“Ho meno ricordi che se avessi sei mesi di vita”: le lettere di Beckett, Eliot, Auden, Golding, Sylvia Plath all’editore Faber (che compie 90 anni, tra grandi glorie e clamorosi rifiuti)
C’era una volta un’era in cui fare l’editore significava usare la testa e non essere proni al denaro. Pardon, I’m sorry, c’era un tempo in cui, in zona editoriale, si pensava che si potevano fare i soldi con la testa. Fare l’editore, insomma, significava più che altro imporre un pensiero, una cultura. C’è sempre questo aspetto ‘aggressivo’ nel fare editoria che se te lo scordi, sei scordato al mondo. Penso, ad esempio, all’azione editoriale di Elio Vittorini, di Cesare Pavese, infine di Italo Calvino che – con testa fina – hanno fatto delle scelte, determinando cosa si dovesse leggere e cosa no. Adelphi, in parte, con altro stile, fa ancora così – il resto è il privilegio dei piccoli e medi editori di talento – nei grandi è come fare zapping: le cose belle ci sono, ma manca la testa, cioè il fatidico ‘progetto editoriale’. Faber & Faber, che nasce esattamente 90 anni fa, quando Geoffrey Faber – un parente ecclesiastico, Father Frederick William, esperto nella compilazione di inni, e una vaga vena poetica presto abortita – si sgancia da Sir Maurice Gwyer, con cui, quattro anni prima, aveva creato la Faber and Gwyer, ha fondato una certa cultura letteraria in England. Per capire. In UK la Faber & Faber è una autorità come l’Ovetto Kinder, la Ferrari e il Colosseo (in ordine di priorità) da noi. In particolare, pubblicare con Faber significa entrare nell’olimpo dei poeti, partecipare alle olimpiadi della letteratura mondiale. Merito di Thomas S. Eliot, lo sappiamo. Che con Faber cominciò a lavorare dal 1925 – grazie alle buone premesse poste per lui dall’insigne letterato Charles Whibley – imponendo la sua visione letteraria. Che – nel bene e nel male – ha fatto storia. Il nipote di Faber, Tony, ha appena pubblicato – per Faber, ovviamente – Faber & Faber: The Untold Story. Il testo è mirabile perché, spulciando tra gli archivi dell’editore più noto nel mondo anglofono, vengono fuori appunti, note, lettere intriganti. Insomma, il ‘dietro le quinte’ di una mente editoriale, il fuoco del progetto editoriale. Ecco alcune lettere emblematiche. (d.b.)
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Geoffrey Faber a T.S. Eliot, 28 maggio 1925
Sono fiero di avere La terra desolata. Non credere che sia irriguardoso se ti dico che mi sono eccitato a strappi. Sei oscuro, e lo sai! Di una oscurità che Meredith nei suoi punti più sconcertanti è un raggio sereno al tuo confronto. Mi chiedo se sai quanto sei difficile. In alternativa, mi domando se sia io particolarmente stupido.
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T.S. Eliot a Wystan H. Auden, 9 settembre 1927
Devi perdonarmi se ho tenuto così a lungo le tue poesie, ma sono lento quando devo decidere. Non credo che ciò che mi hai mandato sia adatto, ma devo seguire con interesse il tuo lavoro. Sono troppo impegnato per darti un giudizio critico dettagliato, ma quando vieni a Londra, potresti farmelo sapere, io sarei felice di incontrati e parlarne di persona.
Il rifiuto fu temporaneo e non preoccupò molto Auden, che scrisse a Christopher Isherwood: “Una riserva da parte di Eliot. Nel complesso, la trovo gratificante”.
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T.S. Eliot a Eric Blair [George Orwell], 19 febbraio 1932
Perdonami se ho conservato il manoscritto. Lo abbiamo trovato di grande interesse, ma non ci pare possibile pubblicarlo. Decisamente troppo breve, costruito in modo troppo approssimativo, gli episodi di Francia e Inghilterra si dividono in due parti che hanno poche connessioni tra loro.
Si tratta di “Senza un soldo a Parigi e Londra”, poi pubblicato, nel 1933, da Victor Gollacz.
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W.H. Auden a Bennett Cerf [il suo editore americano], novembre 1936
Faber si è inventata un titolo delirante mentre ero via senza dirmi nulla. Sembra l’opera di una scrittrice vegetariana. Ti prego di intitolare la versione americana On This Island.
Auden era in Islanda, introvabile. Eliot decise di intitolare il suo secondo volume di poesie, “Look, Stranger!”, traendo spunto da un verso della raccolta.
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T.S. Eliot a George Orwell, 13 luglio 1944
So che volevi un rapido giudizio su La fattoria degli animali; ma il minimo è avere l’opinione di due lettori, e questo non si può ottenere in meno di una settimana. L’altro lettore è d’accordo con me sul fatto che si tratta di un lavoro raffinato; la favola è gestita con abilità, la narrazione è interessante – un risultato che pochi, da Gulliver in qua, credo abbiano raggiunto in questo genere specifico. Il problema è che non pensiamo sia questo il punto di vista coretto per criticare la situazione politica di oggi. […] Sono dispiaciuto perché chiunque pubblichi questo lavoro, avrà certamente l’interesse a pubblicare il prossimo: ho grande considerazione del tuo lavoro, costruito su una buona scrittura e su una integrità fondamentale.
Rifiutando “La fattoria degli animali”, sostanzialmente perché ‘maleducato’ verso i sovietici, allora alleati agli inglesi, Eliot si precludeva la possibilità di leggere “1984”.
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William Golding a Faber & Faber, 14 settembre 1953
Invio il manoscritto del mio romanzo, “Strangers from Within”, che potrebbe essere definito come una interpretazione allegorica della situazione attuale. Spero interessi per la pubblicazione.
Il lettore di Faber legge il testo. I suoi commenti sono scritti a mano, in alto a sinistra, sulla lettera di presentazione: “Fantasia assurda e poco interessante sull’esplosione di una bomba atomica nelle colonie. Un gruppo di bambini sbarca in una giungla prossima alla Nuova Guinea. Noiosa spazzatura. Inutile. Rifiutare”.
Charles Monteith, che affiancava Thomas S. Eliot alla direzione letteraria della Faber, e fu protagonista di alcuni dei grandi successi della casa editrice, si portò il manoscritto con sé, sul treno. Vi trovò qualcosa di interessante, oltre il giudizio del lettore. Nel 1953 risponde a Golding che “il suo manoscritto ci interessa, vorrei parlarne con lei”. Un delicato lavoro editoriale, esteso soprattutto al titolo, che diventa “Lord of the Flies”, porta alla pubblicazione del libro che consentirà a Golding il Nobel per la letteratura. Il 20 maggio 1954 così scrive Monteith a Golding: “Ho appena finito di leggere le prove del ‘Signore delle Mosche’. Sono ancora più entusiasta della prima volta che l’ho letto. Ormai l’ho letto quattro o cinque volte, e il mio parere è condiviso da altri in redazione. Alcuni, dopo la lettura, hanno avuto gli incubi. Che libro fantastico!”.
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Charles Monteith a Samuel Beckett, 16 febbraio 1956
Mi perdoni se la disturbo ancora ma forse le farà piacere sapere che Waiting for Godot sta avendo molto successo. Il libro vende molto, interessa, fa scaturire ampio dibattito. A proposito, mi chiedo se abbia mai pensato di scrivere un libro di memorie. Se lo ha fatto, sarei lieto ci considerasse tra i suoi lettori in vista di una pubblicazione.
Samuel Beckett a Charles Monteith, 27 febbraio 1956
Sono felice per ‘Godot’. Il mio unico rimpianto è che è incompleto. Qualche passaggio andrebbe riscritto, mi pare insignificante. Quanto alle mie memorie, le vedo improbabili. Ho meno ricordi che se avessi sei mesi di vita.
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Charles Monteith a “Mr Eliot”, 9 aprile 1957
The Hawk in the Rain: Ted Hughes.
Hai voglia di dare un’occhiata a questo? Devo confessare che il nome di Ted Hughes mi era del tutto sconosciuto prima dell’arrivo di queste poesie; è un giovane autore inglese le cui poesie sono state pubblicate per lo più negli Stati Uniti. Questo libro ha vinto un concorso sponsorizzato dal New York Poetry Centre e giudicato da Auden, Spender, Marianne Moore. La qualità mi pare irregolare, ma penso che alcune poesie siano buone per farci un libro. Forse basterebbe una lettera di incoraggiamento.
T.S. Eliot a Charles Monteith, più tardi, lo stesso giorno
Direi che dovremmo accaparrarci questo tipo. Discutiamone. TSE
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Sylvia Plath ad Aurelia Plath, 24 giugno 1960
Ieri sera io e Ted a una festa alla Faber in onore di Auden. Ho bevuto champagne adornata dagli apprezzamenti che si fanno a una casalinga in serata libera, che odora di latte e pannolini. Durante la festa, Charles Monteith mi ha fatto segno di entrare nella sala. Ted era in piedi, di fianco a T.S. Eliot, a W.H. Auden, a Louis MacNeice; Stephen Spender era dall’altro lato. “Tre generazioni di poeti Faber”, ha esclamato Charles, “Magnifico!”. Ovviamente, ero immensamente orgogliosa. Devo dire che Ted era molto a suo agio tra quei grandi.
Nel 1965 la Faber pubblicherà “Ariel”, il secondo libro di poesie della Plath. Purtroppo, lei si era suicidata due anni prima.