07 Maggio 2020

“Il pericolo è nelle forze del mondo che sfruttano la paura per derubare l’uomo della sua individualità”: il discorso di William Faulkner agli studenti

Tutto merito della figlia. Si chiamava Jill, era nata il 24 giugno del 1933, a Oxford, Mississippi, e il giorno in cui al padre dissero che aveva ottenuto il Nobel per la letteratura – schernito con quella frase idiota, passata a leggenda, “A Stoccolma non ci vado, sono un contadino, non posso lasciare il mio campo”, seguita dalla battuta di caccia con gli amici, ignari, la cena in compagnia, i piatti da lavare – aveva 17 anni suonati. Morirà nel 2008, a 74 anni, Jill Faulkner, a Charlottesville, Virginia; coniugata con Paul Summers dal 1954, si erano conosciuti il giorno di San Valentino di quell’anno. L’anno in cui Jill si sposa, il padre pubblica A Fable – in Italia il libro è tradotto da Luciano Bianciardi –; frequenta Humphrey Bogart, dice di adorare André Malraux, confessa a Lauren Bacall che “Quando bevo un Martini mi sento più grosso, più saggio, più alto – quando ne bevo molti non c’è nulla che mi trattenga”; il giorno del matrimonio della figlia si ubriaca, tanto da doverlo portare in ospedale.

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William Faulkner, per la storia, ha ottenuto il Nobel per la letteratura per il 1949, ma l’assegnazione casca l’anno dopo. Sottigliezze del regolamento: “William Faulkner ricevette il premio Nobel un anno dopo, nel 1950. Durante il processo di selezione, nel 1949, il Comitato del Nobel per la letteratura non riconobbe alcuna candidatura consona ai criteri dichiarati da Alfred Nobel. Per statuto, in tal caso il Nobel può essere sospeso fino all’anno successivo: fu scelta questa opzione”. In ogni caso, ‘Will’ a Stoccolma non vuole andare – se ci va è merito della figlia. La prima figlia di Faulkner e di Estelle Oldham, Alabama, nasce e muore, tragicamente, nel 1931; Jill è la perla, di cui il padre è virtuosamente schiavo.

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Di mezzo, naturalmente, un putiferio di donne. Joan William, “ventuno anni… occhi verdi, capelli rossi, vuole diventare scrittrice” (così il telegrafico profilo di Fernanda Pivano), che folgora Faulkner nel tardo ’49. Con la scusa di aiutarla a fare la scrittrice ne fa l’amante – fino a tradurre Estelle, sempiterna tradita, in Medusa ed Erinni. Lei, Joan, punterà molto – diciamo così – su quel rapporto: nel 1971 scrive The Wintering, in cui romanza la relazione con ‘Will’, dando scabri dettagli di incontri clandestini tra motel, stazioni dell’autobus, gite al lago. Ci sono, poi, l’antica amata, Meta Carpenter, la segretaria di Howard Hawks, conosciuta a Hollywood, vent’anni prima (che anche lei fa relazione tardiva del rapporto in un libro, nel 1976, A Loving Gentleman), s’approssima la nuova fiamma, Else, vedova, “capelli rossi, occhi violetti, bei lineamenti, veste con molta eleganza” (ancora la Pivano), conosciuta a Stoccolma.

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A Stoccolma, Faulkner va con Jill. Nel “discorso del banchetto” lo scrittore è sintetico; il cuore è questa frase: “Oggi la nostra tragedia è una paura fisica generale, universale, che ci opprime ormai da così tanto tempo che possiamo persino sopportarla”. Ciò che angoscia Faulkner è questo: la paura. La paura soggioga l’uomo. Lo rende schiavo. Lo estirpa dalla sua condizione di uomo. Lo rende massa. Informe. Piegato. Padre & figlia tornano a New York il 18 dicembre del 1950. Qualche mese dopo la figlia bussa ancora alla porta del babbo. Gli chiede di fare il discorso di chiusura dell’anno accademico, alla University High School di Oxford, che frequenta. Il papà nicchia. Odia le interviste, odia le apparizioni in pubblico. Per la figlia, accetta. Il mese prima si vede con Else, a Parigi; di ritorno, “frequenta assiduamente Ruth Ford”, attrice di stordente bellezza, conosciuta anni prima, con cui sta scrivendo la versione cinematografica di Sanctuary (realizzata in pellicola due lustri dopo).

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In tutta questa vita apparente, non c’è che la caduta. William Faulkner riesce a scrivere, sempre, a testa sotto, in precipizio – nel luogo di scintille nere dove carne e verbo sono uno, dove tutto è bocca, bacio e alcool.

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Il 28 maggio 1951 Faulkner parla davanti a un gruppo di studenti raccolti nella Fulton Chapel. Secondo le testimonianze, all’annuncio di Jill, “Mio papà verrà a parlare alla classe”, un’amica le risponde, “Ma… non doveva venire uno importante?”. In pochi associano quel Faulkner al vincitore del Nobel. Nel discorso agli studenti – recentemente proposto da “Open Culture”, raccolto, in Italia, da il Saggiatore, in, William Faulkner, W.F. Scritti, discorsi e lettere, 2010 – Faulkner insiste, ancora, sul tema della paura. Dilatando lo sguardo: il potere, terrorizzato, schiaccia l’uomo con la paura; l’uomo si riconosce individuo ribellandosi al pantano comune, alle pastoie del conformismo sociale.

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Qualche mese dopo il discorso, esce Requiem for a Nun, il libro più bello. La sera, dopo l’orazione, si fa festa, nei pressi di Rowan Oak. A Faulkner viene assegnata la laurea ad honorem. “Ora capisco quanto è bello questo foglio di carta: è il primo che vedo”, dice, ricordando i suoi studi, tormentati. Scrive a Joan, dopo una battuta di caccia, “Una storia buona si può riassumere in una frase”. Un destino, piuttosto, si può riassumere in una parola. Faulkner non sapeva scegliere tra preda e predatore. Voleva solo amare, sfracellarsi nell’amare – senza giudizio, senza chiedere altro. Perché lo scrittore è cannibale, per scrivere ha bisogno di sangue – il suo, altrui. (d.b.)

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Anni fa, molto prima che voi nasceste, un uomo saggio, un francese, disse, “Se i giovani sapessero; se l’età potesse”. Sappiamo cosa intendeva dire: quando sei giovane hai il potere di fare ogni cosa, ma non sai ancora cosa fare. Quando sei vecchio di anni e di esperienze – e l’osservazione ti ha concesso alcune risposte – sei stanco, arso dalla paura; non ti importa più nulla, vuoi solo essere lasciato in pace, finché sei al sicuro; non hai più la capacità – o la volontà – di addolorarti per un torto che non sia quello arrecato a te.

Quindi voi, giovani uomini e donne radunati questa sera in questa stanza, e in migliaia di altre stanze come questa sulla terra, avete il potere di cambiare il mondo, di liberarlo per sempre dalla guerra, dall’ingiustizia, dalla sofferenza, a condizione che sappiate come e cosa fare. Stando al vecchio francese, visto che voi siete giovani e non sapete cosa fare, chiunque sia radunato qui con il cranio pieno di capelli bianchi dovrebbe essere in grado di istruirvi. Ma forse costui non è così vecchio e saggio come fanno supporre i suoi capelli bianchi. Perché non può darti una risposta certa né un modello. Ma può dirti ciò che ti dice perché ne ha fede. Ciò che ci minaccia, oggi, è la paura. Non la paura della bomba atomica, perché se una bomba cadesse questa sera su Oxford tutto ciò che potrebbe fare sarebbe ucciderci, il che è niente, visto che uccidendoci ci libererebbe del solo potere che la bomba ha su di noi. La paura, la paura che possa ucciderci. Ma il pericolo non risiede in questo. Il pericolo sta nelle forze del mondo attuale che sfruttano la paura per derubare l’uomo della sua individualità, della sua anima, cercando di ridurlo a una massa improbabile di paura e corruzione – dandogli cibo gratuito, che non è il frutto del suo lavoro; dandogli soldi facili, privi del valore che solo il lavoro può concedere. Economie e ideologie, sistemi politici, comunisti, socialisti, democratici, comunque vogliano definirsi, tiranni o capi di governo, americani, europei o asiatici, in qualsiasi modo preferiscano caratterizzarsi, non desiderano che ridurre l’uomo a una massa obbediente per ingigantire il proprio potere, perché sono essi stessi sconcertati e impauriti, terrorizzati e incapaci di credere nel talento dell’uomo, nel suo coraggio, nel suo sacrificio, nella sua resistenza.

Questo è ciò che dobbiamo combattere, se vogliamo mutare il mondo per la pace e la sicurezza dell’uomo. Non sono gli uomini della massa che possono salvare l’uomo. È l’uomo stesso, creato a immagine di Dio, di modo che possa scegliere tra il bene e il male, ad essere in grado di salvarsi, perché vale la pena salvarlo – l’uomo, l’individuo, uomini e donne che rifiuteranno sempre di essere ingannati e spaventati e corrotti, che non si arrendono, che sentono il dovere di scegliere tra giustizia e ingiustizia, tra coraggio e codardia, tra sacrificio e avidità, tra compassione ed egoismo. Varrà sempre la pena salvare l’uomo che crede non solo nel diritto della libertà dall’ingiustizia, dalla rapacità e dall’inganno, ma che riconosce che giustizia, verità, compassione esistono.

Quindi, non dovete avere paura, mai. Non dovete avere paura di alzare la voce per sostenere l’onestà, la verità e la compassione contro l’ingiustizia, la menzogna e l’avidità. Sei tu, non solo tu che mi ascolti questa sera in questa stanza, ma tu, in tutte le migliaia e milioni di stanze come questa nel mondo, oggi, domani e la prossima settimana, non in quanto appartenente a una classe ma come individuo, uomo e donna, a mutare il mondo; in una generazione tutti i Napoleone e Hitler e Cesare e Mussolini e Stalin e ogni tiranno che vorrà potere e grandezza e i miseri politici e gli opportunisti, sconvolti dal terrore, che usano o stanno usando o sperano di usare la paura e l’avidità per rendere schiavo l’uomo, spariranno dalla faccia della terra.

William Faulkner

Gruppo MAGOG