
Barbara Alberti o della rivoluzione letteraria
Letterature
Edoardo Pisani
’A Fra’, t’hanno fatto ’na mascalzonata che la metà bastava. Hanno scritto un libro, sulla vita tua, e l’ha scritto uno che dice d’esse stato amico tuo, di certo con te ha scritto tante canzoni, e questo qui dice quasi in ogni pagina che tu eri un drogato perso, un malato, uno che pippava tutti i giorni, ogni 2 ore, per 50 anni filati. E per fortuna che era amico tuo, Fra’, pensa se te voleva male, quante altre brutture se sarebbe potuto inventa’, dice pure che tu per lui sei stato come un padre, che lui te chiamava Poeta, che gli manchi… Fra’, lo so, doveva succede, me lo dovevo aspetta’, e chissà quanti altri verranno che me faranno inca*za’, me faranno male come m’hanno fatto male ’ste pagine qui. Fra’, me fa male che te sparlano, ma di più me fa arrabbia’ la convinzione, la certezza di sapere che se tu fossi vivo, non lo farebbero, non c’avrebbero le p*lle de fa nulla, figuriamoci avecce il coraggio de dì certe cose guardandoti negli occhi. Farti la morale su come eri e vivevi, ce ne vole de mancanza de vergogna pe’ scriverne, tu che n’hai mai voluto esse’ da esempio a nessuno e mai a nessuno hai detto come pensare e comportarsi, tranne che lottare per difendere la libertà con cui nasciamo, e che spesso ci facciamo rubare da fessi che siamo.
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Fra’, io e te non ce semo conosciuti, non m’hai dato il tempo, te ne sei andato via prima che io della vita ce potessi inizia’ a capi’ qualcosa. Oggi ho recuperato, e con gli interessi, vale a dì che per qualcuno ho sofferto e pure troppo: ma se a vole’ bene e a dannamme pe’ ’sto bene me so’ marchiata, caro Franco, è pure merito tuo, tu che m’hai insegnato la legge fondamentale, quella che dice che tutto finisce, anche la storia più bella, l’amore che credevi più vero. E che imparare a vivere significa accettarla, ’sta regola, riuscire a convive co’ ’sto dolore. Se deve riuscì a sopravvive a quello che hai inciso in Io nun piango, e ce vole forza sovrumana a farsi un ritratto come te lo sei fatto tu, ogni volta che cascavi nello sguardo/de’ ‘n cane vagabondo perché/ce somijamo in modo assurdo/semo due soli al monno/io me perdo, in quell’occhi senza nome/che cercano padrone/in quella faccia de malinconia/che chiede compagnia.
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’A Fra’, senti un po’: dentro ’sto libro ce sta una che dice che è tua moglie, ma tua moglie vera, che t’ha sposato in Svizzera perché in Italia non te poteva sposa’ non essendoce ancora il divorzio, e appunto essendo lei già sposata. Come è possibile ’sta cosa, Fra’, è vera? Che poi a dilla tutta pure tu eri già sposato, te sei sposato a 19 anni, co’ ’na ragazza che aspettava un figlio tuo. Figlia che poi è nata, ma tu te n’eri già scappato, che dentro alla gabbia del matrimonio un animale libero come te non ce po’ sta. E però, Fra’, le lettere che in questo libro mettono a prova del matrimonio co’ quest’altra… so’ le tue. La calligrafia me pare proprio la tua, ma di più certi passi, Fra’, sei tu. Sei tu qua che scrivi: “Un uomo, è facile ferirlo: un uomo è anche la sua paura, la sua stanchezza, il suo bisogno di tenerezza, di comprensione, e le sue manie, le sue angosce, la sua ansia di vivere, che è voglia e paura insieme, il senso di solitudine che si porta appresso”. ’Ste lettere, Fra’, so’ le lettere tue dal carcere, la prima volta che ce sei entrato, e però, uno che dice che è stato amico tuo e che t’ha voluto bene, dovrebbe scriverla questa grande verità: che la fedina penale tua, Fra’, era pulita. Immacolata. Tu sei stato assolto da tutto, e con formula piena. Il fatto né la prima, ma nemmeno la seconda volta, “non sussiste”. Te sei fatto anni di carcere da innocente. La prima volta, nel 1970, sei finito dentro co’ Walter Chiari, Lelio Luttazzi, accusato di uso e spaccio di droga, ma tu, Fra’, la droga la prendevi “per uso personale”, appunto, mai spacciato niente. La seconda volta, era il 1983, sei finito dentro co’ Enzo Tortora, accusato da ‘certi’ pentiti, d’esse in combutta con la camorra. Che orrore, Fra’, che pena vede’ quelle tue foto sui giornali, che strazio a immaginare il chiasso del tuo arresto sul palco, e la paura, la solitudine, lo schifo che po’ esse la vita in carcere. C’è un tuo libro, ché tu i libri non li leggevi (e st’amico tuo, dentro ’sto libro suo, invece te vo fa passa’ pe’ n’intellettuale, e me fa l’elenco de quelli che tua moglie te faceva legge!) però i libri li sapevi scrive, e il meglio è Ti perdo. Diario segreto di un uomo da strada, che non riesco a trova’ e che, a aspetta’ che lo rieditano, faccio prima a annallo a ruba’ all’unica biblioteca de Roma che ce l’ha! Ma pure Senza manette, quello scritto con Pierluigi Diaco, che bello che è, te svena legge i tuoi ricordi del carcere, di quei due tuoi compagni di cella, “du’ poveri cristi, che m’hanno voluto bene, e chissà che fine hanno fatto”. La lettera più bella, Fra’, è quel biglietto che ti scrive Mina e tu stai dentro per la prima volta, e Mina te lo promette, che appena esci, fa un disco intero co’ te: è Amanti di valore, il primo disco tuo – e di Mina – che ho comprato. Lo posso di’, Fra’, che Mina è stata l’unica con cui non c’hai provato? Cioè, tu c’hai provato, ma lei t’ha detto no, perché veniva fuori da quel casino co’ Corrado Pani, e tu e Pani siete uomini che le donne le fate dannare, e Mina non se l’è sentita de rovinasse appresso a te.
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La verità de ’sto libro, de ’sta biografia che te fa passa’ pe’ quello che non eri (e un giorno lo scriveranno quel che eri, ce sarà chi sarà capace d’entra’ dentro l’anima tua pe’ scavanne il giusto) è quel tuono. È vero, Fra’, che al funerale tuo, quanno t’hanno portato fuori dalla chiesa, appena t’hanno posato, c’è stato quel tuono da Golgota. Fra’, me devi scusa’ se in tutti ’st’anni, non so’ mai venuta a portatte un fiore. Metto sempre la scusa che stai lontano, che te sei annato a rifugia’ fuori Roma, ma hai fatto bene, Roma è diventata ’no sfacelo. Invento mezzi impegni pe’ non venicce, la realtà è che so’ vigliacca, e non ce l’ho la forza, nemmeno de da’ n’occhiata alla stanza-museo che t’hanno dedicato. ’A Fra’, ma lo sai che da quando non ce sei, i rotocalchi so’ pieni de donne che dicono che t’hanno amato e t’amano, e litigano per chi è stata l’amore tuo, e giurano che il core loro batte ancora pe’ te? Pe’ non parla’ de tutti l’amici che c’avevi. E com’è che ’sta folla de persone, quanno c’avevi davvero bisogno, t’ha lasciato solo?
Barbara Costa