Ho i miei soliti 4.990 amici su Facebook. Ho il fisionomist all’ingresso ma 10 posti li tengo liberi per chi mi scopre soltanto adesso, magari perché si è reso conto che ho inventato Alberto Forchielli. I miei amici li curo con un certo zelo. Periodicamente cancello gli account vuoti. Elimino i negazionisti, i nostalgici del Duce, di Stalin, i radical chic e gli estremisti di ogni tipo. Almeno quelli senza ironia. Insomma, cerco di mantenere il miglior mix possibile tra i miei interessi, gli amici lontani che ormai sento solo qui e quei pochi, tra i digitali, che stimo e leggo con piacere. La somma è un mondo variegato che osservo con curiosità, anche per lavoro. Un mondo che ogni settimana produce dei trend legati all’attualità. E negli ultimi giorni, su tutti i temi più in voga, sono due quelli che mi appaiono di continuo e sempre uguali come fossero i fogli scritti a macchina da Jack Torrance all’Overlook Hotel prima di provare a prendere ad asciate moglie e figlioletto.
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Il primo è il capitolo “Fighe” del nuovo libro di Corona, pubblicato da Mondadori Electa, che come linea editoriale vuole solo autori famosi sui social. Linea editoriale contestabile ma comunque di successo, visto che Corona è saldamente nelle prime 30 posizioni dei best seller di Amazon. Centinaia di amici – anche gente che dai commenti si capisce che non ha mai letto un libro vero – ripostano la stessa foto con la pagina iniziale del capitolo in italiano ormai più letto di sempre su Facebook. E questo è l’incipit.
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“Io ho un magnetismo: guardo una donna e dopo un attimo sono lì che me la faccio. Una delle scopate più belle degli ultimi tempi è stata all’Hotel Parco dei Principi di Roma. Non me la posso proprio dimenticare. Mi stavo allenando, arriva una ragazza sudamericana, mi accorgo del suo profumo Chanel, del suo Rolex da quarantamila euro; mi guarda, io guardo lei, dopo due minuti cominciamo a scopare come dei pazzi nel bagno dell’hotel. Questo sono io. Basta uno sguardo, e via”.
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Tutti indignati, va bene, ma devo dire che su questa cifra stilistica – con qualche piccolo accorgimento estetico – Michel Houellebecq ci ha costruito una leggendaria carriera. Poi con le righe successive il pathos narrativo scade, però, a occhio e croce, si fanno comunque leggere meglio di quelle altrettanto inutili di parecchi vincitori di Strega e Campiello degli ultimi vent’anni.
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Il secondo è la frase di Daniela Santanchè: “Il denaro è l’unico strumento di libertà”. Frase rivolta agli studenti durante il programma tv “Alla Lavagna”, su RaiTre, dove personaggi famosi si sottopongono alle domande di una classe di bambini tra i 9 e i 12 anni.
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“Il denaro – ha detto lei – è l’unico vero strumento di libertà. I soldi servono ad essere liberi. Il mio papà ha insegnato a me e ai miei fratelli che chi paga comanda, pagare i propri conti vuol dire comandare. Il denaro è un grande strumento di libertà”.
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Tutti di nuovo indignati, va benissimo, però, facendo la tara alla forma un po’ arrogante che fa parte del personaggio imprenditorial-fetish-milanese-versiliano-cougar e al fatto che chi paga può anche comandare fino a quando chi riceve i soldi accetta la questione senza mandare a fanculo il pagatore, c’è davvero da indignarsi dinanzi a una delle regole guida del nostro pianeta?
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È ovvio, si può essere liberi anche senza soldi, ma questi aiutano e non poco. Tanto per dire, senza soldi, Gianluca Vacchi aveva la libertà di mettere in piedi tutto il suo spettacolo di vita? E Briatore? E Lapo? E ancora Corona con il suo “magnetismo”? Quando i soldi li aveva, per tanti era un mito. Adesso è solo uno sborone sfigato da deridere per un libretto banale scritto da altri.
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Ecco una voce fuori dal coro: al tempo dei social, con i soldi siamo tutti dei maître à penser; e delle ridicole merde, se li finiamo.
Michele Mengoli