Bruna Piatti, la scrittrice scandalosa che non ha neanche una voce su Wikipedia
Letterature
Silvano Calzini
Sembrano evocate da una poesia di Pierre Louÿs, le vite diversamente dissolute di Forough Farrokhzad, musa dei circoli letterari iraniani e quella di Marie de Régnier, disinibita dama della Belle Époque. Madrine di licenziosità espresse e represse, scandali al sole d’Oriente e d’Occidente.
Vite parallele, mai rette, Abnousse Shalmani – scrittrice, giornalista, regista nata a Teheran nel 1977, quindi espatriata a Parigi – ne tesse un bruciante incrocio in “J’ai péché, péché dans le plaisir” (Grasset, 2024) – il titolo ricalca un verso di Farrokhzad. Forough, preda dell’ossessione per Marie e Pierre – e la loro erotica relazione, da cognati –, scopre una insolita ma non meno inebriante fonte di piacere: vivere le vite degli altri. Celebrazione di carne, voluttà e poesia.
***
Ho peccato, ho peccato nel piacere,
fra braccia impetuose e arroventate.
Ho peccato, un peccato tra braccia ferree,
braccia brucianti e rancorose.
In quel luogo calmo, oscuro e muto,
m’installai presso di lui, inquieta.
Dalle sue labbra zampillava invidia sulle mie.
Dall’angoscia del mio cuore ossesso, mi sono liberata.(…)
D’invidia avvampò il suo sguardo,
il vino rosso volteggiò nel calice,
e sul letto soffice, il mio corpo
ebbro di voluttà vibrava sul suo petto.
Ho peccato, ho peccato nel piacere,
accanto a un corpo che trepidava e sveniva.
Oh, Signore! Non so cosa ho fatto
in quel luogo calmo, oscuro e muto.Forough Farrokhzad,
«Il peccato» da Le Mur, 1955
*
Teheran, aprile 1956
Solo uno sguardo può incoraggiare una persona timida. Il piglio intenso di Forough infiamma all’istante il giovane nascosto dietro la sottile fila di lettori, sigarette fra le dita, giornali sventagliati nella calura primaverile di Teheran, sgomitate ad arpionare gli occhi del poeta. Forough, tentennante, mira al di là delle volute di fumo e degli iniziati che si adunano nel retrobottega di una libreria per ascoltare colei che, a quanto pare, sta rivoluzionando la poesia classica e assumendo lo scandalo di una vita libera, e fissa gli occhi sull’uomo timido che si contrae sulla sedia, come su una via di fuga, un orizzonte. Lui prende lo sguardo per suo e si ripromette di riuscire a parlarle: è la prima volta che lei lo osserva. Forough è confusa dalla reviviscenza del giovane timido, il cui collo fino ad ora sembrava digradare il più possibile nel colletto della camicia, quando, d’improvviso, prende a sbuffare come un cavallo, rinato sotto lo sguardo di lei, mentre srotola il corpo sulla sedia scomoda. Ne è irritata, lei, che cercava un po’ di sollievo, si trova ancora una volta faccia a faccia con un lettore che le dirà più tardi, dopo lo scambio, di essere dotato quanto lei, ma meno fortunato. Ma se il suo corpo si è saldato, gli occhi dell’uomo danno ancora l’impressione di un felino in trappola. Così, in assenza di un altro punto di ritiro, Forough mantiene lo sguardo fermo sul giovane – che ha già ventisei anni, ma i cui capelli chiarissimi e gli occhi “quasi” verdi, come lo lodava orgogliosamente la madre, lo fanno sembrare più giovane. Forough ha solo ventun anni, ma dal primo istante in cui adocchia il giovane che tenta di dissolversi, è lei la veterana. Un matrimonio, un figlio, un divorzio, un libro di poesie, uno scandalo: tutte realtà che fanno incanutire il viso.
Applausi educati, ringraziamenti forzati e l’onda umana si abbatte su Forough, le mani che pronunciano l’esatto opposto delle parole, siete una poetessa meravigliosa, le dita si torcono di invidia, la libertà delle donne è fondamentale, il palmo che impugna il giornale insinuando ch’è solo una puttana, sulle labbra il miele, nelle mani l’odio. Forough aspetta l’uomo timido celato dietro l’orda strepitante. Si avvicina come se incedesse sul vetro, avendo già smarrito la sicurezza di un tempo, aggrappandosi a una sacca di cuoio da universitario. Di fronte a lei balbetta, il che la rassicura, forse non ha poesie da sottoporle o gelosie da manifestare incartate in falsi complimenti. Intervista, stupore, prima volta, mai l’avrebbe immaginato, Pierre Louÿs, una donna iraniana, Bilitis… Forough lo interrompe. «Bilitis?» Lui arretra di un passo, lei avanza, impaziente. Pertanto, incapace di formulare una frase di senso compiuto, apre la sacca e, dopo una rapida occhiata allarmata intorno a sé, le porge un libro con la copertina rilegata in carta kraft.
Forough, senza troppe cerimonie, gli strappa il libro, esasperata dal dover quindi leggere il lavoro di uno studente mendico di attenzioni. Ma si tratta di Les Chansons de Bilitis di Pierre Louÿs, le sue poesie tradotte in persiano. Mentre Forough legge, lo studente scruta intorno, febbrile, come uno spacciatore preoccupato per una retata della polizia. Forough è sola al mondo con Les Chansons de Bilitis, in ipnosi, scopre più di quanto avrebbe potuto immaginare… Stamattina non mangerò, e neppure questa sera; e non occuperò le mie labbra con rossetto né cipria, affinché possa dimorarvi il suo bacio. Lascerò chiuse le persiane e serrata la porta, per evitare che il ricordo impresso dietro di me voli via con il vento… La libreria si svuota, il libraio non osa interrompere la concentrazione immobile di Forough, il giovane timido da tempo non sa cosa fare del suo corpo. Sfiora infine il braccio di Forough, che sembra destarsi da un sogno.
«Ne hai altri, Tartaruga?
– Sì.
– A casa tua».
Non si tratta di una domanda ma di un ordine. Non c’è margine per negoziare, sfuggire o cambiare appellativo. Il giovane allampanato dalla chioma di paglia e gli occhi quasi verdi rimarrà la Tartaruga. Forough non si preoccupa nemmeno di ringraziare il libraio per essersi assunto il rischio di invitare questa poetessa sulfurea, divorziata, scandalosa, infrequentabile. Si avvia verso l’uscita, seguita dalla Tartaruga, il cui collo tenta ancora una volta di infilarsi disperatamente nel colletto della camicia – lui detesta la sua cultura, l’Iran del taarof, l’arte della cortesia estrema e soffocante, ma è iraniano e comportarsi in maniera poco educata lo disturba. Ormai non può più scappare. Se lo desiderasse, lui resterebbe prigioniero del suo amore per lei. Per il resto della vita di Forough, l’armerebbe di traduzioni, nutrendola di una vita diversa dalla sua, facendole sentire ogni giorno l’abisso tra la sua esistenza e quella che avrebbe voluto, dovuto, sperato di vivere. Quella sera stessa Forough scopre il grande amore di Pierre Louÿs, Marie de Régnier. Da quel momento prende a misurare la sua vita con quella di lei, cerca di seguirne le orme, rabbrividendo per l’impossibilità di essere libera a Teheran come Marie aveva osato essere a Parigi, si rianima, abbeverandosi alle trasgressioni di Marie per poi infrangersi contro il muro della moralità persiana, si rincuora e rivoluziona la poesia persiana senza però riuscire a rovesciare la mentalità.
*
L’amante traduttore di Forough, la Tartaruga-rifugio, non esce mai dalla sua ombra. Si vedono sempre soli, nessuno è testimone della loro intimità, Forough non condivide la Tartaruga e Marie con nessuno. Si incontrano esclusivamente da lui, nel suo appartamento, al secondo piano di una villa ottocentesca restaurata, nella zona nord di Teheran. Solo la facciata e il giardino sono sopravvissuti all’abbandono, alla ristrutturazione e alla conversione. La vedova del proprietario vive al piano terra, la figlia, anch’ella vedova, al primo piano; il grande pregio dell’appartamento al secondo piano è che vi si accede da una scala esterna, dietro la casa, che garantisce discrezione e indipendenza. La cucina è fin troppo grande per uno studente scapolo, con i rami di un gelso bicentenario che occupano tutta la finestra, e il soggiorno è arredato in uno stile eclettico, che ricorda una casa di campagna dove sono stati sostituiti i mobili del passato; le pareti delle due camere di uguali dimensioni sono ricoperte di libri, un materasso sul pavimento a ricordare che si vive e si dorme nello stesso luogo e, nel soggiorno, una scrivania che è un lungo e pesante tavolo da pranzo traboccante di libri aperti, carte e penne, a rivelare la vita ossessiva e monastica di un uomo appassionato. Entrando nell’appartamento, il tempo sembra dissiparsi sotto la forza dell’atemporalità. Gli interni sono luoghi di idolatria che potrebbero essere trasposti in ogni tempo, in qualsiasi città, in qualunque epoca. Forough s’innamora a prima vista di questa dimensione atemporale. Vi fa ritorno come se abbandonasse la realtà per accedere ad un mondo sospeso. Non avverte mai il bisogno di deflorare il segreto che la lega alla Tartaruga, non intende condividere né la Tartaruga, né Marie de Régnier, né Pierre Louÿs, né la tentazione di Parigi, per paura di perdere tutto.
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Dopo la tempestiva morte del miserabile padre, prima di abbandonare la giurisprudenza per votarsi alla letteratura, la Tartaruga, il cui vero nome è Cyrus Amir Maziari, s’infervora per la poesia e, pur non covando alcun talento per la scrittura, presta fede alla sua curiosità fino a diventare un eminente storico della poesia. Ma prima, s’imbarca per Parigi come in un pellegrinaggio per la libertà, e scopre nella Biblioteca nazionale l’esistenza di un “Inferno”, fatto di libri proibiti, maledetti e censurati, erotici, osceni, sfide ai dogmi, godimenti alla luce del giorno da far capitolare i papi nel cuore della notte, pagine e pagine di amplessi. Ottenendo un lasciapassare da un ambasciatore di non so quale monarchia asiatica – loro amano gli “Inferni” – s’immerge negli archivi dell’“Inferno” stesso e resta elettrizzato da Louÿs. Scopre la passione per la Belle Époque e nel 1948, non ancora ventenne, diviene collezionista e traduttore clandestino di Louÿs.
Traduttore per se stesso: a parte Forough e un’altra amante – che più tardi, dopo la Rivoluzione, lo costringe a bruciare nella vasca da bagno tutti i libri di Louÿs che aveva accumulato in gioventù, le sue collezioni, gli appunti, le traduzioni, un progetto di biografia, un tentativo di romanzo, le fotografie acquistate a Parigi e, soprattutto, il racconto della sua avventura segreta con Forough Farrokhzad – all’epoca, nessuno sa del suo entusiasmo per Louÿs o del suo amore assoluto per Forough. Torna a Parigi con Forough all’inizio degli anni Sessanta, poi con un’amante iraniana nel 1978, ancora ignaro della rivoluzione islamica che si stava preparando alle sue spalle in Iran. Le traduce l’indicibile, la giovane arrossisce e lui si sente vecchio e ricorda Forough, che non aveva mostrato l’accenno di un rossore quando s’era aperta, per la prima volta, nel suo appartamento, consacrato alla poesia e mutato in santuario dalla sua presenza:
… e più tardi, nella silenziosa tromba delle scale
sotto la gonna della ballerina
Infilai un dito e scoprii
che il suo solco era fradicio
e dietro era dilatata.
Avanzai con due dita, poi tre, poi quattro,
e il pollice a monte, davanti
nell’attimo avvertii lievitare e pulsare
il suo piccolo bocciolo vibrante.
La Tartaruga, che diverrà uno storico, specializzato in poesia occidentale sotto lo scià, poi mistica sotto i mullah, prima di scegliere l’esilio permanente a Parigi a metà degli anni Ottanta, aveva letto l’intervista di Forough del 2 giugno 1955: “L’unico libro che non mi stanco mai di leggere è Les Chansons de Bilitis. Amo Bilitis, che sia reale o immaginaria. Lei, per me, rappresenta tutto”. Non appena si presenta l’occasione – una conferenza, un incontro in libreria – lui si equipaggia della sua traduzione di Bilitis e spera di trovare il coraggio di avvicinare Forough. Quando lei nota la fuga di sguardi nella piccola libreria di Teheran, lui capisce che è il momento giusto. Che forse non se ne presenterà un altro, che dopo questo nuovo scandalo lei fuggirà all’estero – cosa che farà, pochi mesi più tardi.
Dopo la vodka, dopo il sesso, dopo la lettura di poesie e la scoperta delle fotografie di Pierre e Marie, ma anche di Louise, Zohra, Debussy, Valéry e Proust, Forough si porta a casa sia Pybrac che il Manuel de civité pour petites filles à usage des maisons éducatives, che innestano la risata nella sua solitudine – scelta e sofferta. Installata sul pavimento, circondata da muri e cuscini, ma rivolta verso la finestra – Forough siede sempre verso le finestre – si gode il piacere. Ha accanto a sé una teiera, non un samovar, la trova più pratica. Inizia sempre con il tè prima di decretare che l’alcol è più idoneo. Gli anni del whisky. Opta quindi per un bourbon in stile Teheran, il Four Roses. Si risiede. è tutto tradotto. E tradotto molto bene dalla Tartaruga amante della Belle Époque illecita.
Forough padroneggia l’inglese, l’italiano e il tedesco, il francese meno. È come se la lingua francese fosse troppo pericolosa, conoscerla potrebbe forzarla all’espatrio. Immergersi nella poesia di Louÿs e nella vita di Marie è una sorta di esilio. Non aveva mai letto nulla di simile, né i versi di elegante crudezza, né la loro vita, impossibile da romanzare agli occhi di una iraniana. Non immaginava che tutto ciò potesse esistere. Doppio shock. Il suo stato è paragonabile a quello di un avventuriero che scopre contemporaneamente la terra, lo smeraldo, il continente, la montagna e la mummia infestante. È la prima donna (iraniana) a leggere ciò. Immaginate. Fate lo sforzo di immaginare. Teheran, 1956. Guardate dietro le gonne a campana e i tacchi alti di Teheran, Esfahan e Shiraz. Dietro gli abiti firmati delle grandi città, la mentalità persiana è ancora quella dell’inizio del Ventesimo secolo. Più sigillata della Belle Époque – che comunque serrava severamente la carne.
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Forough legge e ride forte, facendo sussultare i suoi vicini che puntualmente sbuffano per la vicinanza della concubina del male, la divorziata: “Se il vostro insegnante vi domanda una penna, non fingete che vi stia chiedendo di succhiargli il cazzo”, “Quando avete appena fatto sesso in montagna in pieno giorno, non lavatevi nel laghetto del Rond-Point. Potreste farvi notare”, “Non pregate quando siete nudi. Indossate una camicia da notte e non sollevatela né davanti né dietro davanti ai presenti. Se avete un dildo in erezione sul pene, toglietelo. Allo stesso modo se lo portate nel didietro”.
Forough ride, come non avrebbe più fatto… Aveva mai riso per facezie erotiche? Mai. Pierre Louÿs la rende smaliziata, la solleva dal senso di colpa, aggiunge leggeri acuti alle gravi tentazioni sessuali. Pierre Louÿs è l’Occidente proibito, la carne all’altezza del sorriso.
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Non riuscendo a imitare la vita di Marie, Forough compone in versi la sua vita ideale. Se fossero potuti uscire a mangiare un boccone, con il profumo dell’amore sulla pelle, forse avrebbero persino riso in pubblico, come ridono gli amanti dopo il sesso, quando, ricacciati nel mondo reale, si sentono superiori nel loro persistente orgasmo. In un mondo in cui la carne non è ridotta al peccato e al peccato soltanto, Forough avrebbe fatto ciò che fanno tutti: un ristorante, le speranze al culmine del desiderio e la rassicurante malinconia della solitudine post-coitale. Ma in Iran, a Teheran e altrove, tesse poesie per raccontare quella che avrebbe potuto essere, componendo versi su versi per compensare l’assenza di una vita allo scoperto, una vita in cui giacere con un uomo non ti condanna. Se dalla poesia di Forough si sprigiona la carne, è perché si tratta di un palliativo per il sesso proibito.
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Cantare la libertà ostacolata di Forough significa farle vivere la vita di Marie, un’esistenza che sarebbe stata così adatta a lei. Non appena scopre la Belle Époque parigina, Forough cerca avidamente somiglianze, dissonanze e parallelismi tra la sua vita a Teheran e quella di Marie a Parigi, esortando la Tartaruga a raccontarle di più, a dissetarla ancora, a donarle una dose di romanticismo per sopravvivere. Si commuove nello scoprire di essere così simile a Marie nelle intenzioni matrimoniali, l’una nel bene, l’altra nel male; sogna un Henri de Régnier – ed è l’unica, il che la dice lunga sulla sua disperazione di essere inadatta all’ambiente in cui vive –, fantastica di saffiche liaison come paradisi di pace, di uomini che l’amano e la rispettano, di un padre che l’adora. Ma Forough si risveglia inevitabilmente nella sua vita, suonando da sola uno spartito immaginario, circondata da uomini incapaci di amarla per ciò che è, vergognandosi delle proprie risate al pari dei propri versi. Marie è la consolazione di Forough, così come la sua droga.
Cyrus la Tartaruga diventa il suo spacciatore. Ma mentre Forough indossa il costume di Marie per ossigenare la sua vita, Cyrus spera che Forough lo guardi come qualcosa di diverso da un nastro di trasmissione, che si accorga del suo amore, esca con lui allo scoperto e divengano i Pierre e Marie di Teheran, e non vivendo che per questo voto, assume le forme della Belle Époque, dell’Occidente, del libero pensiero, non si toglie più la maschera che ha indossato per lei, non si annoda più le cravatte che nello stile della Parigi di un tempo, si muove con indifferenza politica in un Paese in continuo fermento, annega nell’aspirazione totale all’arte, porta in giro la sua bizzarra figura in un presente cancellato, talmente fuori luogo da divenire estraneo al suo Paese e attribuirsi la sua libertà senza nemmeno esserne consapevole – come Forough non saprà mai fare.
Per dodici anni, Forough e Cyrus vivranno nella Belle Époque, seguendo passo dopo passo le vite di Marie e Pierre, obliandosi in loro, ritrovandosi attraverso di loro, respirando al loro ritmo, facendo l’amore immaginando di essere loro, sperando, ciascuno a proprio modo, di aver cambiato pelle a forza di mimesi.
Abnousse Shalmani
*La cura e la traduzione del testo sono di Fabrizia Sabbatini