L’ala, a decoro della prima edizione del libro, dice una cosa buona&giusta. “Questo libro ha un ulteriore valore. Lo studio delle traduzioni di un autore permette di comprendere meglio la sua opera originale. Le traduzioni sono, di per sé, opere poetiche di grande bellezza”. Era il 1953 e la New Directions di James Laughlin, a New York City, pubblicava The Translations of Ezra Pound.
La data è importante. Pound è al St. Elizabeth’s di Washington, recluso, da otto anni. Continuano a crederlo pazzo. Il Premio Bollingen conferitogli nel ’48 non ammanta di candore la sua nomea: Pound resta agli occhi dei più la “belva idrovora” degna di essere inchiavata “in una gabbia di metallo”, come scrisse Indro Montanelli in un possente ricordo (era il 1971, sul “Corriere della Sera”; ora in: Ezra Pound, È inutile che io parli. Interviste e incontri italiani 1925-1972, De Piante, 2021). James Laughlin – antico discepolo di Pound – con quel libro di translations vuole dimostrare che ‘Ez’ è uno e molteplice, contiene mondi. La gabbia è ridicola per un poeta che, tra le dita, raduna il genio d’Occidente e la sapienza d’Oriente.
In quegli anni, Alfredo Rizzardi traduce, in Italia, i Pisan Cantos, mentre Pound completa la traduzione degli Analecta di Confucio.
Il poeta – criterio poundiano capitale – è colui che si forgia una tradizione da sé – che tempera la Storia al proprio cuore, il natio con l’abbrivio del vagabondo. A ‘Ez’ bastavano – altezza cronologica critica: 1949 – Confucio e Mencio, l’Odissea, i tragici greci, la Divina Commedia e Brooks Adams. Soprattutto, intimava i propri discepoli di sgranchirsi lo stile, di raffinare le proprie pretese linguistiche traducendo. Un poeta è tale perché con foga – cioè: senza giustizialismo esegetico, da frontaliere della lingua, da contrabbandiere – traduce, rifà, si rifonda, affonda.
Dimmi cosa traduci e ti dirò cosa scriverai, dimmi come traduci e capirò chi sei. Di Pound, ad esempio, sappiamo che le traduzioni, ancestrali, delle poesie classiche cinesi (Cathay, 1915) e dell’antico teatro giapponese (Certain Noble Plays of Japan, 1916) sono state fondamentali per strutturare i Cantos; così come l’incontro con gli stilnovisti, i provenzali, Dante e Cavalcanti (The Spirit of Romance, 1910). La bellezza di quel tomo di translations sta nel principio che raccoglie tutto il resto: le traduzioni occasionali, le fiammate improvvise, le relazioni imprevedibili. Così, ad esempio, ritroviamo Certain Poems of Kabir – in origine: “The Modern Review”, n.6, January 1913 – una selezione di versi dal canzoniere del grande poeta mistico indiano vissuto nel XV secolo; oppure una scelta di poesie da Rimbaud – Rimbaud by Ezra Pound sarà un titolo Scheiwiller del 1957 – e dal misconosciuto Saturno Montanari – le cui Poesie sono state riprese da Mimesis nel 2022 e raccolte in Ritorna Età dell’Oro, formidabile libro del 1996, edito da Raffaelli, dove sono antologizzati i “Ritmi della poesia d’Italia scelti o volti in inglese da Ezra Pound”.
Nello stesso tomo – che disparata vitalità – appaiono un poema dell’antico Egitto – ricevuto dall’egittologo ed esoterista Boris de Rachewiltz, marito della figlia di ‘Ez’, Mary – e una straordinaria “iscrizione” di Andrea Navagero, letterato veneziano, ambasciatore della Repubblica in Spagna, vissuto nel XVI secolo; i versi di Orazio si mescolano a quelli di Catullo e di Rutilio Namaziano, di Laforgue e Guinizzelli, di Leopardi e di Oscar Vladislas de Lubicz-Milosz. Le scelte degli autori sono sempre particolari, portano fuorivia, indottrinano al disincanto e alla dispersione. Pound governa sull’impero delle proprie particolari ossessioni linguistiche.
Il libro –“aggiornato” nel 1964 come Ezra Pound: Translations; ma siamo già a diverse temperature cronologiche: Pound, in Italia dal ’58, recinto nel mutismo, ormai “appartiene ad altre età” (ancora Montanelli) – è stato costruito e voluto da Hugh Kenner, critico canadese, fedelissimo al ‘modernismo’ (nel suo carniere, spiccano libri su James Joyce, Samuel Beckett, T.S. Eliot, Wyndham Lewis). Poco più che ventenne, nel 1948, Kenner era stato accompagnato da un suo noto prof, Marshall McLuhan, a trovare Pound nel manicomio criminale in cui era recluso. L’impatto fu travolgente. A Pound, Kenner dedicherà alcuni dei suoi libri più importanti come The Pound Era e The Poetry of Ezra Pound.
È proprio Kenner a sviscerare il ‘metodo’ traduttivo di Pound:
“Di solito, i traduttori si accontentano di prelevare la lingua inglese come l’hanno trovata, adattandola, semmai, alle necessità; soltanto Pound ha avuto l’audacia e la tenacia di creare una forma nuova, simile negli effetti all’originale, estendendo all’infinito i confini della lirica inglese… Per Pound tradurre non differisce, in sostanza, da qualsiasi altro lavoro poetico: il poeta comincia con l’immaginare, il traduttore con il leggere – ma tale lettura è pari a una visione… Il poeta assorbe nel sangue l’atmosfera del testo, che sia di Cavalcanti o di Li Po, prima di poterlo rendere con autorità; quando lo ha fatto, ciò che ne segue è una sua poesia tracciata sui contorni della poesia che ha di fronte. Non si tratta di tradurre le parole. Le parole conducono il poeta a ciò che esprime: una derelitta navigazione in mare o il culto dei fiori del susino o la sensibilità che attesta l’anatomia d’amore secondo gli stilnovisti. Visto che non traduce le parole, può discostarsi da esse se lo confondono, se disperdono il senso del testo nella sua lingua… L’omaggio poundiano consiste dunque nel prendere il poeta come una guida entro i regni segreti dell’immaginazione. Il lavoro che precede la traduzione è allora anzitutto critico, nel senso poundiano del termine, come penetrazione del senso e del sentire dell’autore”.
Concetti astrali, che prevedono un individuo – e la lotta di tale individuo – in un tempo che predilige burocrati e una ‘scienza’ della traduzione, in vitro. Per capirci meglio, Kenner parla delle traduzioni di Pound da Confucio – non presenti nel volume – paragonandole a quelle di Arthur Waley, insigne sinologo:
“Arthur Waley ci fa percepire un saggio ricamato su arazzo, a offrirci i suoi alti insegnamenti… in Pound chi parla è invece un uomo, vivo, oggi, che si esprime come noi… A distanza di ventiquattro secoli, Confucio stimola Pound al dialogo e Pound, ventiquattro secoli dopo, presta la sua voce a Confucio”.
In questo senso, le traduzioni che qui si presentano sono ‘poundiane’: scendono lungo lo stesso rivo, ma ogni tanto si fermano presso un verbo-libellula o un canneto di aggettivi. Facciamo a Pound ciò che egli ha fatto ai suoi poetici lari. In questo scintillio di fraintesi, forse, appare per draghi l’ombra del vero.
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Da alcuni testi geroglifici egizi
Conversazioni a corte
(Dalle versioni di Boris de Rachewiltz)
LUI DICE:
Tu sola, mio prezioso, nessuno può duplicarti più bella di ogni altra donna luminosa, perfetta, stella che sboccia nel nuovo anno, beneaugurale, splendida nel candore fascino emani ad ogni sguardo. Le labbra un incantesimo il collo della giusta ampiezza i seni sono una meraviglia; i capelli pari a lapislazzuli le braccia più splendide dell’oro. Le dita sembrano petali del fior di loto – i fianchi modellati secondo armonia le gambe mi soggiogano. Nobile il camminare il mio cuore è suo schiavo appena mi abbraccia. Chiunque si volta per guardarla: la fortuna arride al giovane che può giacere con lei. Deo mi par esse e ogni occhio continua a immaginarla anche quando sparisce dalla vita: perché lei è la sola dea inequivocabilmente.
LEI DICE:
La sua voce inquieta il cuore lo ascolto e soffro: è tanto vicino, madre, ma non posso andare da lui non dovrei arrabbiarmi?
MADRE:
Smettila di parlare di lui il suo pensiero mi disgusta.
LEI:
Sono in prigione perché lo amo.
MADRE:
Ma è soltanto un ragazzo senza cervello.
LEI:
Sono come lui: folle perché voglio baciarlo e lui non lo sa. Possa la dorata dea forgiarmi e fare di lui il mio destino. Vieni dove posso vederti a tutti piace fare festa per te.
Il mio cuore è fuori asse non posso truccarmi gli occhi e svelare il mio segreto.
Non fare il folle, mio cuore. Perché sei così idiota? Siediti e lui verrà da te. Il mio addestramento non permetterà alla gente di malignare:
quella ragazza è folle d’amore. Ricorda: resta ferma immota, non fuggire – fatto preda e assalitrice.
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Inscriptio Fontis
da Andrea Navagero (1483-1529)
Ecco! La fontana e fresca e nulla avvelena le acque. Verde è la terra, intorno, soffice d’erba e i rami dell’olmo proteggono dal sole.
Non esiste luogo più bello ristorato da brezze leggere anche quando Titano è in fiamme tiene l’elsa del cielo e i campi ardono, aridi, soverchiati dalla stella.
Fermati, viaggiatore, perché è tremendo a quest’ora il caldo; i tuoi piedi stanchi non possono andare oltre. Balsamo per la tua stanchezza sia sdraiarsi qui balsamo contro il caldo i venti e la verde ombra! La fontana placherà la tua sete.
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Alcune poesie di Kabir
(Dalla versione inglese di Kali Mohan Ghose)
I
La primavera sboccia: chi mi aiuterà a trovare l’amata – l’amata: come potrei descrivere la bellezza di chi dalla bellezza è sommersa? Quel tratto tratteggia l’intero universo – corpo e mente dimentichi di sé smarriti in quella bellezza. Chi capisce ciò che dico ha per premio la primavera – indicibile è il suo senso. Dice Kabir: rari quelli che questo mistero conoscono.
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II
Il mio amato è sveglio: come potrei continuare a dormire? Giorno e notte mi pretende, ma invece di rispondere alla sua chiamata gioco alla ragazza spudorata, che vive con uno e con molti. Dice Kabir: mia confidente, non è possibile incontrarsi davvero se amore è assente.
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III
Lo ammetto, sono pazzo d’amore: è lecito o sacrilego? Non m’importa di morire nel deserto perché colui che amo è dentro di me. L’amato non si separa mai da me né io da lui. Perché dunque sono irrequieto? La mia mente balla di gioia danza e arde di follia. Giorno e notte suona l’amore e nessuno può ignorarlo. Rahu, l’eclissi, Ketu Testa di Dragone: i nove pianeti danzano, Vita e Morte danzano, folli per Ananda. Danzano le montagne e gli oceani il Grande Universo danza tra lacrime e risa. Perché abbandoni il “mondo” tu, con il tilaka che ti buca la fronte? Mentre la mia mente danza tra le mille fasi della luna, anche il Signore del creato trova bello ballare.
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Da Arthur Rimbaud
Cabaret Vert
Scarpe consumate, ottavo giorno su sentieri spappolati eccomi a Charleroi. Pane, burro al Cabaret Vert e un tozzo di prosciutto freddo.
Ho stiracchiato le gambe guardavo quei complici arazzi quando la ragazza dalle tette grosse e gli occhi scaltri
Avida di baciare uno e l’altro e l’altro non mi ha portato burro, pane e il suo sorriso – e prosciutto tiepido su un piatto colorato
Prosciutto rosa, grasso bianco e un ramo d’aglio – un bicchiere di spumosa birra resa oro dal sole di quel giorno.
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Cacciatrici di pidocchi
Quando la fronte del bimbo pullula di rossi tormenti e implora sciami di sogni dal vago idioma, arrivano nella sua stanza le due sorelle grandi, fascinose, dalle dita agili e le unghie argentate.
Mettono il bimbo presso la finestra spalancata dove un fascio di fiori sbatte nell’aria blu: corrono raffinate, magnetiche, terribili le dita nei suoi folti capelli labirintici.
Ode il fruscio dei loro timidi respiri fioriti come roseo miele tra le verze o spaccati, rapidi, sibilanti, cobra saliva abbozzata sulle labbra, che desidera baciare.
Senza battere le ciglia nere in quella quiete “Crack!” sbriciolano la sua ubriaca indolenza: sotto le dita elettriche, morbido assalto di morte, i pidocchi, eccoli, a un passo dalle regali unghie.
Oh! dentro di lui monta il Vino del Nulla – i sospiri lo portano al delirio – il bambino sotto quelle caute carezze, sente la voglia di piangere che monta – svanisce.
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Autunno
Da Saturno Montanari (1918-1941)
Autunno, foglie scosse dal vento la pioggia è logora si accalca sulle cime.
Senza meta, vagabondo – la tristezza cammina oltre la strada cupa: cavalli gravi dal carico.
Un ronzio, la notte si rinnova vuota: l’Ave Maria non è pregare.
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Notte dietro le persiane
Quando la luce va, gli uomini serrano dietro le persiane la loro vita: muoiono per una notte.
Ma ancora oltre vetri e sbarre alcuno sognano un tramonto selvaggio aspettano le stelle.
Chiamateli, quei radi cantori: per loro la voce della speranza è lievito.