
Il paradiso all’ombra delle spade. Per la poesia di Andrea Margiotta
Poesia
Valentino Fossati
Francesco Scarabicchi, poeta, ci lascia poco dopo aver compiuto settant’anni, lo scorso 10 febbraio. Il suo lavoro lirico si riassume in diversi libri, tra cui “L’esperienza della neve” (2003) e “L’ora felice” (2010), editi da Donzelli, e “Il prato bianco”, per Einaudi (2017). Ha tradotto, tra l’altro, Antonio Machado e Federico García Lorca. Di particolare significato il legame tra Scarabicchi e Lorenzo Lotto che si sancisce in un libro, “Con ogni mio saper e diligentia. Stanze per Lorenzo Lotto” edito nel 2013 da Liberilibri. “Questi non sono versi di illustrazione a Lorenzo Lotto, un pittore a lungo vulnerato da incomprensione e oblìo, ma piuttosto sono i versi, legati in stanze e alla maniera di un poemetto, in cui Francesco Scarabicchi assume su di sé il destino di un artista ‘solitario e febbrile’, come lo definì una volta”, ha scritto, in una nota di introduzione, Massimo Raffaeli. Qui si pubblica il pensiero che intorno a quel libro ha composto Vito Punzi.
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“A dì 30 agosto 1552, giunsi a Santa Maria di Loreto condotto con tutte le mia robe […] per non andarmi avolgendo più in mia vecchiaia, ho voluto quetar l’anima mia in questo santo locho”. Con queste parole, tratte dal suo Libro di spese diverse, il pittore Lorenzo Lotto (1480-1556) ricorda il motivo per cui decise di concludere la sua avventura umana a Loreto, dopo aver compiuto, l’8 settembre 1554, l’atto di oblazione, cioè l’affidamento di tutti i suoi averi e della sua stessa persona alla Santa Casa. Un santuario che conosceva bene, essendo stato chiamato a Recanati, dai domenicani, già nel 1506, dunque quando ancora la città aveva la giurisdizione su Loreto. All’opera e alla vita errabonda e “complicata” del veneziano Francesco Scarabicchi, autore che ha amato sempre misurare la propria voce poetica con i frutti pittorici altrui, del Lotto in particolare, ha dedicato nel 2013 un intero poemetto.
Un artista, Lotto, la cui fortuna in vita non è certo stata economica, e neppure in patria, in laguna. Un de-centrato, eppur solido nel frequentare periferie e terre di confine, comprese quelle che, infinitamente piccole, si stagliano sui volti dei suoi ritrattati: “centralità in disparte che dà gioia / e tiene a bada quell’ardere infinito che consuma”, così il poeta anconetano.
Scarabicchi ha scelto di partecipare di quell’opera, provando ad assumere in sé le sembianze dell’io lottesco: “Ho visto il precipizio, il solo abisso / a cui ho opposto una bellezza rara / nei frammenti preziosi delle cose”. Il veneziano ha visto paesaggi, collinari per lo più, ma anche geografie di volti, stagliarsi di coste adriatiche; cieli, anche, ma con una caratteristica, ricorda il Lotto di Scarabicchi: “Non esistono cieli senza nubi / nella pittura mia né mai li vidi / attraversando il mondo, / dalle terre al mare”.
C’è un’opera in particolare cui il poeta invita a guardare per comprendere al meglio questi versi. È la “Presentazione al Tempio”, considerata come l’ultima del Lotto (realizzata dunque a Loreto, dopo l’atto di oblazione) e ispirata al Vangelo dell’infanzia di Gesù, narrato da Luca: “L’umano nel divino e quei colori spenti / sono l’ultima incognita che lascio”, scrive Scarabicchi nell’ultimo componimento. L’impianto compositivo del dipinto risulta dalla sovrapposizione di due piani: il tempio ebraico di Salomone in cui si svolge la Presentazione e la Basilica di Loreto, dove, in quello che potrebbe essere un richiamo all’antico Coro, appare un vecchio uomo barbuto, forse un autoritratto (“me in esso / cronista che già incespica malfermo”, per il poeta). I sacerdoti che accolgono il Messia, disposti l’uno dietro l’altro, rappresentano un unico personaggio colto in tre distinte fasi della vita. Al centro è collocato un altare ricoperto da una tovaglia bianca sorretta da quattro piedi di uomo ad indicare il corpo di Cristo e il suo sacrificio sulla croce. Un’opera forse incompiuta, di certo “un testamento”, come ricorda il poeta, “senza solennità, / a bassa luce”, attraverso la quale il Lotto di Scarabicchi si dice “certo d’aver scelto del futuro / la via che guida al mondo che resiste, / la sola che prosegue in tanta notte”.
Vito Punzi