
“Nei sonni degli erranti”. Una scoperta, la poesia di Antonio Camaioni
Poesia
Giorgio Anelli
Non so quanto possa convenire al giorno d’oggi ‒ del resto, oggi come allora ‒ parlare di una poetessa come Fernanda Romagnoli. Da poco ‒ e per fortuna ‒ sono uscite numerose sue poesie in una raccolta dal titolo entusiasmante: La folle tentazione dell’eterno (Interno Poesia).
Del resto, poco m’importa del rischio che corro o che correrei. Di cosa poi? Di esser tacciato di amare la poesia, forse? D’altronde, se non si rischia nella vita come in poesia, vivendo l’istante inattuale del presente, cosa potremmo fare di noi? Anticipare il futuro, provando sensazioni che probabilmente mai mostreranno il vero senso delle cose…
Ciò nonostante, rimango costantemente affascinato da una figura femminile come la sua, che pubblicò soltanto quattro raccolte tra il 1943 e il 1980. Gravemente malata per molti anni, morì poi nel 1986.
Leggo quasi quotidianamente i suoi versi. Non sapevo nulla di lei fino a poco tempo fa. E stasera, arrivando in una Torino quasi primaverile e grigia, ho portato con me il libro. E lo apro, come son solito fare, a casaccio; per irrompere nel caso, fustigando l’errore del pregiudizio.
Così, eccomi davanti a una poesia che presto o tardi mi riporterà a fare i conti con me stesso:
Preghiera
Più m’inoltro, più resto sulla soglia.
Più prossima mi sento
per ventagli di luce
al limitare ‒ più sul viso oscura
pende la foglia,
ch’è sempre la penultima,
o l’ultima: o la prima,
dopo tanto girare,
se la rosa dei venti m’ha ingannata,
se la memoria scialba tornò al posto
della fronda spezzata.
Perché, dopo tutto, io prego, sì. Eppure la mia cara madre, come un monito, mi disse poco tempo addietro di fare i conti con la mia coscienza; poiché, così proruppe: È dentro di te che sei sporco!
Comunque, non voglio assolutamente raccontare i fatti miei. Semmai mi chiedo, leggendo la Romagnoli, dov’io sono e dove il destino mi sta portando. Giacché è il destino a chiamarci, e non il contrario. Difatti, di una cosa sono convinto: non sono le azioni dell’uomo a determinarne le sorti, bensì le scelte compiute, a farci accettare o meno un compimento o l’altro.
Tuttavia, dov’io sto andando già lo riconosco in divenire. Da dove vengo, pure mi è chiaro ‒ con rispetto, e all’inverosimile. Quello di cui piuttosto ora sento la mancanza, è proprio e casomai il presente. Ma non di un mordere la vita come sono abituato a fare, quasi fossi (e per certi versi non lo escluderei) un animale. Si tratta ‒ tutt’al più e per l’appunto ‒ di un dialogo con l’Altro:
Ma Tu, dovunque effuso ad ascoltare,
presente ma nascosto,
zitto come l’uccello avanti l’alba:
non dove sei ‒ rivelami ov’io sono.
Mio Dio, se t’abbandono
io sarò abbandonata.
Chiedersi dove siamo veramente, nel profondo del nostro cuore, forse sarà la chiave di volta in un mondo spesso abituato all’abbandono. Chiederselo pregando, per quanto mi riguarda, è la sfida lanciata al destino sconosciuto e affascinante di ogni giorno.
Giorgio Anelli