13 Gennaio 2024

“Non fare il folle, mio cuore”. Ezra Pound tra Rimbaud e l’antico Egitto

L’ala, a decoro della prima edizione del libro, dice una cosa buona&giusta. “Questo libro ha un ulteriore valore. Lo studio delle traduzioni di un autore permette di comprendere meglio la sua opera originale. Le traduzioni sono, di per sé, opere poetiche di grande bellezza”. Era il 1953 e la New Directions di James Laughlin, a New York City, pubblicava The Translations of Ezra Pound.

La data è importante. Pound è al St. Elizabeth’s di Washington, recluso, da otto anni. Continuano a crederlo pazzo. Il Premio Bollingen conferitogli nel ’48 non ammanta di candore la sua nomea: Pound resta agli occhi dei più la “belva idrovora” degna di essere inchiavata “in una gabbia di metallo”, come scrisse Indro Montanelli in un possente ricordo (era il 1971, sul “Corriere della Sera”; ora in: Ezra Pound, È inutile che io parli. Interviste e incontri italiani 1925-1972, De Piante, 2021). James Laughlin – antico discepolo di Pound – con quel libro di translations vuole dimostrare che ‘Ez’ è uno e molteplice, contiene mondi. La gabbia è ridicola per un poeta che, tra le dita, raduna il genio d’Occidente e la sapienza d’Oriente.

In quegli anni, Alfredo Rizzardi traduce, in Italia, i Pisan Cantos, mentre Pound completa la traduzione degli Analecta di Confucio.

Il poeta – criterio poundiano capitale – è colui che si forgia una tradizione da sé – che tempera la Storia al proprio cuore, il natio con l’abbrivio del vagabondo. A ‘Ez’ bastavano – altezza cronologica critica: 1949 – Confucio e Mencio, l’Odissea, i tragici greci, la Divina Commedia e Brooks Adams. Soprattutto, intimava i propri discepoli di sgranchirsi lo stile, di raffinare le proprie pretese linguistiche traducendo. Un poeta è tale perché con foga – cioè: senza giustizialismo esegetico, da frontaliere della lingua, da contrabbandiere – traduce, rifà, si rifonda, affonda.

Dimmi cosa traduci e ti dirò cosa scriverai, dimmi come traduci e capirò chi sei. Di Pound, ad esempio, sappiamo che le traduzioni, ancestrali, delle poesie classiche cinesi (Cathay, 1915) e dell’antico teatro giapponese (Certain Noble Plays of Japan, 1916) sono state fondamentali per strutturare i Cantos; così come l’incontro con gli stilnovisti, i provenzali, Dante e Cavalcanti (The Spirit of Romance, 1910). La bellezza di quel tomo di translations sta nel principio che raccoglie tutto il resto: le traduzioni occasionali, le fiammate improvvise, le relazioni imprevedibili. Così, ad esempio, ritroviamo Certain Poems of Kabir – in origine: “The Modern Review”, n.6, January 1913 – una selezione di versi dal canzoniere del grande poeta mistico indiano vissuto nel XV secolo; oppure una scelta di poesie da Rimbaud – Rimbaud by Ezra Pound sarà un titolo Scheiwiller del 1957 – e dal misconosciuto Saturno Montanari – le cui Poesie sono state riprese da Mimesis nel 2022 e raccolte in Ritorna Età dell’Oro, formidabile libro del 1996, edito da Raffaelli, dove sono antologizzati i “Ritmi della poesia d’Italia scelti o volti in inglese da Ezra Pound”.

Nello stesso tomo – che disparata vitalità – appaiono un poema dell’antico Egitto – ricevuto dall’egittologo ed esoterista Boris de Rachewiltz, marito della figlia di ‘Ez’, Mary – e una straordinaria “iscrizione” di Andrea Navagero, letterato veneziano, ambasciatore della Repubblica in Spagna, vissuto nel XVI secolo; i versi di Orazio si mescolano a quelli di Catullo e di Rutilio Namaziano, di Laforgue e Guinizzelli, di Leopardi e di Oscar Vladislas de Lubicz-Milosz. Le scelte degli autori sono sempre particolari, portano fuorivia, indottrinano al disincanto e alla dispersione. Pound governa sull’impero delle proprie particolari ossessioni linguistiche.

Il libro – “aggiornato” nel 1964 come Ezra Pound: Translations; ma siamo già a diverse temperature cronologiche: Pound, in Italia dal ’58, recinto nel mutismo, ormai “appartiene ad altre età” (ancora Montanelli) – è stato costruito e voluto da Hugh Kenner, critico canadese, fedelissimo al ‘modernismo’ (nel suo carniere, spiccano libri su James Joyce, Samuel Beckett, T.S. Eliot, Wyndham Lewis). Poco più che ventenne, nel 1948, Kenner era stato accompagnato da un suo noto prof, Marshall McLuhan, a trovare Pound nel manicomio criminale in cui era recluso. L’impatto fu travolgente. A Pound, Kenner dedicherà alcuni dei suoi libri più importanti come The Pound Era e The Poetry of Ezra Pound.

È proprio Kenner a sviscerare il ‘metodo’ traduttivo di Pound:

“Di solito, i traduttori si accontentano di prelevare la lingua inglese come l’hanno trovata, adattandola, semmai, alle necessità; soltanto Pound ha avuto l’audacia e la tenacia di creare una forma nuova, simile negli effetti all’originale, estendendo all’infinito i confini della lirica inglese… Per Pound tradurre non differisce, in sostanza, da qualsiasi altro lavoro poetico: il poeta comincia con l’immaginare, il traduttore con il leggere – ma tale lettura è pari a una visione… Il poeta assorbe nel sangue l’atmosfera del testo, che sia di Cavalcanti o di Li Po, prima di poterlo rendere con autorità; quando lo ha fatto, ciò che ne segue è una sua poesia tracciata sui contorni della poesia che ha di fronte. Non si tratta di tradurre le parole. Le parole conducono il poeta a ciò che esprime: una derelitta navigazione in mare o il culto dei fiori del susino o la sensibilità che attesta l’anatomia d’amore secondo gli stilnovisti. Visto che non traduce le parole, può discostarsi da esse se lo confondono, se disperdono il senso del testo nella sua lingua… L’omaggio poundiano consiste dunque nel prendere il poeta come una guida entro i regni segreti dell’immaginazione. Il lavoro che precede la traduzione è allora anzitutto critico, nel senso poundiano del termine, come penetrazione del senso e del sentire dell’autore”.

Concetti astrali, che prevedono un individuo – e la lotta di tale individuo – in un tempo che predilige burocrati e una ‘scienza’ della traduzione, in vitro. Per capirci meglio, Kenner parla delle traduzioni di Pound da Confucio – non presenti nel volume – paragonandole a quelle di Arthur Waley, insigne sinologo:

“Arthur Waley ci fa percepire un saggio ricamato su arazzo, a offrirci i suoi alti insegnamenti… in Pound chi parla è invece un uomo, vivo, oggi, che si esprime come noi… A distanza di ventiquattro secoli, Confucio stimola Pound al dialogo e Pound, ventiquattro secoli dopo, presta la sua voce a Confucio”.

In questo senso, le traduzioni che qui si presentano sono ‘poundiane’: scendono lungo lo stesso rivo, ma ogni tanto si fermano presso un verbo-libellula o un canneto di aggettivi. Facciamo a Pound ciò che egli ha fatto ai suoi poetici lari. In questo scintillio di fraintesi, forse, appare per draghi l’ombra del vero.

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Da alcuni testi geroglifici egizi

Conversazioni a corte

(Dalle versioni di Boris de Rachewiltz)

LUI DICE:

Tu sola, mio prezioso, nessuno può duplicarti
più bella di ogni altra donna
luminosa, perfetta,
stella che sboccia nel nuovo anno, beneaugurale,
splendida nel candore
fascino emani ad ogni sguardo.
Le labbra un incantesimo
il collo della giusta ampiezza
i seni sono una meraviglia;
i capelli pari a lapislazzuli
le braccia più splendide dell’oro.
Le dita sembrano petali
del fior di loto – i fianchi
modellati secondo armonia
le gambe mi soggiogano.
Nobile il camminare
il mio cuore è suo schiavo
appena mi abbraccia.
Chiunque si volta per guardarla:
la fortuna arride al giovane
che può giacere con lei.
Deo mi par esse
e ogni occhio continua a immaginarla
anche quando sparisce dalla vita:
perché lei è
la sola dea
inequivocabilmente.

LEI DICE:

La sua voce inquieta il cuore
lo ascolto e soffro:
è tanto vicino, madre,
ma non posso andare da lui
non dovrei arrabbiarmi?

MADRE:

Smettila di parlare di lui
il suo pensiero mi disgusta.

LEI:

Sono in prigione perché lo amo.

MADRE:

Ma è soltanto un ragazzo senza cervello.

LEI:

Sono come lui: folle
perché voglio baciarlo
e lui non lo sa.
Possa la dorata dea
forgiarmi e fare di lui
il mio destino.
Vieni dove posso vederti
a tutti piace fare festa per te.

Il mio cuore è fuori asse
non posso truccarmi gli occhi
e svelare il mio segreto.

Non fare il folle, mio cuore.
Perché sei così idiota? Siediti
e lui verrà da te. Il mio addestramento
non permetterà alla gente di malignare:

quella ragazza è folle d’amore.
Ricorda: resta ferma
immota, non fuggire –
fatto preda e assalitrice.

*

Inscriptio Fontis

da Andrea Navagero (1483-1529)

Ecco! La fontana e fresca
e nulla avvelena le acque.
Verde è la terra, intorno,
soffice d’erba
e i rami dell’olmo
proteggono dal sole.

Non esiste luogo più bello
ristorato da brezze leggere
anche quando Titano è in fiamme
tiene l’elsa del cielo
e i campi ardono, aridi,
soverchiati dalla stella.

Fermati, viaggiatore, perché
è tremendo a quest’ora il caldo;
i tuoi piedi stanchi non possono
andare oltre. Balsamo per la tua
stanchezza sia sdraiarsi qui
balsamo contro il caldo i venti
e la verde ombra!
La fontana placherà la tua sete.

*

Alcune poesie di Kabir

(Dalla versione inglese di Kali Mohan Ghose)

I

La primavera sboccia:
chi mi aiuterà a trovare
l’amata – l’amata: come potrei
descrivere la bellezza di chi
dalla bellezza è sommersa?
Quel tratto tratteggia l’intero
universo – corpo e mente
dimentichi di sé
smarriti in quella bellezza.
Chi capisce ciò che dico
ha per premio la primavera –
indicibile è il suo senso.
Dice Kabir: rari quelli che questo mistero conoscono.

*

II

Il mio amato è sveglio: come potrei
continuare a dormire? Giorno e notte
mi pretende, ma invece di rispondere
alla sua chiamata gioco alla ragazza
spudorata, che vive con uno e con molti.
Dice Kabir: mia confidente, non è possibile
incontrarsi davvero se amore è assente.

*

III

Lo ammetto, sono pazzo d’amore:
è lecito o sacrilego? Non m’importa
di morire nel deserto perché colui
che amo è dentro di me. L’amato
non si separa mai da me né io da lui.
Perché dunque sono irrequieto?
La mia mente balla di gioia
danza e arde di follia.
Giorno e notte suona l’amore
e nessuno può ignorarlo. Rahu, l’eclissi,
Ketu Testa di Dragone: i nove pianeti
danzano, Vita e Morte danzano, folli
per Ananda. Danzano le montagne e gli oceani
il Grande Universo danza tra lacrime e risa.
Perché abbandoni il “mondo”
tu, con il tilaka che ti buca la fronte?
Mentre la mia mente danza tra le mille fasi
della luna, anche il Signore del creato
trova bello ballare.

**

Da Arthur Rimbaud

Cabaret Vert

Scarpe consumate, ottavo giorno
su sentieri spappolati eccomi a Charleroi.
Pane, burro al Cabaret Vert
e un tozzo di prosciutto freddo.

Ho stiracchiato le gambe
guardavo quei complici arazzi
quando la ragazza dalle tette grosse
e gli occhi scaltri

Avida di baciare uno e l’altro e l’altro
non mi ha portato burro, pane e il suo sorriso –
e prosciutto tiepido su un piatto colorato

Prosciutto rosa, grasso bianco e un ramo
d’aglio – un bicchiere di spumosa birra
resa oro dal sole di quel giorno.

*

Cacciatrici di pidocchi

Quando la fronte del bimbo pullula di rossi tormenti
e implora sciami di sogni dal vago idioma,
arrivano nella sua stanza le due sorelle grandi,
fascinose, dalle dita agili e le unghie argentate.

Mettono il bimbo presso la finestra spalancata dove
un fascio di fiori sbatte nell’aria blu:
corrono raffinate, magnetiche, terribili
le dita nei suoi folti capelli labirintici.

Ode il fruscio dei loro timidi respiri
fioriti come roseo miele tra le verze
o spaccati, rapidi, sibilanti, cobra saliva
abbozzata sulle labbra, che desidera baciare.

Senza battere le ciglia nere in quella quiete
“Crack!” sbriciolano la sua ubriaca indolenza:
sotto le dita elettriche, morbido assalto di morte,
i pidocchi, eccoli, a un passo dalle regali unghie.

Oh! dentro di lui monta il Vino del Nulla –
i sospiri lo portano al delirio – il bambino
sotto quelle caute carezze, sente la voglia
di piangere che monta – svanisce.

**

Autunno

Da Saturno Montanari (1918-1941)

Autunno, foglie
scosse dal vento
la pioggia è logora
si accalca sulle cime.

Senza meta, vagabondo –
la tristezza cammina oltre
la strada cupa:
cavalli gravi dal carico.

Un ronzio, la notte
si rinnova vuota:
l’Ave Maria
non è pregare.

*

Notte dietro le persiane

Quando la luce
va, gli uomini serrano dietro
le persiane la loro vita:
muoiono per una notte.

Ma ancora
oltre vetri e sbarre
alcuno sognano un tramonto selvaggio
aspettano le stelle.

Chiamateli, quei radi
cantori: per loro
la voce della speranza è lievito.

Gruppo MAGOG