Abbiamo avuto tutti uno zio che ci ha liberato, nei pomeriggi interminabili, mettendoci in mano L’isola del tesoro o portandoci a vedere Johnny Depp in bandana. Chi non si è nutrito di mappe e galeoni? Se vogliamo indulgere al vizio e giocare a fare gli eterni fanciulli, ora possiamo.
La casa editrice Haiku è diretta a Roma da nobili valorosi che hanno rimesso in circolazione il primo medaglione sacro per capire chi erano i pirati e perché fossero diversi dai corsari. Dico del volumetto di Daniel Defoe, Storia generale dei pirati. Henry Every a cura di Flavio Carlini. L’ho chiamato al dialogo. (Andrea Bianchi)
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Flavio, grazie dell’intervista. Raccontaci come scatta la molla di Haiku. Voglio dire, in tempi in cui i giornaloni si inventano le proprie case editrici voi siete tornati alla radice del giornalismo: traducete classici del Settecento e del giornalismo di battaglia come questo di Defoe. E allo stesso tempo avete in catalogo molti contemporanei che entrano a far parte di Haiku. Raccontami.
Edizioni Haiku è un’avventura che va avanti ormai da dieci anni e che ha collezionato diversi traguardi. La riscoperta della letteratura giornalistica “da battaglia” del Settecento e Ottocento inglesi con la nuova collana Settemari è sicuramente uno di questi. Si tratta spesso di opere che hanno rappresentato dei veri e propri best-seller all’epoca ma che oggi giacciono un po’ nel dimenticatoio ingiustamente. Al contempo non smettiamo di aiutare nuovi talenti ad emergere, siamo sempre stati “la casa editrice degli scrittori” e i promotori del progetto “Scrittura Efficace” interamente dedicato alla formazione di autori esordienti ed emergenti, anche contro tutte le difficoltà imposte da un mercato in perenne crisi. Insomma siamo un po’ pirati anche noi.
Mi ha sorpreso piacevolmente la scelta di attribuire a Defoe questa storia del pirata Henry Every. Ci spieghi perché ti ha convinto questo nome, invece del solito Charles Johnson?
“Storia generale dei pirati” è un’opera importantissima e stranamente sottovalutata. Si tratta di una testimonianza unica su un’esperienza storica (l’età d’oro della pirateria) che per varie ragioni è spesso stata occultata dalla storiografia ufficiale dell’epoca. L’autore, il sedicente Capitan Johnson, colmava i “buchi” della cronaca con dicerie popolari o con la propria fantasia quindi non possiamo considerare l’opera una fonte storica totalmente affidabile ma ha permesso agli storici di ricostruire moltissimi avvenimenti e ottenere svariati indizi sullo stile di vita e sulle motivazioni alla base delle azioni dei pirati del Settecento. L’attribuzione a Defoe è in discussione dal punto di vista accademico, ma ha diversi indizi stilistici che la supportano. La nostra scelta è stata di imprimere sulla copertina entrambi i nomi: Defoe e Johnson.
Perché possiamo definire questo lavoro un’opera di giornalismo? Per lo stile fresco? Oppure perché esce nel 1724, a poco meno di un decennio dalla scomparsa misteriosa del pirata Every?
Come hai detto giustamente, i due volumi della “Storia generale dei pirati” escono negli stessi anni in cui i personaggi descritti operavano. Una delle ragioni per cui l’autore ha dovuto utilizzare uno pseudonimo è proprio relativa ai rischi reali nel raccontare le storie di questi criminali. I pirati erano estremamente popolari all’epoca e molto spesso i marinai semplici speravano di imbattersi in loro per unirsi alle loro ciurme. Una raccolta enciclopedica delle avventure di personaggi politicamente tanto controversi poteva seriamente mettere in pericolo la vita – non solo pubblica – dell’autore. Possiamo quindi senza dubbio dire che si trattava di giornalismo molto, molto scomodo.
La differenza tra pirata – libero esercente – e corsaro – quasi arruolato dalla Corona – esiste ma è labile. Ci spieghi perché Every era contro tutto e tutti?
Every fu un personaggio sui generis anche per i criteri di un pirata, cosa che ha in fondo decretato il suo successo. Era estremamente ambizioso ma anche molto cauto e fu senza dubbio un formidabile stratega. Il suo errore storico fu quello di attaccare l’impero Moghul mettendo a serio rischio le imprese coloniali britanniche, altrimenti è molto probabile che l’Inghilterra decidesse di impiegarlo come corsaro, cosa a cui sicuramente Every puntava. Non era affatto un idealista come i pirati Edward England o Samuel Bellamy, eppure divenne suo malgrado un modello proprio per personaggi di questo tipo grazie alle storie popolari e alle varie leggende che aleggiavano sulla sua figura. Paradossalmente, la sua immagine pubblica basata più sulla finzione che sulla realtà dei fatti gettò il seme di quegli ideali proto-democratici e proto-anarchici legati alla pirateria molto più di quanto non fosse interesse di Henry Every stesso.
Avete appena stampato un altro volume interessante: Jack Sheppard che è un capolavoro del romanticismo popolare del 1839, due anni prima di Oliver Twist. Siamo a livello di feuilleton, ancora più di Defoe forse, ma c’è spessore. Che spiegazione ti sei dato del fatto che gli inglesi simpatizzassero in età vittoriana con questi criminali passati nella macina del Settecento?
Jack Sheppard è un’altra perla sottovalutata e il mio collega Mauro Cotone ha fatto un gran lavoro nel tradurre e diffondere quest’opera. Personalmente ritengo che personaggi come Every, Sheppard, criminali, pirati e fuorilegge rappresentassero per gli inglesi (ma anche per francesi e spagnoli) dei veri e propri “eroi di classe” ante litteram, capaci di catalizzare il malcontento popolare di ceti estremamente disagiati (tanto nell’epoca degli assolutismi quanto nella rivoluzione industriale) offrendo il sogno di una ribellione, di un cambiamento. Poco importa se questi eroi finissero spesso le loro parabole di vita in modo cruento o poco dignitoso. Anzi, una morte cruenta è spesso un fattore che aggiunge epicità quando si narrano le gesta di un eroe.
Ancora pochi mesi fa è uscito un saggio in UK su questa narrativa a tinte scure, la Newgate novel. Dickens e Thackeray da giovani passavano ore a leggere i resoconti della stampa nera. Forse dovremmo tornare anche noi alle pagine dei pirati, fatte di crudeltà vera, per assaporare l’infanzia, i gusti decisi. Penso all’influsso determinante dei libri di pirati su Stevenson quando nel 1883 scrisse L’isola del tesoro, o quando per la sua ultima grande storia Il saccheggiatore di relitti cola tutto nel solco di Dickens giallista…
Le avventure di personaggi borderline, di anti-eroi, rappresentano da sempre dei veri e propri sfoghi sociali, capaci di eccitare la fantasia di lettori spesso critici della realtà che li circonda. Cambiando l’epoca magari cambia l’ambientazione di riferimento, non la sostanza. Tutta la letteratura mystery del Novecento, il noir classico di Chandler o Hammett per intenderci, in questo non era affatto diversa, e nemmeno lo è l’odierna fascinazione per personaggi pop-fumettistici o cinematografici come il Joker. Il pirata, il criminale, il folle sono tutte espressioni di qualcuno che rompe le regole e se sentiamo che quelle regole sono in qualche misura ingiuste allora possiamo arrivare a pensare che il pirata non sia poi del tutto il cattivo della situazione. Le zone grigie sono sempre le più affascinanti e – non a caso – sono quelle capaci di descrivere la realtà nel modo migliore.
Potresti anticipare qui le vostre idee per gli altri volumi sui pirati? Continuerete a tradurli, o magari volgerete la prua verso la Francia e le memorie dei suoi corsari, come quelle maestose di un Duguay Trouin?
Per quanto riguarda il mondo dei pirati il nostro programma nel prossimo futuro è di completare l’adattamento italiano di entrambi i volumi della “Storia generale dei pirati” in questa accurata serie di cui il libro su Henry Every rappresenta la prima uscita. Come questo primo volume ogni libro della serie conterrà per ogni personaggio coinvolto non solo la traduzione delle sezioni dedicate dell’opera originale ma anche approfondimenti storici, culturali e letterari. È prevista per i primi di dicembre l’uscita del secondo volume dedicato a Edward Teach in arte Barbanera che conterrà anche le vicende del meno noto ma pittoresco capitano John Martel, le cui disavventure sono in parte legate ad alcuni avversari storici del più noto Barbanera. Una volta terminato questo adattamento, personalmente ho intenzione di continuare a esplorare l’argomento pirateria e portare in libreria quanto possibile sia in termini di narrativa storica che di finzione. Approfondimenti su personaggi come René Duguay Trouin e Jean Bart sono sicuramente in lista.
Per concludere, avete lavorato sull’immaginario, inglese o italiano che sia, poco importa. Vite di farabutti, di pirati al soldo della loro bandiera stracciata. Che hanno un valore positivo, però. Servono a costruire mondi, a darci il senso dell’avventura. Se leggi questo passo di Stevenson al suo editore mentre scriveva L’isola del tesoro sarai d’accordo con me: “se i miei personaggi devono andare a letto l’un con l’altro, bene, io voglio che ci vadano” e insomma – Stevenson non si incanta, è pepato, un calvinista che gira il mondo in nave e in treno, cambia idee e perde i blocchi. Puoi dare qualche consiglio di lettura di genere avventuroso?
Hai già citato naturalmente Stevenson e per forza di cose Defoe, a cui abbino grandi classici del genere: Jules Verne, Henry Haggard ed Emilio Salgari. Doveroso citare “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift, “Moby Dick” di Melville, romanzi fondamentali capaci di infrangere le barriere del genere. Un autore che invito sempre a riscoprire è Jack London, inoltre bisognerebbe leggere (e rileggere) qualsiasi cosa di Ernest Hemingway. Consiglio assolutamente di recuperare “La vera storia del pirata Long John Silver” di Björn Larsson, in cui l’autore reinventa il personaggio di Stevenson con una interessantissima riflessione sulla potenza dell’artificio letterario rispetto alla realtà storica. Più di nicchia ma decisamente da leggere è “La vita e le avventure di Alexander Selkirk” di John Howell che racconta l’avventurosa vicenda del vero naufrago che diede spunto a Defoe per il suo Robinson Crusoe.
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Lettere di Robert L. Stevenson in materia di romanzi e pirati
Al fratello Bob, da La Solitude (Tolone), settembre 1883
Tutto il realismo non è arte, per nulla. È artigianato insincero ed esibizionista. Se ti metti a rileggere Balzac come sto facendo io, apriresti per bene gli occhi. Era un uomo che non trovò mai il suo metodo. Uno Shakespeare inarticolato, soffocato da dettagli che non avevano vigore. È sorprendente, a uno sguardo maturo, quanto Balzac fosse cattivo, debole, non-vero, tedioso; e certo, quando cedeva al suo temperamento, quanto fosse buono e potente. Eppure non era scorrevole né chiaro. Non voleva essere sciocco e perciò fu tale. Non voleva lasciare nulla senza svilupparlo e perciò andò fuori pista e finì in un bazar di dettagli incongrui, da far piangere. Gesù, c’è solo un’arte: quella di omettere! Se solo possedessi l’arte dell’omissione, sarei contento così e non chiederei altro. Chi non riesce a omettere saprebbe trasformare un quotidiano in un’Iliade. (…) Non vanno lette troppe autobiografie di pirati se ci si vuole formare un criterio selettivo. Si deve imparare a cristallizzare i sogni che facciamo a occhi aperti; cambiando i fatti senza copiarli; inseguendo l’ideale e senza studiare la natura. (…) il pittore deve studiare di più la natura rispetto all’uomo di lettere. Ma perché poi? Perché la letteratura affronta gli affari dell’uomo, le sue passioni e queste, nel gioco della vita, siamo costretti a studiarle, irresistibilmente.
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All’amico editore Henley, da Hyeres, metà dicembre 1883
Certo che i miei uomini di mare nell’Isola sono tutti dei piedi di porco. Non ti ho detto un milione di volte che ho sempre voluto essere un vecchio marinaio? e tu che hai sposato una signora che discende da quel vecchio filibustiere che era il Capitano Boyle, non mi hai mai dato ragguagli. Il tuo amico Runciman sapeva qualcosa dei bucanieri del Settecento? No? Ebbene, nemmeno io. Però ho conosciuto uomini di mare e navigato con loro, ho vissuto e mangiato insieme a loro; insomma sono rimasto ignorante ma con questo libro ho fatto il mio lancio del giavellotto. Andava fatto: per quanto costi essere così pittoresco e coerente. Insomma i miei pirati stanno in bilico sulle sartie come dei pupi? Allora non dirlo in giro. Sono legnosi, i miei personaggi, deboli, poco atletici? Ma sono io che li ho fatti così, standomene zitto. Altrimenti non ne sarebbe venuto nulla. Il lavoro, per quanto ti suoni strano, non è opera di realismo.
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Al padre, 20 dicembre 1883, da Hyeres
Mio caro padre, non so chi vada rimproverato questa volta, se io o te, ma sento che tocca a te. I tuoi ultimi messaggi erano carini, ne sono stato contento; nell’insieme io sto molto bene, nonostante la solita febbre e altre complicazioni. (…) Ho appena finito di leggere un libro di memorie che ha contribuito a farmi sentire malato e peggio di così. Certo andava letto, come tutte le cose di tanto in tanto, quelle che ci tengono col naso attaccato ai fatti, anche se poi si rischia di abusarne. La vita va spesa meglio leggendo romanzi coi loro sforzi cavallereschi alla luce del sole. Chiaro che Walter Scott non raggiunge il potere, l’oscurità, l’amarezza e l’altezza morale di un libro di memorie. Eppure se leggi Scott ogni giorno fai un acquisto. Scott è un tonico che va bene per ogni giorno, ma i libri degli storici sono come una flebotomia.
A prendere la vita con leggerezza e facilità c’è un doppio pericolo. Difficile stare in equilibrio! Siamo tutti poco inclini a credere; siamo tutti, nei nostri momenti seri, troppo pronti a dimenticare che siamo peccatori, tutti quanti, e che cadiamo per il semplice fatto di commettere le nostre colpe e perciò non abbiamo a che fare col peccato più di quanto una nube pronta a esplodere il suo tuono riguardi le nostre teste; solo dobbiamo aver fiducia, e far del nostro meglio, e indossare il nostro sorriso tanto per gli altri quanto per noi stessi. (…) Tu cerca di prendere le cose dal loro lato facile e sta felice come puoi, per la tua salute e per quella di mia madre e di tutti gli altri.
Scusa il sermone. Il tuo figlio che ti ama sempre
R.L.S.