Ho conosciuto Federica Bambaci in Sicilia, alla presentazione del mio secondo romanzo. La sala in cui si teneva l’evento era al primo piano di uno stabile comunale, alla sommità di una lunghissima rampa di scale. Ovviamente, l’ascensore non funzionava. Federica voleva andarsene, anzi se n’era proprio andata, ma sono riuscito a rintracciarla e farla tornare indietro. Io e il poeta Andrea Italiano – che quella sera doveva presentarmi – abbiamo preso la sua carrozzina e l’abbiamo portata di sopra a forza di braccia. Non avevo mai pensato realmente alla questione delle barriere architettoniche, prima di quel giorno. Un fisico sano e abbastanza muscoloso da sollevare una persona seduta in carrozzina, mi aveva tenuto alla larga dal figurarmi le difficoltà a cui devono andare incontro certe persone. Beh, è stato un brusco risveglio. Ma, con grande gioia, ho conosciuto Federica e saputo della sua attività di sensibilizzazione, a mezzo social, sulla disabilità. Questa è l’intervista che le avevo promesso.
Credo sia una domanda per molti versi spiacevole da fare, ma necessaria: Federica, come ci si sente a dover stare, contro il proprio volere, su una sedia a rotelle per la vita?
La disabilità, per me, è stata, fin da principio, la normalità. Credo che, in fondo, si passi la maggior parte della vita alla ricerca di quest’ultima, senza in realtà comprendere che essa consiste nell’accettazione di sé stessi e di ciò che si è. Ho sempre cercato di far sì che dalla mia condizione potesse scaturire un percorso di accettazione per tutte le persone che vivono la stessa situazione. Attraverso i social, provo a veicolare questo messaggio al meglio, affinché ognuna possa sentirsi libera di fare le sue scelte a prescindere dalla propria condizione fisica. Viviamo in una società incatenata da troppi stereotipi e poter sfatare i pregiudizi legati al mio mondo è ormai diventata una missione per me.
Ti sei mai chiesta come ti vedano gli altri, quando gli passi accanto per strada?
Credo che non esistano limiti, o meglio che il limite più grande viva negli occhi e nella mente di chi osserva e di chi ci sta intorno. Le menti ottuse ci sono e ci saranno sempre. Nonostante tutto, nel corso degli anni, ho provato a contagiare con il mio sorriso anche i più ostili nei confronti della disabilità, inseguendo i miei sogni e le mie passioni. Sfilare in passerella o ballare una bachata, pur avendo una patologia piuttosto invalidante, è sempre stata una risposta più che esplicita a tutto questo – dimostrare con i fatti, a volte, vale più di innumerevoli parole. La mia forza interiore devo dire che, in questo, mi è stata sempre di grande aiuto. La cosa fondamentale è saper approcciare con chi, per forza di cose, non è abituato a confrontarsi con una realtà differente dalla propria. Molti pregiudizi, infatti, derivano dall’ignoranza, quindi, dalla non conoscenza di una determinata realtà o condizione. Se ci fossero menti più aperte e più persone disposte ad ascoltare, di sicuro vivremmo in un posto migliore.
Cosa manca alla nostra società per poter integrare i diversamente abili?
Non esiste un manuale perfetto che ci insegni come rapportarci l’uno con l’altro, così come non sta in piedi il fatto che la disabilità sia un mondo a parte. Non esistono limiti e tutti noi, fondamentalmente, anche se non la si vede, abbiamo una disabilità. Secondo me, ciò che manca all’essere umano in generale è proprio saper guardare oltre per abbattere le barriere, dapprima mentali e poi architettoniche, nel rispetto delle leggi, affinché tutti, disabili, normodotati, bianchi, neri, gialli, bassi, grassi o magri si possa vivere in serenità. Non esistono delle etichette per denominare le persone – la mia etichetta preferita la trovo solo sul barattolo della Nutella.
Cosa significa per te la teoria del “BodyPositive”?
Sicuramente Federica, oggi, non sarebbe la stessa, se non avesse incrociato sul suo cammino altrettante persone straordinarie. La “bodypositive” per me non è solo un pensiero, bensì una filosofia che tento di abbracciare ogni giorno della mia vita, cercando incessantemente di essere una voce per tutte le donne che vivono nelle mie stesse condizioni e alle quali sono stati detti troppi “no”, in amore, nella moda, o anche solo nella vita quotidiana, perché sedute su una carrozzina. La “bodypositive” è, appunto, il grido di tutte coloro che hanno un messaggio positivo e importante da lanciare: essere orgogliose di sé stesse. Sono fiera di far parte di una splendida realtà che è come una famiglia, conosciuta in tutto il mondo, la BodyPositiveCatwalk Onlus di Laura Brioschi, che non ringrazierò mai abbastanza per aver abbracciato il mio messaggio di positività e avermi accolta in questo scambio di energie e di amore verso gli altri, ma soprattutto verso sé stessi.
Ti sei mai sentita discriminata per la tua diversità e, soprattutto, sei mai stata vittima di Body Shaming?
Sono state molte le volte in cui, ahimé, le istituzioni mi hanno voltato le spalle e posso dire di essere stata spesso vittima di bullismo ai tempi della scuola. Questo, però, succede perché chi discrimina, in generale, non ha la capacità di immedesimarsi a trecentosessanta gradi nella vita dell’altro. Tante volte ho sofferto per via della società e degli organi istituzionali indifferenti verso la mia persona, o per parole dette senza pensare. Tante volte ho pianto – e lo dico senza vergogna –, ma altrettante volte sono stata capace di rialzarmi.
Federica, il Premio Nobel per la Letteratura, Albert Camus, scrive in Il mito di Sisifo che “Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”. Anche in questo caso, la domanda è piuttosto spiacevole – ma tutte le domande fondamentali lo sono. Tu cosa risponderesti a questo abissale interrogativo?
Adoro la filosofia e, sin dai tempi della scuola, la consideravo la massima e la più completa forma di espressione che un individuo possa trovare. Potrebbe, in realtà, sembrare la domanda più spiacevole di questa chiacchierata, ma per me non lo è mai stata perché tu, in questo caso, come tante altre persone che mi rivolgono il medesimo interrogativo, mi date l’opportunità di fare un percorso introspettivo davvero importante. Vedi, la vita è fatta di scelte. Ogni singolo giorno che viviamo fa sì che noi se ne compia qualcuna in più. Per me, la cosa fondamentale della vita è sempre stata appunto poter decidere chi sono, pur con tutte le difficoltà del caso. Se scelgo vivo e se vivo, allora, scelgo. Questo pensiero lo voglio dedicare a chi conduce una vita insipida, all’insegna dell’apatia, e, soprattutto, a chi pensa che le persone con disabilità vogliano tutte suicidarsi. Sono tante le storie di cui ho sentito parlare. Ho letto romanzi e visto film con testimonianze che mi hanno commossa – purtroppo, non tutte a lieto fine. Ho compreso e in parte vissuto il loro dolore e so perfettamente che niente è facile, per nessuno, ma, finché potremo godere delle cose belle, quelle che veramente ci toccano l’anima, perché privarci di tutto ciò?
Matteo Fais