è riuscita a vendere il manoscritto del Processo agli archivi tedeschi. La dissipazione è insita, credo, nel destino delle grandi opere. Davvero, un osceno feticismo aleggia sui documenti di Kafka, come se tutti, in fondo, volessero accarezzarlo. O mangiarlo. O mutilarlo.

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Ieri – 17 aprile – l’Associated Press di Gerusalemme ha battuto una notizia che farà ululare i kafkologi e i kafkiani. I documenti ‘segreti’ di Kafka, riposti in un caveau a Zurigo – tutti i segreti sono sempre in Svizzera! – diverranno davvero dominio della Biblioteca nazionale d’Israele, che, ha dichiarato, si premurerà di rendere tutto pubblico. Evviva?

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L’anno scorso Benjamin Balint ha pubblicato un libro sulla vicenda dell’eredità dei manoscritti di Kafka, Kafka’s Last Trial, di cui hanno parlato un po’ tutti i giornali occidentali. Io l’ho intervistato, all’epoca, per Pangea. Le stesse cose che mi ha detto allora, le ribadisce ora. Mentre in Israele si esulta – “una raccolta di opere mai pubblicate di Franz Kafka e finora nascoste sarà presto rivelata dopo una battaglia decennale sulla sua effettiva proprietà” – Balint invita alla calma: “è assai improbabile scoprire un capolavoro sconosciuto di Kafka, nonostante possano esserci documenti di valore”. Quando gli ho chiesto di specificare l’entità di questi documenti, Balint mi ha detto, “Per una risposta compiuta dovremo attendere, ma l’inventario incompleto del materiale nei caveau di Tel Aviv e di Zurigo, che procede per 170 pagine, elenca circa ventimila lettera – tra cui le settanta lettere di Dora Diamant, l’ultima amante di Kafka, a Brod – i diari inediti di Brod, due dozzine di disegni sconosciuti di Kafka e i manoscritti originali dei racconti di Kafka (tra cui, Preparativi di nozze in campagna)”. Tra questi racconti, gli studiosi ipotizzano di trovare varianti di interesse e finali inediti.

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Prima recluso in un caveau, ora Kafka, ben stagionato, sarà utile per proclami pubblici, politici. La sua opera resta ciò che è: un inattaccabile magma di mostri e di gigli. Morso, scandito, scannato, di Kafka abbiamo letto lettere, diari, pensieri. Tutti abbiamo vissuto la sua vita, dalle scuole, fino al punto che la sua vita, ora, non esiste più, non è mai esistita. Kafka è come una spina di luce nel retro dell’iride. (d.b.)

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