
Rainer Maria Rilke: il poeta che ha scritto la morte per celebrare la vita
Poesia
Maura Baldini
Nato in Cina, nel 1929, da una famiglia di accademici, François Cheng ha cominciato gli studi a Nanchino. Dopo la Seconda guerra, i genitori mirano agli Stati Uniti: la Cina è squassata da conflitti intestini. François Cheng, tuttavia, preferisce stabilirsi a Parigi, consacrandosi allo studio del francese. Nella sua biografia, si dice di “un periodo di adattamento piuttosto lungo, segnato da privazione e solitudine”. François Cheng trova occupazione stabile negli anni Sessanta, come professore; da quel tratto cronologico comincia a tradurre i grandi poeti cinesi in francese e i grandi francesi in cinese. Nel 1970 pubblica il primo saggio, dedicato a un poeta di epoca Tang, Zhan Ruoxu. Seguiranno diversi scritti, spesso su poeti-monaci e calligrafi cinesi; contestualmente, François Cheng inaugura la propria via creativa: il romanzo Le Dit de Tianyi (Albin Michel, 1998) ottiene il Prix Femina; nel 2005 Gallimard comincia a pubblicare le sue poesie (À l’orient de tout).
In Italia, François Cheng è noto soprattutto per i saggi, che si muovono con levità tra Oriente e Occidente: Cinque meditazioni sulla bellezza; Cinque meditazioni sulla morte; L’anima. Sette lettere a un’amica sono editi da Bollati Boringhieri; l’anno scorso Morcelliana ha pubblicato Vuoto e pieno. Il linguaggio pittorico cinese. Eppure, François Cheng è primariamente poeta. L’ultimo libro, edito da poco per Gallimard, Suite orphique, raduna “99 quartine”: il linguaggio lirico è astratto, spesso ferreo, dal nitore sapienziale. I versi – brevi responsi affidati al vello del fiume – sono una lenta preparazione alla morte. La ‘quarta’ avverte che “Il mito di Orfeo è interpretato e reinventato come passaggio dalla morte alla vita, in una sintesi abbagliante che accosta il mito greco al taoismo e al cristianesimo”. In verità, il primo modello di Cheng sono I sonetti a Orfeo di Rilke: soltanto, qui non c’è più nulla da salvare – il punto è, semmai, lasciarsi andare. Orfeo è sbriciolato in una grandinata di cristalli: il linguaggio rischia di essere algido, disincarnato, a differenza di poesie analoghe, raccolte, ad esempio, in Enfin le royaume (2018). Qui si dà, in anteprima, qualche traduzione a mo’ di esperimento.
La ‘quartina’, per sua natura, d’altronde, è uno spiraglio, uno spioncino: di dio si intuisce la schiena, forse l’anca, il remoto mugghiare; la visione al dettaglio rende alcuni microscopici oggetti della spiata stanza dei capodogli. Il cuore, in questo ambone, ha la grandezza del toro o quella dello spillo. Il ring dei quattro versi obbliga alla spietata sintesi: il poeta ha solo un colpo in canna, deve uccidere il lettore con un unico gesto del coltello.
Meridiano incrocio di culture: François Cheng scrive in francese, usa modi lirici che ricordano l’arcana tradizione cinese, incorpora una formula poetica, la ‘quartina’, canonizzata dal grande poeta-filosofo persiano ʿUmar Khayyām con le sue Rubʿayyāt. Anche qui, l’esaltazione del quotidiano, degli oggetti vili e vividi, di tutti i giorni, si lega alla vertigine della meditazione sulla morte e sull’insensatezza delle ambizioni umane; l’aulico lega col volgare, il minuscolo con il cosmico. Di per sé, la ‘quartina’ si presta all’avventatezza dell’istante, è passatempo sacro, registra umori transitori. Proprio l’effimera efferatezza delle ‘quartine’ – specie di libellule in un cascame di luci – le rende eterne, chiavistelli di una liturgia profana, d’umane disperazioni, di carnali speranze.
François Cheng è stato ‘inurbato’ tra gli Accademici di Francia nel 2002. Occupa il seggio 34 che fu di Fénelon e di Jacques Bainville; prima di lui lo occupava Jacques de Bourbon Busset. Nel discorso di accettazione, François Cheng parlò della Francia come del “‘paese di mezzo’ dell’Europa occidentale, aperto a tutti gli orienti”. Cinese sbarcato in Francia senza conoscere il francese, disse di sentirsi “un pellegrino”:
“Fin da ragazzo, in Cina, avendo vagabondato a lungo a causa degli eventi bellici, mi sono sentito un ‘pellegrino sulla terra’. Più tardi, il mio destino mi ha affibbiato la sorte di ‘pellegrino in Occidente’. Cercando di conoscere le cose migliori che l’Europa è stata in grado di realizzare, rifiuto di porre limiti alla mia ricerca. Non ci sono luoghi remoti che non voglia visitare, non esistono luoghi che non mi costringano a produrre il mio miele”.
Tra wanderer e pèlerin, in effetti, si realizza il genio della cultura occidentale, fondata su Ulisse, Marco Polo, Dante, Francesco d’Assisi. Bisogna uscire da sé, addestrarsi alla marcia, avere piedi buoni.
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François Cheng
a chi abita la poesia
Apri le imposte e la notte ti assale:
le sue lave, i geyser si mescolano
a chi sei, ai tuoi dolori, alle tue emozioni
ne viene il suono di una antica ninna nanna.
*
Brina abbiamo bevuto
in cambio del sangue:
la terra è bruciata cento volte
che siamo grati di essere vivi.
*
Sul greto secco del fiume vivono i morti
i vivi vivono in un vecchio vulcano spento.
L’estate, finalmente gravida di piogge, restituirà
alle vedove le lacrime, le risate agli orfani?
*
Non ti seguiremo fino alla meta, sentiero!
La seria ci è accanto presso il fuoco color di vite.
L’orizzonte degli uccelli migratori è lontano, troppo:
andremo a ovest, dove il lago ci fa cenno.
*
Mura all’interno, siepi ovunque:
la primavera non ha più catene e non ci
protegge. Al fondo della terra d’esilio, le nostre
nude mani recano i roseti oltre l’oblio.
*
Sul fondo della notte, una soglia illuminata
ci attira verso il suo dolce mistero.
I grilli cantano l’eterna estate: da qualche
parte ciò che abbiamo vissuto resta integro.
*
Campi fumanti abbandonati dai piccioni:
i nostri ricordi dissepolti serbano un autunno.
Lascia che di lontano ci abbagli un frammento
di bianco muro: la terra dei sogni naviga all’infinito!
Da: Enfin le royaume, Gallimard, 2018
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Ai vivi e ai morti
Non dimentichiamo i morti né la nostra morte;
dobbiamo morire, per questo siamo disposti allo slancio.
Dall’indicibile al canto, la nostra voce è orfica:
tramuta gli assenti in presenza che arde.
*
La morte non ci separa dai morti, rinvia
alla loro trasformazione. Ci scambiamo idee
sul prossimo cambiamento. Ogni aspirazione partecipa
dell’indivisibile Soffio che senza sosta muta la Via.
*
I morti sono tra noi, si mescolano alle ore
ci intimano all’ascolto… Iniziati
dalla prova abissale al grande segreto
non si fermeranno prima di rivelarcelo.
*
Andrò dove hai camminato, dove
hai steso la mano senza ricevere aiuto
dove hai gridato senza intendere eco:
tu, pane Pietà che disarmato mi nutri.
*
Mi unisco a voi, varco paura e dolore:
attraversiamo insieme il ponte, come al principio.
Ai lati, un campo che nessuno può raggiungere.
Il sangue già sboccia, più vivo di un grido.
Da: Suite orphique, Gallimard, 2024