13 Marzo 2022

“...e il disordine succeda all’ordine”. Franco Fortini, o l’impeto dell’attimo

Se volessi un’altra volta, e un’altra volta ancora provare a metter per iscritto quel che sento esplodere nel petto, prorompendo in mille singole lettere sfumate a cadere sul foglio; di certo non avrei dubbi o remore di alcun tipo.

Se solo volessi o tentassi a più non posso l’inaudito scatto della fiera, che orgogliosa balza contro la preda o al nemico, improvvisamente e senza dubbio alcuno, sprigionando sentimenti, ferocia o ironia, tutto tornerebbe immediatamente chiaro e nitido, nonostante qualsiasi tristezza possa assalirmi, e nonostante qualsiasi ferita possa bruciare ancora a dismisura.

Credo allora che forse sia questo quello che Franco Fortini abbia voluto esprimere in una delle sue poesie, sempre più mature di lui stesso, eppure così forti e vere e sagaci. Un Fortini a me sconosciuto, che pur attrae fin da subito nei versi in copertina di ogni sua raccolta poetica.

E perciò penso che non conta l’età per dover e poter scrivere; che non conta il discernere vuoto o pieno. Ha importanza piuttosto l’impeto dell’attimo, prima che esso possa sfuggire e sfuggirci per sempre. Poiché esso soltanto racchiude il vero, tra disincanto e senso della propria esperienza.

Se volessi un’altra volta queste minime parole
sulla carta allineare (sulla carta che non duole)
il dolore che le ossa già comportano

si farebbe troppo acuto, troppo simile all’acuto
degli uccelli che al mattino tutto chiuso, tutto muto
sull’altissima magnolia si contendono.

Dunque siamo noi a soffrire, ad esser perituri. Non le parole che scaglieremo, lasciandole intatte su un foglio, vergato a fuoco nel per sempre. Ma, anzi, è grazie proprio alle parole che ci escono dal cuore, pulsando nella pelle, che noi ci salveremo. Noi poeti e scrittori, dal senso compiuto in uno scritto, propensi persino a salvare qualcun altro che forse nemmeno mai conosceremo.

Per salvare e per salvarci dal non senso, affronteremo quindi qualsiasi dolore. Entreremo nell’inaudito; affrontando abisso o ignoto che sia di fronte o intorno a noi. Descriveremo la semplicità grazie alle parole: che dono immenso…

Si scrive dunque (provando a omaggiare Cristina Campo) per l’ordito, seguendo il percorso del tessuto, beati e commossi su un tappeto ricolmo di disegni e arabeschi che sanno e dicono soltanto di poesia. Ce lo dice così chiaro e forte anche Fortini:

Ecco scrivo, cari piccoli. Non ho tendine né osso
che non dica in nota acuta: «Più non posso».
Grande fosforo imperiale, fanne cenere.

Ci è possibile, ci è consentito farlo, per trasmettere il dolore su una carta che non duole. Sul foglio bianco che sempre attende il poeta (che ci attende sconosciuti a noi stessi), brucerà tutta la nostra passione: destino incolmabile fino a farsi dono, fino a farsi cenere: “si dissolva quanto è composto e il disordine succeda all’ordine”.

Giorgio Anelli

Gruppo MAGOG