29 Maggio 2019

Cosa ci insegna la fisica quantistica sull’arte della politica? Ovvero: perché di fronte all’ingiustizia sentiamo il bisogno etico e irrefrenabile di agire

La fisica quantistica sta trasformando il mondo in cui viviamo. Modifica notevolmente i limiti della nostra conoscenza; rivoluziona profondamente il mondo della tecnologia; mette in dubbio verità incontestabili fino ad ora e le riformula secondo leggi che entrano in contraddizione con il nostro buon senso. In definitiva, la meccanica quantistica ci fornisce un nuovo modo di interpretare la realtà che collide, in modo dirompente, con tutto ciò che ha stabilito la fisica finora.

Ormai le sue implicazioni in campi come la salute, la sicurezza o le comunicazioni iniziano ad essere più o meno chiare, ma cosa ci dice la meccanica quantistica sull’etica e sulla politica? È possibile stabilire una relazione tra questi tre concetti?

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La fisica ci invita alla modestia

Se guardiamo ciò che ci circonda – osservandolo, soprattutto, da una prospettiva scientifica – rileviamo una serie di elementi che, in modo più o meno immediato, possono attirare la nostra attenzione. Per esempio, circa il movimento dei pianeti del sistema solare, la fisica newtoniana ci dice che la velocità dei pianeti è inversamente proporzionale alla distanza rispetto alla stella intorno alla quale orbitano. Vale a dire, più vicino è il pianeta alla stella, più velocemente si muoverà, quanto più è lontano, più lentamente lo farà.

Tuttavia, questa descrizione classica della meccanica dei sistemi – verificata e accettata per più di due secoli – comincia a entrare in crisi, per esempio quando cerchiamo di spiegare il movimento delle stelle in una galassia. Se nell’esempio precedente poniamo il sole come centro di una galassia, si nota che la velocità delle stelle più distanti è superiore al previsto. Questo suggerisce che ci dev’essere più materia di quella che possiamo rilevare. In queste circostanze, perché il comportamento sia coerente con quello che vediamo o sappiamo, sorge la necessità di introdurre un concetto un po’ inquietante o, almeno, che ha un nome che genera un po’ di inquietudine: il concetto di materia oscura. Dunque, non solo dobbiamo ammettere l’esistenza di questo tipo di materia, ma anche che c’è molto di più della materia conosciuta. E molto di più vuole dire proprio molto di più. Bisogna ipotizzare che ci sia circa 5 volte più materia oscura rispetto alla materia conosciuta.

D’altra parte, quando guardiamo il moto relativo delle galassie, lo spostamento verso il rosso che rileviamo nello spettro elettromagnetico di quelle più lontane ci indica che tutte le galassie si allontanano le une dalle altre, e che, inoltre, la velocità è più elevata quanto più sono lontane. Ancora una volta, la fisica newtoniana non è sufficiente per spiegare questo comportamento peculiare, e ci troviamo nella necessità di introdurre un concetto inquietante, almeno nel nome: energia oscura. La natura di questa energia è ancora un problema irrisolto dalla comunità scientifica. Ne sappiamo poco. È chiaro, tuttavia, che abbiamo bisogno di avere molta materia oscura perché ciò che osserviamo sia coerente con quello che sappiamo.

Se cercassimo di spiegare con percentuali qual è la presenza di questi due elementi nell’universo, potremmo dire che è opinione generale che nell’universo ci sia un 70% di energia oscura, di cui non conosciamo nulla o praticamente nulla, un 25% di materia oscura, di cui pure non conosciamo praticamente nulla, e un 5% di materia osservabile, la cosiddetta materia barionica. Dopo alcuni secoli di sforzi – la comunità scientifica studia questa materia dal XVI secolo – abbiamo informazioni solo su questo 5%. E, di fatto, di questo 5% di materia barionica, solo una parte rientra nei nostri campi di osservazione.

Premesso tutto questo, ciò che fa la fisica è invitarci ad avere un atteggiamento di modestia intellettuale, anzi quasi ce lo impone. Di quello che possiamo osservare, ne sappiamo qualcosa come il 5%. Del resto, non ne sappiamo niente. Pertanto, la fisica quantistica non solo ci invita alla modestia rispetto alle nostre attuali conoscenze, ma, in qualche modo, ci invita anche ad una modestia permanente.

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Il semplice fatto di osservare modifica la realtà osservata

Una delle pietre miliari della fisica quantistica, stabilita nel 1927 dal tedesco Werner Karl Heisenberg, sostiene che è impossibile conoscere simultaneamente la posizione, la direzione e la velocità di una particella. Ci dice che non solo non lo sappiamo ora, ma non lo sapremo mai. E su ciò si è formato un consenso diffuso nella comunità scientifica. Pertanto, possiamo dire ancora una volta che la fisica ci invita alla modestia. Sappiamo poco rispetto a ciò che osserviamo della realtà che ci circonda e, inoltre, sappiamo che ci sono dei limiti anche alle nostre conoscenze future. Andando un po’ oltre, la meccanica quantistica indica che la nostra conoscenza ha dei limiti che rendono impossibile conoscere la realtà assoluta.

Ciò è dimostrato da uno degli esperimenti più famosi della storia della quantistica, la doppia fenditura di Young, che oltre a dimostrare la duplice natura corpuscolare e ondulatoria della luce, chiarisce che il semplice fatto di osservare cambia la realtà osservata. Vale a dire, quando scegliamo di non osservare il sistema, vediamo che il risultato dell’esperimento corrisponde a un modello di interferenze, caratteristico della natura ondulatoria, e quando l’osserviamo, il risultato è coerente con il comportamento di una particella. Pertanto, la particella subatomica, quasi come sapesse di essere messa alla prova, decide di cambiare natura e si comporta in modo totalmente diverso. Sa se l’osserviamo o no? È chiaro che no, ma ciò che è chiaro è che l’atto di osservare cambia la realtà osservata, che è una delle frasi che sentiamo ripeterci quando cerchiamo di avvicinarsi alla fisica quantistica: l’osservatore cambia la realtà che osserva o il semplice fatto di osservare modifica la realtà osservata. E se risulta che cambia in peggio? Una domanda che ci deve far riflettere, perché se con le particelle subatomiche non sorgono dubbi etici, in molte altre aree, sì. E se non ci facesse sorgere dubbi, vorrebbe dire che saremmo un tipo di persona con cui gli altri non avrebbero piacere a interagire. In breve, la quantistica, oltre alla modestia, ci invita alla prudenza.

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Bisogna essere prudenti nell’osservare la realtà perché la possiamo modificare in peggio

A proposito di prudenza, uno degli elementi più suggestivi della fisica quantistica è il paradosso che un fisico della scuola di Copenaghen, Schrödinger, volle proporre ad un altro fisico, molto noto in quell’epoca, Albert Einstein. Nonostante il suo importante contributo alla creazione della teoria quantistica, Einstein provava una certa diffidenza rispetto alla componente aleatoria che riguardava la meccanica quantistica. In parole sue, “Dio non gioca a dadi”. Così, insieme ad altri due scienziati, Podolsky e Rosen, scrisse un articolo nel quale pretendeva di mettere in discussione la strana natura delle sovrapposizioni quantistiche. Nel corso della stesura dell’articolo, Einstein e Schrödinger si scambiarono una serie di lettere nelle quali discutevano le implicazioni e, in questo contesto, Schrödinger propose un esperimento immaginario come esempio per illustrare i paradossi e le contraddizioni derivanti dalla fisica quantistica.

È il paradosso del gatto di Schrödinger. Si prende un gatto e lo si mette dentro una scatola chiusa e opaca, nella quale c’è anche un recipiente contenente cianuro – altamente tossico – regolato da un dispositivo quantico con una sostanza radioattiva che garantisce che nel corso di un’ora ci sia esattamente un 50% di probabilità che almeno uno dei suoi atomi si disintegri, e causi che la fiala di acido si rompa, e un 50% che non si disintegri… In questo caso, allo scadere dell’ora non sappiamo la condizione del gatto. Il gatto è vivo o e morto? È un gatto che, visto che c’era un 50% di probabilità che fosse vivo e morto, può essere mezzo morto e mezzo vivo allo stesso tempo?

La meccanica quantistica ci dice che, in queste circostanze, dopo un’ora, se non apriamo la scatola, avremmo in realtà un gatto vivo e morto allo stesso tempo. Sarà solo aprendo la scatola e osservando la condizione del gatto che avremo il collasso della funzione d’onda e obbligheremo il gatto ad adottare uno dei due stati.

Quindi, se apriamo la scatola e vediamo il gatto vivo, potremmo dire che in qualche modo stiamo salvando mezzo gatto? O se il gatto è morto, potremmo dire che stiamo uccidendo mezzo gatto? Ciò che è chiaro è che la nostra osservazione è decisiva nella condizione di vita del gatto. Pertanto, il paradosso di Schrödinger può condurci a concludere che l’osservatore non solo modifica la verità osservata, ma potrebbe modificarla in modo sostanziale. In questa maniera il paradosso del gatto di Schrödinger, e che gran parte della fisica quantistica in generale, ci invita a cautela. Quando guardiamo la realtà, possiamo modificarla e forse possiamo modificarla in peggio.

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Se siamo in grado di rendere il mondo un po’ migliore, abbiamo l’obbligo di provarci

Se è così, c’è un rischio. Da una prospettiva etica e politica, il rischio è quello di cadere in una sorta di conformismo scettico. Poiché per il semplice fatto di osservare la realtà la sto cambiando, sai che c’è? Cercherò di non osservare troppo, cercherò di isolarmi dal mondo osservabile, cercherò di interagire poco con il mondo… Ma questo atteggiamento, che intellettualmente è razionale, contraddice, come altre cose della quantistica, il nostro buon senso. Viola il nostro senso comune, perché molto spesso, quando osserviamo la realtà, siamo inevitabilmente e irresistibilmente attratti a fare qualcosa. Quando guardiamo il mondo, possiamo vedere molto spesso che ci sono molte cose che non vanno bene, che sono ingiuste e, pertanto, ci sentiamo chiamati ad intervenire. Sentiamo un obbligo etico, un obbligo morale ad agire, non possiamo permettere ciò che è sbagliato o che è ingiusto, se ho qualche possibilità di cambiarlo, continui a essere sbagliato o ingiusto.

Pertanto, da questo punto di vista, l’appello alla modestia e alla cautela si scontra con il nostro atteggiamento abituale di osservatori e abitanti del mondo. C’è un esempio molto efficace e devastante per coloro che credono che l’unico atteggiamento possibile sia lo scetticismo comportamentale. Io rispetto lo scetticismo da un punto di vista intellettuale, ma da un punto di vista comportamentale non può mai essere una scusa per non intervenire. Coloro che tra di voi sono genitori sanno che di fronte alla certezza o alla possibilità che i vostri figli si facciano del male, sempre interverranno. Sempre. Inoltre, l’esempio è particolarmente potente perché è l’unico campo – o uno dei pochi ambiti – in cui la maggior parte di noi agisce senza pensare a se stessi. Pertanto, in risposta a questo richiamo, che non è solo un obbligo nel senso dell’etica e della morale, ma che è un bisogno fisico, non ci si fa troppe domande: si interviene. Si fa qualsiasi cosa. Ed è ovvio che intervenendo non puoi sapere con certezza che conseguenze avranno le tue azioni, ma intervieni lo stesso.

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Modestia, prudenza e impegno

E questo ci porta all’ultimo dei concetti su cui volevo riflettere: l’impegno sociale. Modestia intellettuale, sì; prudenza, sì, perché è una conseguenza logica della modestia; ma allo stesso tempo c’è anche bisogno di impegno sociale. Bisogna impegnarsi quando si cerca di migliorare il mondo, quando si cerca di fare del bene o si cerca di fare giustizia. Chiamatelo come preferite, utilizzate questi concetti con la definizione che volete, perché alla fine sono concetti che riflettono valori universali come esseri umani, nella misura che sono condivisi da tutti gli esseri umani in qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi momento nella nostra storia. E questi valori, che ci spingono a impegnarci, esigono il nostro impegno e lo rendono inevitabile, senza possibilità di scelta. Ci sono momenti in cui la nostra passione non ci consente di scegliere se intervenire o meno. Nonostante la modestia e la prudenza, dobbiamo intervenire. E questo ci mette sempre davanti al dubbio se quello che stiamo facendo è esattamente quello che si dovrebbe fare o il meglio che possiamo fare. Un dubbio dal quale, se siamo abbastanza prudenti e modesti, non saremo mai in grado di liberarci. Ma allo stesso tempo è l’unica cosa che giustifica la nostra condizione di essere umani bisognosi, inevitabilmente, di fare del bene.

Oriol Junqueras

*Oriol Junqueras è ex vicepresidente della Catalogna

**L’articolo pubblicato, “La modèstia i la prudència”, è uscito originariamente qui.

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