Il 1958 non è un anno come un altro per la letteratura. Nel 1958 Ezra Pound, il grande poeta, viene liberato dal manicomio criminale di Washington, il St. Elizabeths, dove era rinchiuso dal 1945. “Stando a quel che si legge, Ezra Pound sta per tornarsene a casa con una bella patente di matto che lo libera dall’accusa di tradimento, per la quale l’hanno tenuto dodici anni in gabbia. Gli americani non escono bene da questo affare… Io spero che Pound torni”, scrive Indro Montanelli il 20 aprile 1958, sul Corriere della Sera. Pound sbarcherà in Italia, a Napoli, sulla ‘Cristoforo Colombo’, il 9 luglio di quell’anno. Arrivò in Tirolo, dalla figlia Mary, tre giorni dopo. Nel 1958 il Nobel per la letteratura più contestato e politicamente velenoso della storia viene assegnato a Boris Pasternak. Pound sarà proposto al Nobel dall’anno successivo, senza accesso al trono. Come si sa, dopo pressioni di ogni sorta, l’espulsione dall’Unione degli scrittori e la minaccia che non gli sarebbe stato concesso di tornare in patria se si fosse recato in Svezia a ritirare il premio, Pasternak rifiuta il Nobel. “Si direbbe che il suo individualismo abbia deciso di seppellire il comunismo sul posto”, ha scritto, commentando l’alto rifiuto di Pasternak, Armand Robin, il suo traduttore francese. Pasternak muore nel 1960. L’anno dopo muore Ernest Hemingway, intimo amico di Pound. La sua morte, agli occhi di Pound, è la morte definitiva del mondo che conosce, di un mondo di intenzioni artistiche, di energie liriche, di idoli e di dèi. “Fu un colpo tremendo… L’aveva sognato prima di ricevere la notizia”, ricorda la figlia Mary. Sabato prossimo, il 2 febbraio, a Domodossola, alle ore 18, presso la Società Operaia di Domodossola (vicolo Teatro, 1), accadrà l’incontro “Pound vs. Pasternak: una sfida tra giganti della letteratura”. Alessandro Rivali parlerà di Pound a partire da Ho cercato di scrivere Paradiso (Mondadori, 2018), la lunga intervista a Mary de Rachewiltz, la figlia di EP, mentre io farò le parti di Pasternak, discutendo di Un alfabeto nella neve (Castelvecchi, 2018). Per aizzare la sfida, io e Alessandro abbiamo impilato dieci ragioni per leggere Pound e Pasternak (ne basterebbe una, invero: sono fondamentali per vivere in modo completo; non ne basterebbero un migliaio). Fate la vostra scelta. (d.b.)
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10 motivi per leggere Ezra Pound
1. Perché, come ricorda la figlia Mary, “ha dato all’America, e in un certo senso al mondo, un’epica che equivale alla Divina Commedia… l’epica necessaria per il futuro”.
2. Perché negli ultimi frammenti prima di morire ha scritto: “Ho provato a scrivere il Paradiso / Non ti muovere, / lascia parlare il vento / così è Paradiso // Lascia che gli Dei perdonino quel che / ho costruito / Chi ho amato cerchi di perdonare / quello che ho costruito” (Drafts and Fragments).
3. Perché ha ricordato a tutti i poeti presenti e futuri che “la bellezza è difficile”.
4. Perché senza di lui Hemingway non sarebbe stato Hemingway. Senza di lui la Terra desolata non sarebbe stata la Terra desolata. Senza di lui, non avremmo avuto l’Ulysses di Joyce.
5. Perché in Catai ha scritto con il vento docile dell’Oriente: “Montagne azzurre a nord della muraglia, / Orlate da un bianco fiume; / Qui ci dobbiamo separare / e incamminarci per mille miglia d’erba morta. / La mente, come una gran nube veleggiante, / Tramonto, come vecchi amici che si lasciano / Inchinandosi, su mani congiunte, a distanza. / L’uno all’altro nitriscono i cavalli / Mente ci distacchiamo” (“Commiato da un amico”).
6. Perché nei Cantos ha raccontato senza sconti l’inferno della Prima guerra mondiale: “I saccarinosi, stesi in glucosio, / i pomposi in ovatta / in un puzzo di grassi a Grasse, / il grand’ano scabroso scacazza mosche, tuona imperialismo, / latrina, cesso, pisciatoio, senza cloaca” (Canto XV).
7. Perché fu profeta nel descrivere l’orrore del capitalismo selvaggio: “Con usura nessuno ha una solida casa / di pietra squadrata e liscia / per istoriarne la facciata, / con usura / non v’è chiesa con affreschi di paradiso / harpes et luz / e l’Annunciazione dell’Angelo / con le aureole sbalzate / […] Peggio della peste è l’usura, spunta / l’ago in mano alle fanciulle / e confonde chi fila. Pietro Lombardo / non si fe’ con usura / Duccio non si fe’ con usura / nè Piero della Francesca o Zuan Bellini / nè fu “La Calunnia” dipinta con usura…” (Canto XLV).
8. Perché, seguendo Confucio, insegnava che è essenziale impiegare la terminologia esatta: “Fan Tchi chiese a Kung il Maestro (cioè Confucio) insegnamenti sull’agricoltura. il Maestro disse: ne so meno di un qualsiasi vecchio contadino. Diede la stessa risposta per il giardinaggio: un vecchio giardiniere ne sa più di me. Tseu-Lou chiese: se il Principe di Mei ti nominasse Capo del Governo, quale sarebbe la prima cosa che faresti? Kung: chiamare persone e cose con i loro nomi, cioè con le giuste denominazioni, perché la terminologia fosse esatta” (Guida alla Cultura).
9. Perché continuò a scrivere il suo Poema nella gabbia di Pisa accecato dal sole o dei riflettori: “E la carità più profonda / si trova fra chi ha infranto / le regole” (Canto LXXIX); “Come è lieve il vento sotto Taishan / sa di mare / ci toglie all’inferno, alla fossa / alla polvere e alla luce accecante” (Canto LXXIX); “Deponi la tua vanità / Sei cane bastonato sotto la grandine / Tronfia gazza nel sole delirante, / Mezzo nero mezzo bianco / tu non distingui fra ala e coda / Giù la tua vanità / Spregevole è il tuo odio” […] “Ma aver fatto piuttosto che non fare / questa non è vanità […] Aver colto dall’aria una tradizione viva / o da un occhio fiero ed esperto l’indomita fiamma / Questa non è vanità” (Canto LXXXI)
10. Perché ha scritto questi versi che adoro: “Il mare oltre i tetti, ma sempre mare e promontorio. / E in ogni donna, pur fra l’acredine c’è una tenerezza, / Una luce azzurra sotto le stelle” (Canto CXIII).
Alessandro Rivali
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10 motivi per leggere Boris Pasternak
1. Perché quando l’Unione degli scrittori, in seguito alla pubblicazione clandestina del Dottor Zivago e alla conseguente assegnazione del Nobel per la letteratura lo espelle per “tradimento nei confronti del popolo sovietico”, il poeta risponde così: “Non mi aspetto giustizia da voi. Mi potete fucilare o deportare, potete fare quello che volete. Vi perdono in anticipo”. Il perdono come carisma lirico.
2. Perché nel 1932 scrive un poema d’altezza siderea, Le onde – che va ascoltato nell’interpretazione di Carmelo Bene – dove sono incastonati questi versi, miliari: “Vi sono nell’esperienza dei grandi poeti/ tali tratti di naturalezza/ che non si può, dopo averli conosciuti,/ non finire con una metamorfosi completa.// Imparentati a tutto ciò che esiste, convincendosi/ e frequentando il futuro nella vita di ogni giorno/ non si può non incorrere, infine, come in un’eresia/ in un’incredibile semplicità”.
3. Perché è il poeta decisivo del Novecento: pur all’interno di una tradizione poetica precisa, senza simulare allarmate avanguardie, l’ha scassinata, con un linguaggio cifrato, allusivo, selvaggio (leggete Mia sorella la vita); perché aveva doti da sciamano del linguaggio, fino a intimorire Stalin; perché è sopravvissuto all’orda del ‘realismo socialista’, all’epoca che ha ucciso i suoi poeti, e li ha visti morire, uno per uno – Esenin, Majakovskij, Mandel’stam, Cvetaeva… – con i suoi occhi intrisi nella pietà e nel diamante.
4. Perché sapeva obbedire alla grandezza, sapeva riconoscerne il celeste e il celestiale. In particolare, tenne sempre in adorazione Rainer Maria Rilke: “Ho sempre pensato che nelle mie personali esperienze, in tutta la mia arte, io non ho fatto altro che tradurre e variare i suoi motivi, senza nulla aggiungere al suo mondo e muovendomi sempre nella sua scia” (da una lettera a Michel Aucouturier, 19 marzo 1959). Quando muore, nel 1960, all’interno del suo portafogli è trovato un piccolo cartiglio firmato da Rilke, scritto diversi lustri prima, in cui Rainer si complimenta con il poeta russo dopo aver letto alcuni suoi versi.
5. Per come lo ha cantato Anna Achmatova, in una lirica del 1936, Il poeta, in cui descrive Pasternak così: “ha avuto in premio un’eterna fanciullezza,/ la perspicacia magnanima degli astri;/ la terra tutta è stata suo appannaggio,/ ed egli l’ha divisa con tutti”.
6. Perché a Parigi, era la prima estate del 1935, costretto a forza dal governo sovietico a partecipare a quel vile Congresso degli scrittori “per la difesa della cultura”, poco prima d’incontrare, intontito dall’insonnia, Marina Cvetaeva, ha dato la più bella, umile, ariosa descrizione di cos’è la poesia: “La poesia rimarrà sempre eguale a se stessa, più alta di ogni Alpe d’altezza celebrata: essa giace nell’erba, sotto i nostri piedi, e bisogna soltanto chinarsi per scorgerla e raccoglierla da terra; essa sarà sempre troppo semplice perché se ne possa discutere nelle assemblee; essa rimarrà sempre la funzione organica dell’uomo, essere dotato del dono sublime del linguaggio razionale, di maniera che, quanto più ci sarà felicità a questo mondo, tanto più sarà facile essere artisti”.
7. Per come lo ha descritto Marina Cvetaeva, in una lettera del 10 febbraio del 1923 – il giorno del compleanno di Pasternak, secondo il calendario gregoriano: “Siete il primo poeta che – in tutta la mia vita – vedo. Siete il primo poeta nel cui domani credo come nel mio. Siete il primo poeta le cui poesie sono più piccole del loro autore, anche se più grandi di tutte le altre… Su nessuno ho visto il marchio da ergastolano del poeta. Etichette di versificatori ne ho viste molte – e di ogni tipo. Vivevano e scrivevano poesie (le due cose – separatamente) ignorando l’ossessione della scrittura, lo spreco di se stessi, accumulando tutto nei loro versetti – e non vivevano: si arricchivano… Voi, Pasternak, in assoluta purezza di cuore, siete il primo poeta della mia vita”.
8. Per come lui, nel 1930, ha descritto il suicidio di Vladimir Majakovskij, con un distico che è una pallottola conficcata sul cranio della Rivoluzione: “Il tuo sparo fu come un’Etna/ in un pianoro di codardi”.
9. Per la cura con cui lo ha tradotto Angelo Maria Ripellino – in un Paese editorialmente inerme come il nostro, dove, paradosso, esiste un ‘Meridiano’ Mondadori delle Opere narrative di Pasternak ma manca l’opera omnia poetica di uno dei lirici più autorevoli e influenti del millennio – e per le parole con cui ne ha cinto il talento: “Pasternak si ritrasse sin dagli inizi in una sua gelosa solitudine… e negli anni tumultuosi della rivoluzione si tenne ancora in disparte, diffidando dei temi politici e di quella poesia tribunizia in cui s’era invece tuffato Majakovskij con tutta l’anima. […] Egli passava nel folto delle battaglie, che avrebbero mutato la Russia, come un sonnambulo, destandosi a tratti per annotare con voce assonnata, non le gesta del popolo, ma i prodigi del cosmo”.
10. Perché è il poeta della vita, della gioia, del rischio della poesia che mette tutto in discussione, tanto che in una delle ultime lettere, a Nina Tabidze, sorpassa se stesso, si annienta, si proietta verso una ulteriore zona innocente e vergine dell’arte, con sovrumana compassione: “Zivago è un passo molto importante, una grande felicità e un successo quali neppure mi ero sognato. Ma ciò è fatto, e, assieme al periodo che questo esprime più di tutto ciò che è stato scritto da altri, questo libro e il suo autore si ritirano nel passato, e di fronte a me, ancora vivo, si libera uno spazio, la cui integrità e purezza vanno dapprima comprese e poi riempite da questa comprensione”.
Davide Brullo