16 Gennaio 2018

Francesca Chaouqui, la donna che ha smutandato il Vaticano, risponde al ‘nostro’ Mengoli: la comunicazione non la fanno le amanti, ma i professionisti

Francesca Immacolata Chaouqui (nella foto di Jurek Kralkowski) risponde, secondo la sua competenza, all’articolo pubblicato su ‘Pangea’, “Il dramma delle imprese italiane? Che a fare ‘comunicazione’ è l’amante del direttore generale”, scritto dal nostro affabile collaboratore, Michele Mengoli. Francesca Chaouqui è la “bomba sexy che imbarazza il Vaticano”, per ricalcare uno dei tantissimi articoli – questo è quello di Fabio Marchese Ragona per ‘Panorama’ – che le sono stati dedicati. “Giovanna d’Arco armata di smartphone” – parole sue, in una recente intervista – Francesca Chaouqui, in Vaticano dal 2013, su nomina di Papa Francesco, è stata la tramite tra Monsignor Balda e i giornalisti – Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi – che con le loro inchieste hanno fatto tremare San Pietro. Lei, Francesca, di fatto, ha smutandato il Vaticano, mostrandone orrori e corruzioni. L’informazione andò in brodo, mescolando gli ingredienti della cospirazione, del segreto divino, del vizio sotto la sottana di San Pietro. Francesca ha raccontato la sua storia in “Nel nome di Pietro. Ricchezze, affari, intrighi e scandali. Dalle carte segrete della commissione del papa” (Sperling & Kupfer, 2017).

 

Caro Michele Mengoli,

a mio avviso sbaglia quando, con un’evidente provocazione, sostiene che in molte aziende italiane a fare comunicazione è l’amante del presidente o del direttore generale o, peggio, il figlio scansafatiche. Nelle aziende serie ci sono fior di professionisti che si occupano della comunicazione, gente con esperienza pluriennale e con studi eccellenti alle spalle. Poi ci saranno anche le situazioni che lei descrive, ma non certo nelle grandi aziende. Forse ad alcuni imprenditori riesce ancora difficile comprendere che la comunicazione è un elemento cruciale per il successo del business e magari pensano che quella “filiera” di cui parla nel suo articolo si possa in realtà ridurre a quattro sciocchezze da scrivere o a un paio di immagini che anche un figlio smanettone possa elaborare. Non è così, non lo era ieri e non lo è oggi nell’era dei social. E questo le aziende leader di settore lo sanno molto bene e sono state le prime a innovare i propri reparti comunicazione.

Per la mia esperienza di comunicatrice – ho lavorato in realtà prestigiose come lo studio Orrick, Enrst &Young e la commissione pontificia COSEA e oggi sono CEO di Viewpointstrategy, un’agenzia di comunicazione  e pubbliche relazioni – posso dire che mettere alla guida di un settore importante come quello della comunicazione un incompetente è dannosissimo, non solo in termini di mancati risultati, ma anche per quelle situazioni di “crisi” (vedi Apple) a cui lei stesso fa riferimento. Oggi i consumatori sono attenti e informati e, quando un’azienda si trova a dover fronteggiare un momento difficile perché un suo prodotto è al centro di polemiche, ci vuole alla guida di quel settore una persona preparata e competente che possa dare le risposte giuste, tranquillizzare il mercato e recuperare la fiducia dei clienti. Una cattiva comunicazione mette a rischio la credibilità di un’azienda e questo, tradotto in termini economici, significa fallimento. Sono d’accordo con lei sulle straordinarie possibilità che oggi offrono i social network: con un investimento contenuto e affidando la gestione del proprio profilo online a professionisti esperti un’azienda, piccola o grande che sia, può ottenere ottimi risultati economici, rapidi e misurabili. Analogo discorso vale anche per l’immagine pubblica di politici o personaggi noti. È per questo che la mia agenzia di recente ha rafforzato lo staff, assumendo anche un Digital Strategist, e si prepara alla campagna elettorale sul modello americano: uso strategico dei social e ascolto delle opinioni della rete attraverso strumenti di Big Data Analysis. È così che si fa buona comunicazione oggi: aggiornandosi in continuazione, affidandosi ad esperti e ascoltando il più possibile i consumatori.

Francesca Immacolata Chaouqui

 

Francesca Immacolata Chaouqui ha 35 anni, è sposata ed è madre di Pietro. Laureatasi in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, entra nel mondo della comunicazione lavorando per la Ernst & Young e per lo studio Orrick. Nel 2013 Papa Francesco la chiama a far parte della COSEA, la Commissione di studio e indirizzo sull’organizzazione delle strutture economiche e amministrative della Santa Sede: è il primo commissario donna e under 35 ammesso in un’istituzione così prestigiosa in Vaticano. Nel 2015 viene coinvolta nello scandalo Vatileaks per la divulgazione di documenti riservati della Santa Sede. A febbraio 2017 pubblica il libro Nel nome di Pietro, edito da Sperling & Kupfer, per far luce sulla sua vicenda e sulle correnti che all’interno della Chiesa ostacolano il tentativo di trasparenza di Bergoglio. Nello stesso anno fonda Viewpointstrategy, la sua agenzia di comunicazione e pubbliche relazioni che, in appena un anno, conquista clienti di prestigio e raggiunge obiettivi importanti quali l’organizzazione del Premio Internazionale Apoxiomeno e di diverse iniziative di solidarietà riguardanti il mondo della disabilità e la tutela dei diritti dei detenuti.

Gruppo MAGOG