11 Ottobre 2022

Nella violenza del Mistero. Flannery O’Connor: le sue storie fanno a fette i falsi moralismi

Una scrittrice che prende i lettori per i panni del petto e li sbatte contro il muro. Dopo di che si pianta a gambe larghe lì davanti e gli spiattella sul muso il suo modo di vedere le cose. O prendere o lasciare. Le sue storie sono delle sciabolate che fanno a fette i falsi moralismi. D’altra parte, non c’è da stupirsi. La vita non ha fatto complimenti con Flannery O’Connor (1925-1964). Ben presto in lei si manifestò il virus del “lupus eritematoso”, ereditato dal padre, che la costrinse a una serie infinita di operazioni e a muoversi a fatica con le stampelle prima di arrivare alla quasi totale immobilità. Un male terribile e incurabile che le consumò il fisico goccia a goccia e la ucciderà a soli 39 anni, ma che lei seppe affrontare con dignità e coraggio sostenuta dalle certezze incrollabili della sua fede religiosa.

Un’autrice profondamente legata al Sud degli Stati Uniti, una terra dai contrasti accesi, dove il sole picchia forte e la natura non fa sconti. Nata e cresciuta in Georgia nella cosiddetta “Bible belt”, la zona del protestantesimo più profondo e puritano, lei è la scrittrice cattolica per eccellenza. La sua fede è assoluta e incondizionata e la letteratura non è stata altro che un modo per testimoniala. Giustamente è stato detto che la O’Connor non scriveva per l’arte, ma per la verità.

Salvo qualche breve viaggio al Nord, trascorse la maggior parte della sua vita in una fattoria di campagna. Polli, oche e pavoni erano la sua passione. Quando aveva cinque anni insegnò a una gallina a camminare all’indietro; allevava pavoni, andava a cavallo senza sella; a sedici anni cucì dei vestiti per i suoi polli e portò a scuola un gallo come modello per un disegno nell’ora di educazione artistica.

Ha scritto numerosi racconti, per molti le sue cose migliori, e un paio di romanzi. La sua letteratura è come la terra in cui è vissuta, ricca di contrasti violenti, con il bene da una parte e il male dall’altra. Al centro di tutto c’è sempre il Mistero divino, a cui la O’Connor crede in modo rigoroso e assoluto. Le sue sono storie violente che stupiscono e sgomentano il lettore, nelle quali si consuma il perenne scontro tra fede e ragione e lei si schiera in modo totale dalla parte della fede. Come nel romanzo più celebre, Il cielo è dei violenti, uscito nel 1955, la cui vicenda si snoda intorno alla lotta per il controllo del destino di un ragazzo da parte di due adulti: un vecchio zio che è una specie di profeta fondamentalista, intenzionato a trasmettere la sua missione al giovane, e uno zio che è fuggito dalla religione per rifugiarsi in un arido razionalismo.

Il giovane protagonista della storia, seppure dubbioso nello scegliere tra una via e l’altra, si sente attratto in modo inesorabile verso la fede. Ci sono scene molto forti, dominate da una violenza estrema per certi versi sconvolgente, ma nell’ottica della O’Connor la violenza diventa uno strumento divino ed è l’unica strada per arrivare alla verità, al riconoscimento del Mistero. È nel male che bisogna cercare il seme divino. Solo passando dal peccato, vissuto in modo totale fino in fondo, è possibile trovare la via della redenzione.

«Argomento della mia narrativa è l’azione della Grazia in un territorio tenuto in gran parte dal diavolo».

Così la O’Connor ha definito la sua narrativa, che può risultare indigesta per molti lettori, siano essi credenti o agnostici, per il costante rifiuto delle mediazioni e del lieto fine. Comunque la pensiate, è certo che siamo di fronte a una scrittrice che non lascia indifferenti. Ed è già molto in questi nostri sciagurati tempi infestati da una letteratura piatta e insulsa, indegna di essere chiamata tale.

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