12 Febbraio 2018

Femminista, bisessuale, magnetica: Silvio Raffo ci racconta Edna St. Vincent Millay, la bad girl della poesia americana

Grandiosa, sconveniente, amatissima. Purtroppo, o forse proprio per questo, praticamente sconosciuta in Italia. Nella sua terra, l’America, è più nota di quanto lo sia Leopardi da noi. Se andate a rivedere, scoprirete che Woody Allen è da più di dieci anni che la cita in ogni suo film. La prima volta fu nel geniale Anything Else. Due coppie sono a cena insieme e, incalzate dall’insopprimibile smania vitale del personaggio interpretato da una giovanissima Christina Ricci, decidono di concludere la serata andando a vedere Diana Krall, la nota cantante jazz, in un piccolo locale. A un certo punto, Christina prende la mano dell’amico del suo ragazzo e gli recita questi versi: “La mia candela brucia a entrambe le estremità/ non durerà tutta la notte…”. Il povero maschietto impacciato, che è già decisamente invaghito della tizia, va letteralmente in visibilio. “Millay”, esclama gioioso, “Edna Millay”, prima di girarsi verso la sua ragazza e domandarle: “Non è forse vero che la cito continuamente?”. Qualcosa di meno emozionante capita in An Irrational Man, quando il professore di filosofia regala alla sua giovane amante, durante una cena romantica, proprio un libro della suddetta. Se volete sopperire a una vostra imperdonabile lacuna rispetto alla lirica della poetessa americana, sappiate comunque che vi sarà relativamente semplice. Oltre a poter reperire facilmente i testi in lingua originale su internet, ovviamente in formato elettronico, vi segnaliamo anche la raccolta L’amore non è cieco, pubblicato da Crocetti Editore, che contiene una selezione delle migliori liriche della Millay a opera di Silvio Raffo, un nome e una garanzia in campo di poetesse anglofone. Ed è proprio l’esperto conoscitore e traduttore (che tutti conosciamo per le versioni di Emily Dickinson confluite nel ‘Meridiano’ Mondadori) da cui abbiamo deciso di farci guidare per fare conoscenza di una delle più celebrate poetesse del ’900 americano.

Quasi nessuno in Italia conosce Edna St.Vincent Millay, quindi direi di iniziare, come da manuale, con la sua vita. Che tipo di esistenza ha condotto la Millay?

Edna St.Vincent Millay nacque a Rockland, nel Maine, il 22/02/1892. Ebbe due sorelle, a cui fu particolarmente legata. La famiglia non era ricca e viveva in una piccola casa, nel quartiere più povero di un villaggio di pescatori. Il loro rifugio estivo si trovava a Camden. Il mare è fondamentale nella sua formazione, come il gigantesco massiccio montuoso del Megunticook. La madre era una donna assennata e coraggiosa, vivace e di larghe vedute, con aspirazioni letterarie (pubblicò anche un libro di poesie per bambini). Il padre, invece, era piuttosto superficiale e immaturo, pur essendo un insegnante e un sovrintendente scolastico. Era, peraltro, vittima della sua passione per il gioco. La madre lo cacciò e le quattro donne rimasero sole. La biblioteca di casa era particolarmente fornita. Edna iniziò a scrivere presto, collaborando dal 1906 con il Saint Nicholas Magazine. La giornalista Caroline Dow la protesse e la sostenne. Studiò al Vassar College. Interessante la sua relazione con la compagna di collegio Charlotte Babcock, e poi quella con Isobel Simpson. Dei suoi amori saffici è testimonianza la commedia The Lamp and the Bell, rappresentata per il cinquantesimo anniversario del college, che ha per protagoniste due sorellastre inseparabili. Da Vassar (dove Edna è decisamente una figura leader) a New York, il passo è breve. Qui conobbe Sara Teasdale (altra poetessa da me tradotta), l’attrice Edith Mathison e il marito Ran Kennedy, che la ospitarono per un periodo di vacanze nel Connecticut. Sempre i Kennedy la invitarono a New York, nel settembre 1917. Si trovava particolarmente a suo agio nel Village, frequentato da giovani intellettuali che difendevano i diritti delle donne. Dopo aver lavorato anche come attrice, Edna divenne una delle sostenitrici della libertà sessuale e del femminismo, pur non avendo mai atteggiamenti chiassosamente rivoluzionari. Il suo libro di versi Few Figs From Tistles ebbe grande successo, proprio per la sua (sia pur sempre raffinatissima) spregiudicatezza. È importante la sua liaison con Edmund Wilson che, proprio come Browning con la Barrett, s’era innamorato dei suoi sonetti e resterà per sempre un suo grande estimatore. Nel ’21 partì per la Francia, dove lavorò anche per il teatro e intrecciò una relazione con il giornalista (sposato) George Slocombe e ritrovò Arthur Hooley, il direttore del Forum con cui aveva già avuto una affaire giovanile. La bisessualità di Edna e la sua capacità di amare contemporaneamente più persone non sono segreti per nessuno. Il matrimonio con Eugen Boissevain, un intellettuale incontrato a New York (suo vicino di casa), non cambiò sostanzialmente nulla. Eugen era innamoratissimo e, convinto della genialità della moglie, l’assecondava in tutto. Per accontentarla si trasferì in campagna, a Croton. È da quel momento che iniziarono a palesarsi i primi segni dei disturbi psicologici di Edna. Una serie di guai finanziari, inoltre, turbarono questo periodo. La coppia lasciò la campagna e acquistò una casa ad Austerlitz, che sarà chiamata Stepletop, poco lontano dalla quale venne restaurato un cottage, in cui ospitarono alcuni amici dai costumi molto liberi (praticavano il nudismo). Una piccola comunità di naturisti che può richiamare alla mente gli “eletti” del Monte Verità, ad Ascona. Wilson venne a farle visita e scrisse d’aver trovato Edna come “una specie di naufrago sballottato per molti mari, che stava galleggiando lì all’ancora”. Notevole anche l’impegno civile della Millay che, come Dorothy Parker, soffrì molto della vicenda di Sacco e Vanzetti. Il suo successo di poetessa si consolidò dal ’28 al ’32, ma alcune sventure la segnarono dolorosamente: un incendio a Stepletop che distrusse un suo libro, Conversation at Midnight; un incidente d’auto che compromise l’uso di un braccio; la morte improvvisa dell’adorata madre (cui è dedicato The Harp Weaver); un travagliato amore per un giovane di nome George Dillon e l’inevitabile rottura, data l’incapacità di lui di reggere alla grandezza di lei. Dal ’32 al ’44 vi saranno altre gravi crisi depressive, ma Edna venne sempre assistita amorevolmente da Eugen (si ripropone la situazione di Virginia e Leonard Woolf). Nel ’43, la morte della sorella Kathleen, a causa del suo alcolismo, le dette il colpo di grazia. Vi furono vari ricoveri in ospedale, anche dopo la fine della guerra. Una ripresa dal ’46, sostenuta anche dal crescente successo editoriale, non impedì la caduta definitiva, il crollo psicologico con la scomparsa di Eugen. La morte la raggiunge il 18 ottobre 1950, dopo una caduta dalle scale, in stato di ebbrezza. “Nell’entrare a Stepletop, si avvertiva che questo fragile oggetto di porcellana di inestimabile valore era in equilibrio precario sulle scale…”, scrive significativamente Max Eastman. Segnalo due biografie in italiano: di Lydia Susinno Di Stefano, Edna. Una vita per la poesia, Edizioni Pontegobbo, 2004 e di Gaia De Beaumont, Tra breve io ti scorderò, mio caro, Marsilio, 2004.

Com’è possibile che una poetessa tanto nota in patria – e non una patria qualsiasi, ma l’America – sia così scarsamente conosciuta da noi?

Edna libroPer l’inettitudine del pubblico italiano e/o per un persistente maschilismo. Sussiste un malcelato disprezzo, per la produzione poetica femminile, che in Italia è inestinguibile a livello di critica militante (basti pensare all’antologia di Mengaldo, per i Meridiani: quante donne vi figurano?). Fernanda Pivano, in un capitolo del suo libro Leggende americane, mi ha espresso i suoi complimenti per aver colmato questa lacuna.

Quali sono le caratteristiche salienti della sua lirica? Quali le tematiche trattate?

Le tematiche ricorrenti nella poesia di Edna St. Vincent Millay sono quelle della grande tradizione shakespeariana: la caducità del tempo, l’eternità della Bellezza, la fragilità della condizione umana. Un certo cinismo incrina il romanticismo di base, come accade anche nella poetessa a lei maggiormente affine, Sara Teasdale. Una voce femminile disincantata. Insomma, una bad girl che conquistò i giovani del Greenwich Village proprio in virtù della sua spregiudicatezza. I suoi testi parlano spesso d’amore, in toni che talvolta parrebbero intrisi di romanticismo, ma il fatto è che il suo “romanticismo” è un’erma bifronte, una sorta di amabile bluff. In Spring, una poesia in cui si ricollega all’Eliot di “Aprile è il mese più crudele”, lo dice chiaramente: “I know what I know” e questo potrebbe, a ben vedere, essere il suo motto. La caratteristica più interessante è la combinazione di classico e moderno nel suo stile: metricamente parlando, alterna con disinvoltura sonetto a versificazione libera con una serie di deviazioni, irregolarità, scarti e inversioni di rotta. Il gusto dell’inversione e dell’abbassamento di tono, in virtù del quale si passa da un avvio sostenuto e vibrante a un registro prosaico, ha i modi di un lessico famigliare. La sua è una poesia in cui convivono abissi tenebrosi e sberleffi irriverenti, ma il tono si mantiene sempre fedele a una leggerezza elegante, a tratti persino frivola, da black comedy (Tra breve io ti scorderò, mio caro, Barbablù, Se in un modo del tutto casuale).

Lei com’è entrato in contatto con la poesia della Millay?

Negli anni ’80, una cara amica, Anita Aletti, mi disse: “La sola persona, in Italia, che può tradurre la Millay sei tu”. Io la conoscevo solo di nome e avevo letto appena una sua poesia su un’antologia inglese. Aveva ragione, Anita. A lei è dedicato il libro di Crocetti, che peraltro ha avuto un buon successo.

Quali sono stati i principali problemi che ha incontrato nel trasporre in lingua italiana la poetessa?

Nessuno. È fluida e meravigliosamente melodica. Le nostre anime si assomigliano.

Quali sono state a livello poetico le influenze principali della poetessa?

Influenze non ne vedo. Affinità sì, ma non influenze specifiche.

Cosa vedono gli americani di tanto speciale nella loro autrice da averla trasformata in un emblema? Penso a tutti i testi su di lei, ma anche, a livello di cultura popolare, a Woody Allen che la cita continuamente. Forse che in America la poesia ha una diversa e più ampia ricezione?

L’american people (quella evoluta) vede in lei l’espressione di una spregiudicata libertà di pensiero. Thomas Hardy, a proposito della poetessa, disse: “È quanto di meglio l’America abbia potuto produrre, oltre all’architettura”.

Matteo Fais

 

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