In origine fu il Giappone. Nel 1917, in previsione della pubblicazione dei Three Cantos su “Poetry”, Ezra Pound invia una lettera ad Harriet Monroe. Il “tema” del suo immane poema, le confessa, “ricalcherà grosso modo quello di Takasago”, dramma del teatro Nō ideato dal sommo Zeami (1363 ca.-1443 ca.). Pound aveva scoperto i sortilegi dell’arte giapponese tramite i manoscritti di Ernest Francisco Fenollosa (1853-1908), insigne orientalista, professore di filosofia ed economia politica presso l’Università imperiale di Tokyo, convertitosi al buddismo. La moglie di Fenollosa, Sidney McCall, americana, poetessa, audace, divenuta vedova donò i testi del marito a Ezra Pound. Si erano conosciuti a Londra, aveva riconosciuto in lui il lignaggio del poeta, dell’ossesso. Pound, come si sa, si impegnò, con il consueto esorbitante entusiasmo, a tradurre i testi di Fenollosa: le raccolte degli antichi poeti cinesi confluiscono in Cathay (1915), il teatro giapponese sarà pubblicato in Certain Noble Plays (1916) e “Noh”, or, Accomplishment: A Study of the Classical Stage of Japan (1917); The Chinese Written Character as a Medium for Poetry (1936) costituisce, come si sa, il nucleo della poetica di Pound, che voleva estorcere le parole di verbo, snervarle fino all’ideogramma e farne immagini, vortici, grotte, giaguari.
Quando comincia a lavorare ai Cantos, Pound è nel pieno della fascinazione per il teatro giapponese: crede che il Nō – ovvero: immagini sintetiche, ritualità, segno & gesto, sapienza religiosa e politica – costituisca la chiave di volta per la sua ricerca. Imagismo e vorticismo – le due avanguardie, di fatto, fondate da Pound – sono la prima appariscente evidenza della traduzione del Nō nel canone anglofono. Come Van Gogh era stato suggestionato da Hokusai, così Pound fu influenzato da Zeami. Più tardi, preferì Confucio.
Ecco come Pound racconta l’arte del Nō trapiantandola in Occidente:
“Il Nō è indubbiamente un’arte elevatissima e, con tutta probabilità, una delle più recondite. Nell’ottavo secolo della nostra era i dilettanti della corte giapponese istituirono il rito del tè e il giuoco dell’«ascoltare l’incenso bruciato». Nel quattordicesimo secolo sacerdoti, corte e attori insieme crearono un dramma di analoga raffinatezza. Per «ascoltare l’incenso bruciato» la compagnia si divideva in due e un arbitro bruciava diverse specie e diverse mescolanze di profumi; il giuoco consisteva non solo nel saperli distinguere, ma nel dare a ciascuno un nome distinto e significativo, che richiamasse qualche evento storico o qualche passo di un romanzo o di una leggenda. Una raffinatezza, in epoca barbara, paragonabile all’arte della rima polifonica sviluppatasi nella Provenza feudale quattro secoli più tardi e ormai quasi del tutto dimenticata. L’arte dell’allusione, o l’amore dell’allusione nell’arte, è alla radice del Nō. Queste opere, o testi drammatici, erano composte solo per i pochi, per i nobili, per coloro cioè in grado di capire l’allusione. Alla base del Nō troviamo una danza religiosa o qualche leggenda locale di apparizioni di spiriti, o, più tardi, gesta eroiche e fatti storici. Non è arte mimica, bensì una splendida fusione di canto e di recitativo, di atteggiamenti simbolici intrecciati nella danza. Impossibile darne un’idea adeguata per iscritto… Trovo queste parole meravigliose, nonostante la difficoltà di presentarle: esse divengono intelligibili quando, a dire di un amico, «si leggono come si ascoltasse musica»”.
Il testo, passato in Italia come Il teatro giapponese Nō per Vallecchi nel 1966, nella traduzione di Mary de Rachewiltz, è svanito da tempo dal consesso editoriale: sarà ripreso dalle edizioni Pangea / Magog.
Resta, tuttavia, il breve mistero. Il testo che Pound cita ad Harriet Monroe, Takasago, “il vero cuore del teatro Nō, dramma dalla struttura impeccabile, divenuto norma” (Pound), che dovrebbe costituire lo scheletro dei Cantos, non è raccolto nei repertori pubblicati dal poeta. Rimane residuo, in stadio manoscritto, inviato ad Alice Corbin Henderson (1881-1949), poetessa, assistente della Monroe nella gestione di “Poetry”. Il testo – di cui diamo traduzione qui sotto – è stato scoperto nel 1993, con la pubblicazione, a cura di Ira B. Nadel per la University of Texas Press, delle Letters of Ezra Pound to Alice Corbin Henderson.
Takasago è un dramma nitido e allusivo, sacro. Racconta di un sacerdote shintoista che durante un pellegrinaggio incontra due anziani: a loro chiede ragione della longevità dei leggendari pini di Takasago. Il dramma trae la trama dalla celebre prefazione al Kokin Waka shu, la “Raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne”, stilata nel X secolo, in cui Ki no Tsurayuki scrive: “Nel pino di Takasago e di Suminoe si riconosce il compagno di una vita”. Il pino raffigura la vecchiaia, la saggezza, una sorta di leggendaria leggiadria, lo stigma della solitudine; così recita una delle più note poesie del Kokin Waka shu:
“Chi mai potrei chiamare
ormai mio compagno?
Neppure il pino di Takasago,
per quanto sia annoso,
è un amico di vecchi tempi…”.
Zeami, in realtà, ribalta e riabilita i sentimenti: i pini di Takasago simboleggiano l’amore imperituro, oltre il tempo, sono l’icona di un canto nobile. “Nonostante ci separino… le vie dell’amore ci rendono una cosa unica”, dice la vecchia, rimproverando il sacerdote, ignaro dei labirinti del sentire e del patire. Il tema del dramma non poteva che conquistare Pound: si insegna che la serenità del cuore coincide con il giusto regno, che l’unione familiare è specchio di quella dello stato; che etica e politica, amore e governo seguono una stessa via; che si è soltanto amando. Si suggerisce, tra l’altro, che la poesia va scovata nel gorgoglio del vento, nel sussurrare degli alberi, nel ritrarsi della marea.
L’afflato d’amore di Takasago, le atmosfere di quel dramma che raduna “le voci di tutte le cose che hanno un cuore”, ritorna in Pound molti anni dopo, nei Cantos terminali, frammentari, che incagliano in commozione travolgente: “E la verità sta nella tenerezza”; “Se in casa l’amore manca, manca tutto”; “Chi ho amato cerchi di perdonare/ quello che ho costruito”.
Ovunque, spezzato, il canto dell’amore imperituro.
***
Takasago
Il sacerdote: Mi chiamo Tomonari, sacerdote del tempio shintoista di Aso, nella provincia di Hijo, nel Kinshu. Non ho mai visto prima la capitale: lì sono diretto. Intanto, farò visita a Takasago.
Ho navigato lungo il placido oceano primaverile e Takasago, che pensavo distante, tra le nubi, è davanti a me.
Un vecchio e una vecchia, insieme: Venti di primavera scuotono i pini di Takasago. È il crepuscolo. Risuona la campana di Onoye.
Tsure (la vecchia): Onde foderate di nebbia.
Insieme: Ritmo della marea.
Il vecchio: Chi mi sarà amico? Nemmeno il pino sa chi sono. I giorni sono trascorsi ed è stato come falciare la neve, come radunare covoni di neve. Non sono che una vecchia cicogna sopra un nido nudo, all’alba. Nelle fredde sere di primavera, il vento scuote i pini. Il cuore, mio unico amico.
Insieme: Oh, chiederemo ai pini notizie del mondo. Spazzeremo la polvere sotto la loro ombra, vivremo trapiantati tra gli aghi di pino, insieme, a Takasago. Il pino di Onoye è il più vecchio, la marea del tempo è grave, abbiamo vissuto e vissuto, ancora e ancora, sommersi dagli aghi di pino: quanto ancora ci è dato da vivere? Quanto vivrà questo pino?
Il sacerdote: Vagavo lungo il villaggio, quando ho visto questi anziani. Devo chiedere qualcosa al vecchio.
Il vecchio: Accenna a me; ci sono problemi?
Il sacerdote: Qual è l’albero più grande di Takasago?
Il vecchio: L’albero sotto cui stiamo spazzando.
Il sacerdote: Dimmi allora perché è chiamato “Ai-oi”? Perché tutti i pini di Takasago e di Suminoe sono chiamati “Ai-oi”? Sono luoghi molto distanti tra loro e quella parola significa “crescere insieme”.
Il vecchio: So cosa intendi. Chiunque nella prefazione del Kokin-waka-shu può leggere: “Sembra che i pini di Takasago e di Suminoe siano cresciuti insieme”, ma io vengo da Sumiyochi, è bene tu interroghi la vecchia, che è di quei luoghi.
Il sacerdote: Che strano: una coppia, insieme, eppure lui dice che vivono separati, dice che è di Sumiyochi!
La vecchia: Stai dicendo una stupidaggine. Benché una montagna e un fiume ci separino, le vie dell’amore ci rendono uniti, una cosa unica.
Il vecchio e la vecchia: I pini di Takasago e di Suminoe non respirano insieme eppure è detto che “crescono insieme”. Noi veniamo da Sumiyoshi e condividiamo con questi pini la longevità.
Il sacerdote: Vi credo, ma qual è la storia che volete raccontarmi?
Il vecchio: Come dicevano gli antichi, “Questo è il segno di un più felice regno”.
La vecchia: Takasago significa la vecchiaia dell’imperatore Manyoshu.
Il vecchio: Sumiyoshi è il segno della nostra era, Engi.
La vecchia: Gli aghi di pino sono parole inesauribili.
Il vecchio: La loro gloria è la medesima, in ogni stagione.
Insieme: Sono simboli creati per onorare il regno.
Il sacerdote: Vi ascolto e i miei dubbi sono come nuvole scalpitanti, a primavera.
Il vecchio: La luce è limpida sulle acque.
Il sacerdote: Certo, è limpida a Occidente, verso Suminoe.
Il vecchio: E perfino qui, a Takasago.
Il sacerdote: Il colore dei pini diventa più intenso.
Il vecchio: Il cielo di primavera…
Il sacerdote: …è pacifico…
Il coro:
Le onde dell’oceano sono quiete,
l’intero paese è ben governato
il vento non si annoda tra i rami:
questo è di certo un regno felice.
Felice come i pini che crescono insieme
come questa età che possiamo fissare
senza cingerla tra vane descrizioni:
generoso dono degli dèi.
Il sacerdote: Raccontatemi l’intera storia di Takasago.
Il coro: Benché l’erba e gli alberi non siano rovinati dai ricordi, hanno un tempo per sbocciare e riempirsi di frutti, possiedono le virtù della primavera solare e i primi fiori spuntano sui rami a meridione.
Il vecchio: La figura del pino è eterna, ma gli aghi e le pigne si colgono in una sola stagione, insieme, su un solo ramo.
Il coro: Il verde imperituro è più profondo della neve; dicono che il pino è in fiore una volta ogni mille anni.
Il vecchio: Ciò che desidero l’ho imparato dai pini.
Il coro: Gemme di rugiada sui rami di pino. Il mio cuore arde.
Il vecchio: Così accade a tutto ciò che ha vita.
Il coro:
Approssimati allo Shikishima
avvicinati all’isola dei versi
come una barca leggera sulle onde
Chaio, il poeta, ha detto nei giorni di Ichijo:
La voce di tutte le cose
le voci di ogni cuore vivente
verranno nell’isola dei versi
le voci di tutte le cose che hanno un cuore.
Accorreranno erba e alberi, sabbia e terra, venti e gorgoglii d’acqua, tutto ciò che ha un cuore nel verso. La foresta che ondeggia a Oriente saggiata dal vento di primavera, i grilli e le piccole bestie che ronzano in autunno, intorno alla rugiada del Nord, questa è la forma del nostro poema, in cui i pini primeggiano. Il cerimoniale dei diciotto principi, il verde di mille autunni, imperituro. L’imperatore decretò questo lignaggio, nobiltà di cui ogni paese riconosce il rito.
Il vecchio: Una campana risuona su Takasago, la campana di Onoye.
Il coro:
All’alba il gelo irradia dai rami
ma le foglie custodiscono il verde
ogni giorno
spazziamo lo spazio sotto i rami.
La caduta non ha fine. Eppure, il colore è sempre più profondo, segno di un regno duraturo. Il pino celebra la sua gloria. Il pino dona la gioia, e sono meravigliosi i pini che crescono insieme.