Scrittori eccezionali richiedono lettori disposti a diventare altrettanto. Scrittori eccezionali ce ne sono e poco cambia siano o non siano più in vita: uno scrittore è tale quando la sua opera ha una autonomia, una armonia, che la salva dal tempo perché lo supera, la sua durata va oltre le date di nascita e morte, oltre le prime e ultime pagine. Francisco Umbral è uno scrittore eccezionale perché inventore di una lingua, di uno stile, che avrà sempre qualcosa da dire a chi lo incontrerà, leggendolo, capace di aprire un discorso sia storico che metastorico. È osservando il proprio tempo senza farsi sconti né farne che lo si può sfondare e entrare in quei territori del verbale nei cui riguardi siamo tutti contemporanei poiché accomunati da una forma-senso con cui poterci misurare. Quando ho letto “La notte che arrivai al Cafè Gijón” (Settecolori, 2022) nella folgorante traduzione di Giuliana Calabrese, istantanea è stata la voglia di domandarle della sua esperienza con la scrittura e dunque con la persona di Francisco Umbral. Dobbiamo essere sempre grati ai traduttori. Sono gli intermediari tra mondi linguistici e dunque più che reali. Sono i ponti tra gli scrittori e i lettori, e se non possono esserci lettori senza scrittori, lettori di cosa sarebbero?, uno scrittore senza lettore è un ponte sospeso sul fiume, in attesa di chi farà la sua parte per completare la campata, perché non sia campata in aria soltanto. Leggere Umbral e desiderare l’impresa eccezionale che ne venga tradotta l’omnia è stato un tutt’uno. Scrittori eccellenti richiedono lettori eccellenti. Scrittori eccellenti ce ne sono. (antonio coda)
Scrive Francisco Umbral in La notte che arrivai al Cafè Gijón: “La letteratura è un uomo, per quanto ci giriamo attorno”. Che idea di sé, di scrittore e dunque di uomo, costruisce Umbral?
Francisco Umbral è uno scrittore denso, come lo è il suo libro. A partire dal libro provo a dare una definizione di Umbral, per quanto complicato sia: è il cronista del suo tempo. Più che a una autobiografia, più che a un memoir, a me piace pensare a La notte che arrivai al Cafè Gijón come a un libro di cronaca, e a Umbral come all’occhio che girovaga per Madrid, che la vive, che nella scrittura riporta quello che raccoglie lo sguardo. È impossibile per lui però, data la sua portata umana e letteraria, prescindere dalla sua caratteristica di uomo, e quindi oltre a essere l’occhio che vigila sulla Madrid che si prepara ad uscire dalla dittatura franchista è anche il tocco, stilistico, con cui plasma tutto quel che vede. È lui che ha affermato la letteratura e la scrittura corrispondano allo stile, ed è con il suo stile voluttuoso e corporeo che seduce il lettore. Per Umbral lo stile è il valore supremo con cui realizza il suo progetto letterario in divenire. Di fatto scrive un libro continuo, dagli esordi fino alle sue ultime opere.
Programmatico l’esergo del libro, una citazione da Valéry: “La sintassi è una facoltà dell’anima”. Dunque: Francisco Umbral è la più grande invenzione di Francisco Umbral. E quanto della Madrid di cui fa la cronaca è altrettanto una sua grande invenzione stilistica?
Madrid è un punto chiave della sua scrittura. Marco Ottaiano, grandissimo esperto di Umbral ed eccellente ispanista, definisce Madrid un genere letterario. Che lo sia gli scritti di Umbral lo dimostrano in modo lampante. Per Umbral, Madrid è uno spaziotempo, cioè è la nazione che si sta preparando per una democrazia che deve arrivare ma che sembra non arrivi mai, come pure è il tempo frammentario del postmoderno, al cui interno non si riesce più a seguire un filo unico con cui si possa raccontare una storia con un inizio e una fine precisi. Frammenti di discorsi, momenti, incontri. Da qui la galleria dei ritratti letterari che offre la sua letteratura.
Massivamente democratico è il modo con cui Umbral censisce i personaggi presenti nel suo libro, riservandogli pari spazio, dai Nobel agli scrittori aspiranti, oscuri. Come se il merito comune fosse solo quello di essere entrati nella sua scrittura.
Il loro merito comune è stato quello di destare la sua attenzione, positiva o negativa che fosse. È evidente la sua ammirazione come lo è pure, quando c’è, la sua grande noia nei confronti di determinate opere e artisti. Umbral è stato un uomo che per il grande privilegio della sua mente doveva annoiarsi con molta facilità. Il tema dell’attenzione del resto deve essere posto anche al lettore di Umbral: come abbiamo detto, protagonista delle sue opere è indiscutibilmente l’invenzione di un linguaggio plastico, inedito, innovativo, da qui la sfida di poterlo rendere in italiano. Il lettore di Umbral non dovrà misurarsi soltanto con una proposta narrativa, con un inizio e una conclusione e mai una piega linguistica in mezzo. È uno dei motivi per i quali non entra nel filone degli scrittori normalmente tradotti dallo spagnolo. Umbral va letto frase per frase perché ogni sua scelta lessicale è importante, è significativa. È uno scrittore immerso nel tempo, nella propria epoca, che richiede un lettore disposto a condividere del tempo con lui, con la sua opera letteraria.
Con le parole di Francisco Umbral: “il poeta di cui mi vergognavo si travestiva da narratore”.
Lo studioso spagnolo Miguel García-Posada ha definito la scrittura di Umbral una prosa poetica, nel suo senso più alto e più stretto. Umbral inizia la sua avventura, prima ancora che da scrittore, da lettore di poesia e basta. Questo lo colloca all’interno del periodo storico in cui si forma: Umbral è uno dei bambini del freddo, come amava definirsi, cresciuto sotto dittatura, quando la Spagna moriva letteralmente di fame. Le poche opere che aveva a sua disposizione erano quelle che sfuggivano alla censura quindi le raccolte poetiche, che erano più criptiche per l’occhio del censore. Umbral acquisisce le sonorità poetiche, le riversa nella sua scrittura e in traduzione queste sonorità vanno mantenute, poiché la sua è una scrittura che acquisisce senso tramite la forma, forma che diventa a sua volta storia, articolo, cronaca. Umbral è affascinato dagli endecasillabi, gli riescono naturali, fanno parte del suo essere e quindi del suo esprimersi in scrittura, perciò bisogna avere un orecchio allenato per coglierli in pieno, e una maggiore e leale attenzione per tradurlo senza perderne il suono.
Umbral scrive La notte che arrivai al Cafè Gijón intorno ai 45 anni, nel ’77, e scrive di ricordi e vicende che risalgono ai primi anni Sessanta, quando lui andava per i trenta, eppure ne scrive come dalla fine di un mondo, come da una distanza temporale ben più siderale. Umbral stesso parla di “memorie premature”. C’è stato un evento storico-culturale tale da giustificare questa grande frattura che non sembra possa essere solo biografica?
In Spagna sono avvenuti dei fenomeni non solo storici, relativi alla fine della dittatura, che hanno a che fare con la dicibilità di un mondo e con l’elaborazione di una memoria collettiva. Quando finisce la dittatura nel ’75 la Spagna si avvia verso una sorta di patto dell’oblio. Con le dinamiche politiche del caso, col capo di governo di quel momento che decide di voltare pagina pur di avviare un processo di transizione verso la democrazia, con tanto di amnistie, per dire che non si trattava di un vago concetto ma di disposizioni vere e proprie. La Spagna vuole dimenticare quello che è successo con Franco e avviare uno Stato nuovo e democratico che si fonda sulla Repubblica del 1931, divenuta ormai mitologica. La volontà di dimenticare, politica ma comunque diffusa in tutta la società, nelle vittime e nei vittimari, diventa un trauma che potrà essere elaborato molto in seguito rispetto al momento in cui ci si sta rendendo conto che una dittatura è finita. È un trauma che affligge il territorio del verbale. Il processo di elaborazione del lutto, dalla dittatura alla democrazia, di recupero della memoria storica, avverrà in seguito, intorno al 2007, con il governo Zapatero. Umbral invece scrive a ridosso del trauma, dello spartiacque avvenuto nella sua vita privata e nella vita di tutta la società spagnola, anzi è sua ambizione, tramite la sua opera, farsene rappresentante.
In Umbral si sente forte il legame estetico-etico-politico. Nel libro scrive: “Perché in Spagna si può essere progressisti in fatto di politica, ma con la letteratura tutti quanti sono conservatori, perfino i progressisti politici”.
La dittatura, per via della censura, rende problematica la scrittura in prosa così come la sua trasmissione all’estero. Il caso di Umbral però è differente. Non si è dichiarato mai a favore di un versante o dell’altro, anche se poi a posteriori è stato evidente a chi andasse il suo favore. È stato tramite l’invenzione di una forma che Umbral ha messo in sicurezza la dicibilità di un mondo. Umbral plasma, definisce e critica l’esistente attraverso un linguaggio che rende tutto ben visibile. Rispetto al momento storico è stato un sovversivo formale. Nel caso di uno scrittore la forma è sostanza.
È un libro sugli scrittori, sullo scrivere, sulla scrittura. Nella Nota del traduttore in coda al libro analizzi “la mimesi della lingua di Umbral”, il suo lavoro anche di ricerca lessicale, fai l’esempio del compromesso di traduzione necessario per rendere la parola criada. Qual è stata la tua esperienza con la lingua di Umbral?
Tradurre Umbral ha il carattere dell’impresa insormontabile. Guarda: fin dal titolo, con la noche in spagnolo che non collima con la notte in italiano, per quanto notte certo rispetti la sonorità meglio della parola sera. Quella di Umbral è la noche scintillante del Cafè Gijón, per la quale sarebbe valso il termine che avrebbe coniato lui stesso più avanti, la movida. Al primo momento, quasi di cedimento, segue però quello dell’immersione, addirittura del contagio: del suo ritmo, della ricercatezza dei termini, che ti porta a capire la necessità di ampliare la lingua di arrivo, di estenderla perché possa accogliere la ricchezza e la novità della lingua di Umbral. Tradurlo è significato sottoporre l’italiano a uno sforzo sintattico: le frasi in spagnolo sono di per sé più lunghe di quelle in italiano, e quelle di Umbral lo sono ancora di più, per la vorticosità che le contraddistingue. Allo stesso tempo è significato saper mettere i giusti limiti, non lasciarsi sommergere dallo stile, tenere la traduzione entro gli ambiti della forma-senso. Trovare quei termini che richiamino alla memoria parole che rispecchino non solo lo spettro semantico ma anche che conferiscano la stessa immagine alla mente del lettore, attraverso strumenti sonori. Certo, poi ci sono delle parole che ingolosiscono molto la riflessione, è il caso appunto della parola criada, che io ho reso con la cara serva o la serva tanto amata dalla famiglia. Umbral ne andava fierissimo. Mirava sempre a essere provocatorio e se una singola parola era così politicamente scorretta, come la definiremmo oggi, ma stimolava una riflessione sociale, o anche solo famigliare, lui la cercava e la inseriva a tutti i costi. E chi lo traduce deve rispettare la sua scelta.
Durante la traduzione hai incontrato un personaggio-evocazione che ti ha colpito particolarmente? Ti dico qual è stato il mio: Nazareth, la modella che “aveva il profilo di un cavallo greco”, anche per lo scambio fulmineo di battute che Umbral trascrive: “ – Hai una vita molto frenetica, Nazareth. – Figuriamoci, mi annoio a morte”.
Mi colpisce il momento in cui va a incontrare Aleixandre, per i riferimenti nascosti nel suo discorso a titoli famosi della storia della letteratura spagnola. Occorre l’accortezza di riconoscerli, e la delicatezza di riproporli, in traduzione, mantenendo il riferimento per chi li possa cogliere. Come pure mi hanno colpito, più che un personaggio, le pagine con la descrizione delle sue letture, in cui crea delle metafore per ciascuno degli scrittori che hanno formato il suo mondo letterario. “Heráclito es una hoguera blanca en el sol de Grecia. Quevedo es un retablo de iglesia barroca que de pronto mea por el pito de todos sus angelotes. Proust es una raqueta de tenis elegante que por las noches se metamorfosea en violín y canta”, e a proseguire. Sono immagini potenti, iconizzanti, che lui impara da un altro grandissimo della letteratura spagnola che è Ramón Gómez de la Serna, l’inventore delle geniali greguerías.
La notte che arrivai al Cafè Gijón è un libro-biblioteca, un libro-enciclopedia, o ancora: e se fosse il più bel manuale di letteratura spagnola mai scritto?
È un manuale, che certamente nasconde la lettura personale di Umbral, il suo canone, ma ancor di più io lo definirei un albo illustrato della letteratura spagnola, composto da personaggi, momenti, frammenti visivi, montati su uno scenario, che è appunto quello della letteratura. Mi viene a mente una definizione brillante fatta di Umbral: è un caleidoscopio monocolare. Mette a fuoco quello che secondo lui va salvato, ma per forza di cose, del contesto storico, del discorso postmoderno che si sta generando, lo fa con una scrittura che non può formare un manuale. Un manuale prevede un ordinamento logico, consequenziale, che in quel frangente non è dato.
“Perché quel che si cerca nelle persone che si ammirano, nelle amicizie sincere, è la conferma di un desiderio segreto: che qualcuno si salvi dal tempo”. Tra i tanti nominati da Umbral, contando male ne ho contati più di trecento, chi vorresti fosse salvato dall’oblio, trasportandolo anche in traduzione?
Bene o male, e magari non nei loro esperimenti più riusciti, i nominati da Umbral sono stati tutti tradotti in italiano. Piuttosto, volendo usare come riferimento il diverso corso di stampa di cui godono per esempio i due premi Nobel Vicente Aleixandre e Camilo José Cela: bisogna tener conte del genere, che è discriminante. È difficile tradurre poesia ed è molto difficile trovare un pubblico di lettori di poesia. Tradurre poi un poeta premio Nobel è una impresa ancora più ardua. Di Aleixandre ci sono opere da recuperare, anche se buona parte è stata tradotta dall’ispanista Gabriele Morelli, che proprio in questi giorni ha ricevuto il Premio Eñe in presenza del re di Spagna per il suo lavoro di diffusione e promozione della lingua spagnola. Va anche tenuto in considerazione che la prosa scritta durante il periodo della dittatura molte volte mancava di una storia con cui poter avvolgere un lettore, perché di storie non si poteva parlare, rischiava perciò di apparire troppo statica. Si tratta di romanzi che richiedono una grande attenzione, un approfondimento da parte di un lettore amante del fatto letterario in sé più ancora che di una letteratura nazionale. Questo può averne comportato una mancata diffusione al di fuori dallo spagnolo.
La notte che arrivai al Cafè Gijón, libro inclassificabile, tra le tante cose è anche la storia di un ragazzo di provincia che lotta per avere una stanza tutta per sé, nella capitale, proprio per poter smettere di frequentare i caffè ogni sera e potersi dedicare alla scrittura di un libro. È una lettura ammissibile quella di un incantevole disincanto umbraliano?
Tornando al dato biografico: Umbral scrive questo libro durante il passaggio definitivo all’età adulta. Non conduce più la vita giovanile che gli aveva fornito tanta ispirazione letteraria. Dopodiché il desencanto è anche un passaggio storico, è un termine che sceglie Umbral stesso non a caso; è il sentimento che pervade la società quando si passa alla democrazia, di forte disillusione quando la tanto attesa irruzione nella vita europea in realtà non regge all’impatto con la realtà. La democrazia spagnola si attua in modo blando, con la figura del re nominata su indicazione di Franco, insomma non è esattamente come ci si augurava che fosse. Per Umbral tutte queste attese ritornano ad avere un senso soltanto nella letteratura.
“Del romanziere-romanziere bisogna leggere i romanzi (…). Ma dello scrittore-scrittore bisogno leggere quel che scrive e, se no, siete voi che ci perdete”. Cosa bisogna leggere di Umbral?
Mortal y rosa resta di sicuro, disponibile in italiano nella raffinata traduzione di Claudia Marseguerra. Bisogna poi leggere Un ser de lejanías, uno dei suoi ultimi libri: si ritorna a Madrid, come in La notte che arrivai al Cafè Gijón, ma con una visione differente, non più quella del giovane uomo appena accolto dalla capitale ma quella del riconosciuto letterato che sta andando verso la conclusione della sua esperienza di vita, segnata da moltissimi drammi e dolori. Madrid quindi come simbolo di una storia più grande, Madrid come genere letterario. Esiste un’altra traduzione italiana di Francisco Umbral, il libro è Storie d’amore e di Viagra ed è stato tradotto in modo raffinatissimo da Gina Maneri; un vero peccato non sia stato dato seguito alla pubblicazione.
Scrive Umbral: “Ho quasi sempre avuto bisogno di avere un libro in cantiere(…). Altrimenti sembra che la vita si sfilacci”. Cosa c’è nel cantiere di Giuliana Calabrese?
Per Settecolori sto traducendo il romanzo dello scrittore peruviano Alfredo Bryce Echenique, l’uscita è prevista nel 2023, il titolo è ancora redazionale. È un romanzo di formazione, di un ragazzo della società borghese degli Anni Cinquanta, a Lima. Per Echenique vale lo stesso discorso da fare su Umbral: sono scrittori che con le loro opere vogliono instaurare con i lettori un dialogo al di là del tempo, che offrono una occasione di trasformazione tramite la qualità della scrittura. È questo dialogo fecondo a creare alla fine la storia più imperdibile.