Anche Lenin e Disney adoravano Wagner. La lezione di un mito
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Luca Bistolfi
Non pensavo che qualcuno mi potesse pagare per scrivere un fumetto. Mi dice che ha cominciato così. A sceneggiare fumetti e cartoni animati per Disney e Rainbow. Correvano gli anni Novanta e Fausto Vitaliano, prima di diventare grande, era un giovane calabrese di Olivadi trapiantato nella nebbiosa e fredda Lombardia. Ottavo di otto fratelli, classe 1962, una passione divorante per i fumetti. Era l’epoca in cui i fumettisti di Topolino iniziavano a essere pagati e dovevano scrivere, non disegnare. E lui, inquieto e curioso come sanno esserlo molti scrittori, faceva di tutto. Scriveva per la tivù e i giornali, traduceva e curava libri, iniziava a corteggiare l’idea di fare fuori Gastone, il cugino di Paperino. Era insopportabile, lo pensavamo sempre tutti. Era illegale ucciderlo, gli dicevano, però, dalla redazione. E così, niente da fare, per trovare il morto a pagina uno ha iniziato a scrivere romanzi.
Dopo i volumi antologici di Beppe Grillo e di Michele Serra con cui ha scritto il monologo teatrale Tutti i santi giorni, scrive i romanzi Era solo una promessa, Lorenzo Segreto, La grammatica della corsa (Laurana editore) e la fortunata trilogia noir Le ultime indagini di Gori Misticò, per Bompiani. Ultimo e fresco di stampa (sempre Bompiani) La via del lupo.
Partiamo proprio da qui. Dal passato che si cerca sempre di lasciare alle spalle, ma che continua a seguirci. Dall’importanza dell’amicizia, che si costruisce nella solitudine della giovinezza, dai legami che solo apparentemente si spezzano, custoditi nell’ambra del tempo. “Un antico senso di abbandono si ripresenta intatto, conservato nell’ambra del tempo. Tutto ciò che sono e che sono stato nasce da lì. In tutti questi anni ho scelto di dimenticare, passare oltre, e fino a stasera ci sono riuscito”.
I tuoi libri – sto pensando anche al giallo per ragazzi Omicidio al castello – toccano il tema dell’amicizia. Quanto è importante l’amicizia nei tuoi romanzi e nella vita?
Gli amici sono le uniche persone che ci scegliamo liberamente. Non ci è dato sceglierci genitori, fratelli, sorelle, parenti, compagni di classe, colleghi di lavoro e vicini di casa. L’amicizia è il legame più misterioso e duraturo che ci potremo permettere. Di conseguenza, è uno dei temi presenti in ogni libro che abbia scritto.
Questo tuo ultimo romanzo, ambientato sulle pendici boscose dei monti della Calabria, sembra attingere alle tue di radici, quanto c’è di autobiografico in questo come nelle altre tue opere?
Un po’ di autobiografia c’è sempre. È naturale. Ma ha a che vedere più con un punto di vista sulle cose, sulle persone e sui paesaggi che sulle vite dei personaggi. Io non assomiglio né a Elvo e nemmeno ad Amèrico. Però a volte osservo il mondo dal loro punto di vista e ho l’impressione di vedere le stesse cose.
Sei tu quello (il protagonista Americo) che dice: “A sei anni il mio desiderio più grande non era avere un fratello, ma un amico”?
No, anche perché da bambino avevo la fortuna di avere molti amici. Ero allegro e vivevo un tempo complessivamente spensierato. Per me non c’era modo di sentirsi soli. Quando però volevo rimanere con i miei libri o la mia chitarra, lo facevo volentieri.
Quando hai iniziato a cullare la passione per i libri, insomma quando e come hai iniziato a scrivere?
Ho imparato tecnicamente a scrivere abbastanza piccolo – avevo quattro anni. Ma quello che mi piaceva fare soprattutto era leggere. Come la passione per la lettura diventi attitudine alla scrittura e, successivamente, quell’attitudine possa diventare un lavoro (il mio lavoro) sta nel territorio insondabile del caso, degli incontri fortuiti e fortunati, delle possibilità che si concretizzano indipendentemente dai nostri piani. E, anzi, a volte, a dispetto di essi.
Quanto il passato influenza le nostre vite?
Il passato è l’unico tempo delle nostre vite che possiede valore di realtà. Il futuro non esiste e il presente svanisce nel momento esatto in cui si compie. Comprendere il passato ci aiuta a capire dove siamo e perché siamo. Ciò detto, come dice un personaggio del mio romanzo, il passato non è che puoi continuare a masticarlo, giacché le opzioni sono solo due: ingoiarlo o sputarlo.
I bambini sembrano “armate, folle, fiumane” nel tuo romanzo, un’immagine che, stando ai nostri oggi, sembra davvero ingiallita nel tempo: i bambini “si spostavano in masse come fronti nuvolosi, giocavano partite di pallone cento contro cento e quando formavano una compagnia pareva un plotone di partigiani pronti a salire in montagna a fare guerriglia agli invasori”. Provi nostalgia per il passato?
Qualcosa più che nostalgia. Il mio è un languore per un tempo in cui ero felice ma non sapevo di esserlo. Sacrificherei volentieri qualche anno della mia incombente vecchiaia se potessi scegliere un solo giorno della mia gioventù da rivivere. E so anche qual è quel giorno. Ricordo perfettamente la data.
Qual è il tuo romanzo più autobiografico e perché?
La via del lupo è il mio settimo romanzo, ma non credo che ce ne sia uno autobiografico. Il soggetto è indubbiamente quasi sempre lo stesso – la famiglia. È la mia ossessione letteraria, in un certo senso. Ma le famiglie che ho narrato non sono quella in cui sono cresciuto, se non per alcuni dettagli. La mia storia personale non è così importante da metterla in forma narrativa.
Nel mercato editoriale italiano sono molti i gialli che riscuotono un certo successo di pubblico, perché i lettori, quando ci sono, sono assetati di noir?
Ci possono essere molte ragioni e sono tutte valide. Quella che a me convince di più è che nei noir la vicenda criminale avrà (quasi sempre) un esito positivo; il cattivo verrà messo in prigione e giustizia sarà fatta. La vita vera, com’è noto, non funziona così. Da “questa parte” del libro regna l’ingiustizia, il sopruso e l’impunità. Leggiamo noir anche (non solo) per cercare sollievo. È un po’ la stessa ragione per cui guardiamo le nozze dei principi; ci piace pensare che da qualche parte la felicità esista davvero.
Cosa suggeriresti a un tuo potenziale lettore di leggere per entrare nel cuore della tua opera?
Non saprei rispondere con precisione, però posso dire certamente che La via del lupo è il mio libro più riuscito, quello che più si avvicina alle intenzioni che avevo quando avevo cominciato a scriverlo. Il che non vuol dire che sia per forza un buon libro, ma è quello che meglio mi rappresenta.
Quali sono le tue abitudini di lettore?
Mi piace leggere al mattino, con la mente fresca. Capisco di più.
E quelle di scrittore?
Il mio è un lavoro come qualsiasi altro. E ha bisogno di applicazione, disciplina e orari più o meno fissi. Non si può scrivere quando arriva l’“ispirazione” (che non ho ancora capito che cosa sia) e nemmeno nei ritagli di tempo. I miei orari vanno da metà mattina a più o meno l’orario di cena.
Scrivi anche poesie?
No. Ma amo leggerle.
Non hai mai pensato di trasformare i tuoi libri in un film o in una serie tv?
Io posso anche pensarci, ma resta un mio pensiero… Battute a parte, direi di no. Certo, dovesse capitare che un produttore o un regista manifestino attenzione per il mio lavoro ne sarei ovviamente felice. Ma non credo che capiterà, per cui non ci penso.
Quando incontri il tuo pubblico sei emozionato?
Sì, sempre. Molto. Ma solo fino a un attimo prima che l’incontro cominci. Poi subentra il “senso del dovere”; chi si è preso il disturbo di venirmi a sentire non lo ha fatto per vedere un tizio che trema e balbetta. Finito l’incontro, ritorna l’emozione.
Che cosa ti colpisce di più degli incontri con i lettori?
Il mio è un lavoro molto solitario. Non si parla con nessuno e l’unico dialogo, a volte per giorni e giorni, è con i propri pensieri. Il dialogo con i lettori, specie quello in presenza, ha il potere quasi magico di rendere reale ciò che finora è stato astratto, ossia la storia che volevo raccontare. Mi colpisce molto quanto i pensieri di tutti noi, uomini e donne, si assomiglino, come le nostre emozioni siano quasi sempre le stesse, come la parola scritta ci possa unire. A volte succede.
Qual è l’ultimo libro che hai letto?
Austerlitz, di Winfried Sebald.
E qual è quello (o quelli) che tieni sul comodino?
Aria di famiglia, di Alessandro Piperno e La misteriosa morte della compagna Guan, di Qiu Xiaolong.
Linda Terziroli