Un grande scrittore ha il privilegio – o forse la condanna – di divenire suo malgrado l’oggetto di un culto. Céline è uno di questi. Andrea Lombardi, invece, è sicuramente il massimo sacerdote, qui in Italia, della devozione tributata allo scrittore d’oltralpe. È così che, tramite un lavoro mastodontico e certosino, il nostro ha portato a termine un colossale volume di quasi 500 pagine: Un profeta dell’Apocalisse. Scritti, interviste, lettere e testimonianze, Bietti Editore, 2018. In esso sono raccolti tutta una serie di interventi di e su Céline rimasti fino a ora inediti, o di difficile reperibilità. Per l’occasione, siamo andati a intervistare Lombardi per cercare di capire, oltre alla necessità che giustifica una tale impresa editoriale, anche il senso della sua passione per il noto romanziere e polemista francese.
Questo benedetto Céline sembra essere in letteratura un fenomeno analogo a quello di Mussolini in politica: tutti lo nominano; tutti, ancora a distanza di tanti anni dalla sua morte, lo temono. Riscontri anche tu una affinità di destino tra i due personaggi?
No, non trovo alcuna affinità. Benito Mussolini ha giocato la sua grande partita con la Storia e l’ha persa. Intendiamoci, non l’ha persa per le “leggi razziali” o il 25 aprile 1945, ma il 25 luglio 1943, quando è stato così geniale da finire nei Darwin Awards come primo dittatore a essere abbattuto da un voto democratico, quello del Gran Consiglio; oltre che a causa dei vari compromessi con la Chiesa e la Grande Industria. Gli ideali rivoluzionari di San Sepolcro sono pian piano finiti in un regime in cui ha trionfato chi aveva la spallina e i fregi più luccicanti sull’orbace. È rimasto, comunque, un giornalista di talento. Mussolini, che aveva conosciuto il dottor Destouches nel 1925, diversi anni dopo ha dato un’immagine fantastica di Céline, commentando con Yves De Begnac il Viaggio al termine della notte: “Ho letto quel pastone di argot di Voyage au bout de la nuit. Scrittura giacobina, insoddisfazione termidoriana, desiderio di ricostituzione dell’assolutismo di tipo anarchico, via precisa all’assolutismo di tipo zarista. Fatelo vivere a lungo, un tipo come Céline, e i posteri ne vedranno delle belle! Io non so se questo scrittore sia capace di amore. È una bomba armata a rancore. Ma che cosa mai gli ha fatto l’umanità! Non ha capito molto, di Nietzsche. Nulla ha compreso di Blanqui. Il tarlo Proudhon gli lavora nel cervello. Ma come fa, un personaggio come Céline, ad essere medico?”. E questo è grande giornalismo, bellezza! Louis-Ferdinand Céline, invece, ha vinto la sua partita contro la Letteratura, come ha scritto il britannico Will Self: “Céline mi mostrò come fosse possibile esprimere ciò che prima era stato inaccessibile. In particolare, mi mostrò come aggiogare i bisogni equini del corpo al carro dorato della fantasia, per creare una qualche forma di realismo magico sporco. Quando comparì questo romanzo, era ancora possibile credere nell’avanguardia: vi erano cose importanti da dire, cose censurate da tabù e pregiudizi. Oggi, tutto è permesso, e non si ode più nulla. Ma, ciò nonostante, la voce di Céline risuona ancora: sprezzante, forte, patetica, vile, e, in ultima analisi, io credo trionfante”.
Eppure, abbi pazienza, Céline continua, alla stregua del Duce, a essere amato e odiato allo stesso tempo con rinnovato e feroce vigore. C’è insomma l’incapacità di dire “così è stato” e farci semplicemente i conti. Lo scrittore e il dittatore sono vivi come non mai. Ci sono ancora manifestazioni antifasciste, come se da un momento all’altro Mussolini potesse nuovamente salire al potere; e, al contempo, vi sono persone che, come dopo la guerra, vorrebbero impedire che Céline venisse pubblicato. Come la mettiamo?
Guarda, se ti riferisci alla querelle sulla ristampa dei cosiddetti “pamphlet antisemiti”, annunciata e poi sospesa da Gallimard, purtroppo hanno scelto il periodo meno adatto degli ultimi decenni per provarci. Negli anni ’90 sarebbe stato forse possibile, viste le dinamiche culturali sviluppatesi dopo la caduta del muro di Berlino. Negli anni presenti, invece, esiste una dittatura del chiacchiericcio politicamente corretto, e dell’opinione virale di chi non ha la più pallida conoscenza dell’argomento in discussione, ma deve per forza dichiarare la sua pelosa indignazione sinceramente democratica. Almeno, negli anni passati gli storici dell’arte o i critici letterari di sinistra censuravano od omettevano in tutto o in parte Marinetti, D’Annunzio, o, appunto, Céline, ma se li erano letti tutti.
Andrea, perché leggere Céline? E, soprattutto, è davvero necessario leggerlo, o potremmo tranquillamente fare a meno di divulgarlo alle masse?
Certo che sì. Nonostante sia forte la tentazione di tifare la morte, o meglio La Distruzione dantevirgiliana per questa poltiglia sociale che è la fogna dell’Italia attuale, bisogna tentare di arrivare al popolo. Magari prima con il Viaggio, perché con Mea Culpa gli spieghi già, troppo in fretta, quanto sia inutile il tentativo di rigenerare l’umanità!
Qual è la grande peculiarità della scrittura celiniana?
Le peculiarità della scrittura céliniana sono due: la rivoluzione dell’argot, ossia l’uso del francese dei bassifondi, quello delle persone comuni, quello “nato dall’odio”, dall’invidia e l’astio verso i ricchi; e quella della scrittura emozionale, la petite musique, il tentativo riuscito di replicare nelle due dimensioni della scrittura stampata la “tridimensionalità” delle enfasi, le pause, le esclamazioni e i toni sommessi del linguaggio parlato. Quando non fai UNA sola rivoluzione del linguaggio, ma ben DUE in pochi anni, beh, vuol dire che sei un vero genio letterario.
Perché un nuovo libro su Céline? Cosa resta ancora da dire sul suo conto?
In Francia, la domanda non si pone: nonostante il contesto sopra ricordato, sono decine i saggi, tesi di laurea e dottorato e opere teatrali dedicate a Louis-Ferdinand Céline. Qui in Italia, dopo una produzione di grande qualità negli anni ’70 con i testi fondamentali di Paolo Carile, di Michele Rago e altri, l’editoria céliniana è andata avanti un po’ a strattoni, come anche le ristampe dei suoi romanzi. E quasi tutti i testi recenti sono appunto su Céline, non certo di Céline. Spesso sono scritti molto autroreferenziali o basati su tesi preconcette, oppure ritraducono testi già noti. Un profeta dell’Apocalisse, invece, riunisce dieci anni di traduzioni di piccoli e grandi inediti di Céline da me raccolti o trasposti in italiano: dai suoi scritti sulla medicina e sul linguaggio, alle due canzoni da mala che compose e fece mettere in musica, fino alle sulfuree interviste dall’eremo di Meudon. Tutto ciò insieme alle lettere che vanno dalle acerbe missive ai genitori del giovane corazziere Destouches nella Grande Guerra, alle divertenti lettere all’Hussard Roger Nimier, passando per quelle a Élie Faure dopo il successo del Viaggio. In mezzo ci sono i suoi ricordi della moglie Lucette Almanzor, di Brasillach, Bonnard, Breker, Gen Paul. In ultimo, si troveranno i saggi di Aymé, Gibault, Mazet, Muray e Cases, e una sezione di commenti inaspettati, da quelli citati di Mussolini e Will Self, a Bukowski, William S. Burroughs e Henry Miller.
Cosa resta vivo e cosa è irrimediabilmente superato dell’opera celiniana, a quasi sessant’anni dalla sua morte?
Il genio stilistico di Céline è tale da rendere la sua scrittura fresca al pubblico ancora per qualche secolo, sia che descriva la guerra del ’14, che i poveri di New York e Parigi, la Russia del socialismo reale o la Germania sotto le bombe.
Andrea, come si conduce una trasposizione in italiano della scrittura del maestro francese? Quali sono le maggiori difficoltà?
Premetto che non riuscirei molto probabilmente a tradurre bene dall’argot, mentre mi sono trovato a mio agio, sin dai miei primi tentativi, con le sue ultime rabbiose, sferzanti interviste, o i suoi scritti polemici, come quello contro Sartre. Questione di odio, scrittura di odio.
Come giudichi la traduzione italiana di Morte a credito? Da quel che ho letto, lo stesso Giorgio Caproni non ne era granché convinto. Secondo te, sarebbe il caso di rivederla ex novo?
Eh, storia nota! Caproni usò molti toscanismi per i termini argotici. Di gran lunga superiore è la traduzione, disponibile da anni, di Guglielmi, che però non ha trovato editore.
Chi sono, tra gli scrittori odierni, gli eredi di Céline?
Nonostante l’interessato abbia preso le distanze, vedo nelle pagine migliori di Houellebecq un certo stile e tematiche affini.
Matteo Fais