Chi maneggi la filosofia con la dovuta feconda curiosità, si sarà imbattuto nel nome del vicentino Giuseppe Faggin, traduttore e commentatore di Plotino, il primo a portare in Italia Meister Eckhart (La nascita eterna, Sansoni 1953) e uno dei tanti rimossi o trascurati della repubblica filosofica italiana ed europea, a sommo ed ennesimo disdoro dei padroni del discorso, che preferiscono percorrere sentieri sicuri anziché avventurarsi nell’abbondanza del pensiero.
Sorte curiosa invece investe il figlio Federico, un informatico geniale, considerato un guru nella Silicon Valley, che da qualche tempo gode di notevole fama anche nel nostro Paese in seguito alla pubblicazione per Mondadori di Silicio e più ancora di Irriducibile, un testo quest’ultimo cui spetta per diritto di entrare nel novero di quella singolare e relativamente recente strada scientifica, che si incarica di ratificare le intuizioni della filosofia mistica e che ha tra i suoi classici baluardi ad esempio Il Tao della fisica di Fritjof Capra.
Irriducibile anzitutto racconta di una fortissima esperienza personale che volgarmente si direbbe trascendente, dopo la quale, con l’aiuto delle sue notevoli conoscenze fisiche e informatiche e di concerto con il fisico Giacomo Mauro D’Ariano, Faggin si avvia a comporre una variazione sul noto tema, scoprendo che tutto ciò che è stato sino a oggi detto dalla scienza variamente ascrivibile al materialismo circa la natura delle cose, compreso e forse soprattutto l’essere umano, è un equivoco, più o meno in buona fede. L’universo – detta malissimo – è una grande coscienza di cui noi facciamo parte, anzi siamo parte attiva che deve soltanto svegliarsi.
Detta così sembra la solita solfa e per certi versi lo è.
Cionondimeno Irriducibile riveste un interesse aggiuntivo, poiché mentre gli altri studiosi partivano già da basi religiose e spirituali più o meno consolidate o dagli effetti di sostanze psicotrope, Faggin – immaginiamo con gran dispetto del padre – non ha mai frequentato quel genere di letteratura, come ci si rende conto leggendo l’opera. Ciò però non deve implicare un’accettazione incondizionata alle tesi di Faggin (né di chiunque altro), soprattutto perché Faggin è oltremodo categorico, convinto com’è di aver trovato niente meno che l’incontrovertibile e definitiva verità.
Noi restiamo al Nietzsche di Umano, troppo umano, per il quale le convinzioni sono nemiche della verità peggiori della menzogna. Sicché le domande che gli abbiamo posto rientrano in quelle che i fessi chiamano “provocatorie”, quando invece servono soltanto a suscitare, si spera, una maggiore comprensione in ambedue le parti.
Professor Faggin, glielo dico subito: la sua filosofia mi sembra un grande rinculo rispetto agli avanzamenti della fisica contemporanea. Lei in poche pagine ha la pretesa di cancellare decenni di studi e di ritornare alla metafisica. Non Le sembra un azzardo eccessivo?
Affermo che la coscienza e il libero arbitrio, proprietà che si possono spiegare con la fisica quantistica più avanzata, sono la sorgente di tutto ciò che rende la nostra vita più di un meccanismo. La teoria che il prof. D’Ariano ed io abbiamo proposto fa fare un passo avanti sia alla fisica che alla metafisica, perché certe caratteristiche fondamentali dell’informazione quantistica hanno tutte le peculiarità del libero arbitrio e dell’esperienza cosciente. E ci fa anche intravvedere come il mondo interiore e quello esteriore interagiscono. Questa è scienza, con un contorno di filosofia e spiritualità. Di fatto, la fisica quantistica dice chiaramente che la realtà è olistica, cioè che non è fatta di parti separabili come lo sono le nostre macchine.
A quanto mi sembra di capire, la Sua teoresi si fonda non solo e non tanto sulle acquisizioni della fisica quantistica ma soprattutto su di una Sua esperienza personale, che volgarmente si chiamerebbe mistica. A me pare che ciò implichi un ritorno al soggettivismo più sperticato, quasi al solipsismo. Come si può edificare un pensiero con pretese di oggettività basandosi su fenomeni personali indimostrabili o che possono essere, appunto, fatti personali e non scientifici?
La mia esperienza personale mi ha fatto capire che la nostra natura è molto più vasta di quella che la scienza oggi ci descrive. Mi ha quindi spronato ad andare a fondo per comprendere come tale esperienza possa essere compatibile con ciò che dice la scienza. Sono partito dal presupposto che una spiegazione accettabile della mia soggettività non può assolutamente invalidare i risultati teorici e sperimentali della fisica. In poche parole, ho seguito il metodo scientifico, ma allo stesso tempo non ho nemmeno screditato la mia esperienza semplicemente perché implica una realtà più vasta di quella descritta dai fisici. Il progresso della fisica avviene soltanto quando sperimentiamo anomalie che sono inspiegabili con le teorie correnti. Oggi la stragrande maggioranza degli scienziati ci dice che la coscienza e il libero arbitrio sono epifenomeni del cervello e quindi toglie realtà a ciò che rende la natura umana incommensurabile con la materia inerte. E la negazione dell’esistenza dell’interiorità non è mai stata provata, anzi, va contro l’esperienza di ogni persona.
Per ben due volte Lei nel Suo libro fa un’affermazione impegnativa: in buona sostanza sostiene che l’Uno, ossia Dio, ha creato e seguita a creare il mondo per autoconoscersi. Lo sa che questo stesso identico concetto innerva le grandi correnti mistiche? Ad esempio è esplicito nel sufismo.
Ho detto chiaramente che questa idea risale ai Veda, ma la cosa importante è che questo principio è emerso naturalmente anche nelle mie esperienze più profonde. Ho fatto quindi una verifica sperimentale di un principio che può essere preso come principio universale, proprio perché non sono il solo ad averlo sperimentato. È chiaramente un postulato-guida che deve ritenersi valido fintantoché ci permette di fare predizioni valide.
Lei non adopera mai la parola “Dio” e anzi esplicitamente ne rifugge. Perché?
Ho definito Uno come “tutto ciò che esiste” con le minime proprietà (dinamismo e olismo) che sappiamo esistono anche nell’universo fisico, ma con in più il desiderio di conoscere se stesso. A partire da qui si deve spiegare l’evoluzione del mondo fisico, della vita e della conoscenza. Voglio fare scienza, non religione, ma una scienza che non cancelli a priori l’interiorità che abbiamo dentro di noi solo perché non sa spiegarne l’origine. Ogni religione ha un Dio o degli Dei con proprietà diverse e spesso incompatibili tra di loro.
Ha mai sottoposto alla verifica, ad esempio, del materialismo dialettico (penso al Suo collega Eftichios Bitsakis) o almeno del realismo di Einstein-de Broglie la Sua concezione?
Il materialismo dialettico è una teoria filosofica. Io voglio fare scienza, non filosofia. Ma una scienza che vada oltre il pregiudizio che esiste solo la realtà che si può misurare nello spaziotempo. Sappiamo che l’informazione quantistica non è clonabile e che ciò che si misura nello spaziotempo può essere soltanto una piccola parte dello stato quantistico. Inoltre, l’esistenza dell’entanglement quantistico, provata oltre ogni possibile obiezione, contraddice il realismo locale di Einstein. Tutto ciò ci porta anche alla conclusione che il determinismo è un’approssimazione di una realtà in cui il libero arbitrio, la coscienza e la creatività non-algoritmica sono proprietà fondamentali della natura quantistica della realtà, non conseguenze della fisica classica.
Uno dei cardini del Suo pensiero, che Lei esplicitamente pretende scientifico, è la fisica quantistica. Eppure, questa disciplina non solo ha molti oppositori, ma ha molti oppositori autorevoli. Come la mettiamo?
La fisica quantistica è la fisica più accurata e più autorevole che esista. Punto. Su ciò troverà quasi tutti i fisici d’accordo. Essa ha permesso di fare predizioni, verificate con estrema precisione, di fenomeni impossibili da spiegare con la fisica classica. È proprio la fisica quantistica che ci dice che la realtà non è come l’avevamo immaginata sulla base dei modelli classici. Einstein stesso non accettava la fisica quantistica, ma tutte le sue obiezioni, basate sui principi della fisica classica, si sono rivelate sbagliate. Durante gli ultimi cinque anni, lavorando con Giacomo Mauro D’Ariano, professore di Fisica Teorica all’Università di Pavia, è nata una teoria della coscienza e del libero arbitrio. Questa teoria spiega come la coscienza e il libero arbitrio siano compatibili con la strana natura dell’informazione quantistica. Anzi, la stranezza della fisica quantistica non è più tale quando affermiamo che l’informazione quantistica rappresenta l’interiorità della natura. Quest’ultima è caratterizzata da esperienze coscienti private da cui emerge la realtà rappresentata dall’informazione classica condivisibile che è quella descritta dalla fisica classica.
La fisica quantistica è da decenni accolta non solo in ambito scientifico (in certi ambiti…) ma anche dal New Age e da ogni spiritualismo. Non si sente in imbarazzo con questi compagni di strada, che si dimostrano sempre superficiali?
Molti in passato hanno visto una possibile connessione tra la fisica quantistica e la natura della coscienza, ma nessuno è mai riuscito a spiegare esattamente dove trovarla. La teoria di D’Ariano-Faggin è riuscita a centrare il punto, spiegando in maniera lucida che uno stato quantistico puro, che non è conoscibile da fuori, rappresenta un’esperienza cosciente che è conoscibile solo “da dentro”, cioè dal sistema che è in quello stato. Ciò rende comprensibile perché esiste informazione che è inconoscibile: esiste perché c’è la coscienza.
Lei scrive a p. 234: «Il computer non è nato per caso, ma mediante un processo cosciente di esplorazione, comprensione e realizzazione; partito da un’idea che esisteva già in forma embrionale nella nostra coscienza molto prima della sua realizzazione. Allo stesso modo, qualsiasi creazione deve sempre partire da un’idea generale prima di riuscire ad arrivare alla sua realizzazione particolare, e non viceversa. E l’idea nasce spesso da un desiderio. Per esempio, il desiderio di volare dev’essere emerso nella coscienza umana già al tempo degli ominidi, presumibilmente osservando gli uccelli e immaginando la gioia di poter volare come loro». Ma Lei pur sostenendo di fatto il platonismo delle idee, subito dopo scrive che l’idea del volo proviene dall’osservazione concreta degli uccelli. C’è una palese contraddizione con il Suo assunto di fondo, non trova?
Ho detto che l’idea dell’insieme deve esistere prima della sua realizzazione, nel senso che l’idea deve motivarla e guidarla. Nel caso specifico, non ho detto che l’idea di volare è esistita da sempre. Anzi, ho detto che la creatività esiste come processo non algoritmico in cui nuove idee emergono spontaneamente “da dentro” e contengono la motivazione per essere realizzate con un processo di “variazione e selezione” che si basa sulla razionalità e sulla creatività, non sul caso. Come inventore, ho una certa familiarità con il processo creativo e sono tutt’altro che un platonista. Nel modello che propongo, Uno vuole conoscere se stesso. Ciò implica che Uno non è onnisciente. Ogni nuova conoscenza è una nuova creazione e questo processo va verso l’infinito senza mai raggiungerlo, proprio perché l’infinito è operazionalmente irraggiungibile.
Se il platonismo e la preesistenza in generale fossero veri, ne avremmo la dimostrazione attraverso il ricordo immediato delle idee, ma ciò non accade. E di più: se il suo modello fosse realistico, i cervelli umani sarebbero tutti carichi della conoscenza assoluta.
Questa domanda sarebbe giustificata solo se io fossi un platonista. Il platonismo implica il creazionismo e un mondo deterministico che io rifiuto. La fisica quantistica descrive invece un mondo in cui il futuro è aperto e il divenire esiste.
Alle pp. 41-42 lei scrive: «Un altro aspetto importante della matematica, che spesso viene sottovalutato, è che la verità dei suoi enunciati è relativa soltanto a quella dell’insieme di assiomi non dimostrabili su cui c’è accordo. Tali assiomi sono infatti considerati verità autoevidenti, accettate come tali per convezione perché non dimostrabili. La presunta oggettività della matematica si basa quindi sull’accettazione soggettiva di ciò che è ritenuto autoevidente. È quindi legittimo avere qualche dubbio sull’assoluta certezza che possiamo attribuire agli enunciati matematici, soprattutto quando essi sono applicati al mondo reale».
A questo punto le chiedo due cose: 1) se ciò che lei scrive corrisponde alla verità – e possiamo senz’altro ammetterlo – dovrebbe decadere anche la fisica quantistica perché anch’essa è fondata, oltreché sugli esperimenti, anche sulla matematica. Vi sono forse due matematiche? 2) lei critica ciò che possiamo chiamare “soggettivisimo matematico” e lo ritiene sostanzialmente inaffidabile o almeno meritevole di dubbio: ma lei è il primo, per srotolare la sua teoria, a partire non già da fondamenti fisico-matematici oggettivi o in ogni caso ritenuti tali, ma addirittura da un’esperienza soggettiva di natura psicofisica. Come possiamo quindi dubitare della matematica e invece affidarci all’esperienza individuale non estensibile?
La fisica si fida della matematica perché la matematica può fare predizioni che possono essere verificate o falsificate sperimentalmente usando la logica ferrea che, partendo da postulati, porta a teoremi. Malgrado ciò, l’ultima parola in fisica spetta all’esperimento e non alla matematica. In altri termini, la matematica ci offre una mappa della realtà, ma la mappa non è il territorio. La mappa deve descrivere l’esperienza cosciente del mondo esteriore e interiore che è il territorio. Ma non c’è nessuna mappa che possa rappresentare ciò che ancora non esiste.
La vera creatività porta in esistenza un nuovo territorio che a sua volta può essere descritto da una nuova mappa. Ma il territorio viene prima della mappa. Il nostro bisogno di controllo ci ha portato a postulare che tutto ciò che esisterà deve essere predicibile da leggi che già esistono. Questo postulato invisibile ci ha portato al materialismo che la fisica quantistica nega nella maniera più assoluta.
C’è un sostrato non dichiarato ma immediatamente evidente nel suo libro, derivato dai principi della fisica quantistica, ossia l’impossibilità di pervenire a una verità oggettiva, sia pure in maniera asintotica. Lei, insomma, di fatto sposa una teoria fisica, per adoperare una terminologia filosofica, agnostica. Cionondimeno si dice certissimo della veracità gnoseologica non solo della fisica quantistica ma altrettanto della sua esperienza. Anche questa mi pare una contraddizione.
Ciò di cui sono più certo è che esisto. E questa certezza proviene da una esperienza soggettiva della mia coscienza. Ma come fa la mia esistenza ad essere una verità oggettiva se dipende da un’esperienza soggettiva? Quasi tutte le idee che abbiamo partono da concetti dualistici: vero-falso, oggettivo-soggettivo, animato-inanimato, ecc. Questo punto di partenza presume l’esistenza di categorie chiuse, cioè di un mondo riduzionistico fatto di parti separabili. La fisica quantistica descrive invece un mondo olistico in cui non ci sono parti separabili: c’è soggettività e c’è oggettività, ma ci sono anche situazioni che sono sia soggettive che oggettive, come il fatto che so di esistere. Non ho bisogno che me lo dica un altro. Il positivismo logico si è rivelato illusorio: la logica da sola non basta. È necessaria ma non è sufficiente.
Lei afferma che io sono certissimo della veracità della fisica quantistica e delle mie esperienze. Quello che intendo, invece, è di condividere ciò a cui sono arrivato finora nella mia ricerca. Ma io stesso continuo a farmi domande e a verificare le conseguenze delle mie affermazioni che sono, come qualsiasi altra teoria, vere fino a prova contraria.
Un altro assunto della sua teoria è il seguente: la coscienza pre-esiste alla materia. Anzi di più: la materia è frutto della coscienza. Ma al di là del fatto che il termine «coscienza» è piuttosto incerto o comunque non può essere adoperato con troppa disinvoltura ossia senza spiegare in effetto che cosa sia «coscienza», non c’è nessuno studio credibile e fondato che dimostri questo se non per arbitraria inferenza o, se preferisce, per paralogismo. Come può dimostrare che la cosa che noi chiamiamo «coscienza» non sia in realtà una concrescenza della materia?
Parto dal postulato che la realtà fisica emerge dai simboli creati da enti coscienti che comunicano tra di loro. Quello che correntemente chiamiamo materia sono quindi i simboli condivisibili che tali enti usano per comunicare il significato della loro esperienza, che è privato. Simboli e significato sono quindi correlati, ma il significato è sempre più profondo di quanto lo siano i simboli che lo esprimono.
Ciò trova espressione matematica nel teorema di Holevo che afferma: la massima informazione ottenibile da un sistema quantistico in uno stato puro è un bit per ogni qubit che ne descrive lo stato. Quello che proviamo è rappresentabile con uno o più qubit (un qubit rappresenta un’infinità di stati), mentre un simbolo è rappresentato da uno o più bit (un bit rappresenta solo due stati).
La realtà simbolica condivisibile coesiste con la realtà semantica privata e questi due aspetti coevolvono e sono irriducibili. La materia non può esistere senza enti coscienti e gli enti coscienti non possono evolvere senza la materia, cioè senza comunicare simbolicamente tra di loro. Questo postulato non è dimostrabile. Deve essere accettato come punto di partenza di una nuova teoria che spiega la realtà come intreccio del mondo fisico esteriore con il mondo interiore dell’esperienza cosciente. Detto in termini religiosi, esistono sia il corpo sia l’anima.
Il valore di ogni nuova teoria è che può spiegare quello che le teorie precedenti non possono fare. La teoria di D’Ariano-Faggin amplia la portata della fisica quantistica da cui deriva la fisica classica e quindi, oltre a spiegare tutto ciò che già si sa, ha anche il potenziale di spiegare fenomeni nuovi in cui l’esperienza cosciente ha un impatto misurabile sul mondo fisico.