06 Marzo 2021

Sulla Giustizia: dialogo con Platone. Un testo di Ezio Savino

Siamo in un boschetto di platani e ulivi, tre chilometri a nord dell’acropoli di Atene. Il luogo è sacro ad Akàdemos, leggendario eroe difensore. È una zona tranquilla, privata. Si chiama Accademia. Il padrone di casa è Arìstocle, più noto come Platone, il “largo”. C’è chi dice che il soprannome si debba alle sue ampie spalle: era un atleta, un tempo. Oggi è un filosofo, di larghe vedute. Qui ha la sua cattedra. Ieri ha tenuto una lezione sull’Essere. Tra poco parlerà del Bene. Lo spazio è già gremito. Si aspettano grandi cose dalla conferenza. Ma intanto Platone è davanti a noi. Risponderà a qualche domanda su qualcosa che di questi tempi ci tiene sulla graticola: la Giustizia. Vanta due titoli capitali: la Repubblica, dieci libri in cui spiega il suo disegno di stato giusto, e le Leggi, lo scritto politico, la messa in pratica della dottrina.

Maestro, ci può dire il suo parere sulla Giustizia?

“Amico, vediamo di non partire con il piede sbagliato. Parere è una parola che ho abolito dal mio vocabolario. Somiglia troppo ad apparenza. E io ho dichiarato guerra a questa mostruosità. Non si fa molta strada, se ci si fida solo di ciò che appare. La via maestra è l’Essere, ciò che è: eterno, immutabile, semplice e, soprattutto, vero. Io lo chiamo Idea. Quanto ci circonda – alberi, terra, la nostra stessa carne – è una maschera vana, una melma barbarica. È roba travolta dal divenire. Mentre ne parliamo, è già diventata diversa, falsa, ingannevole. È come immergere la mano in un’acqua corrente. Non sarà mai la stessa. Non avremo mai certezze su queste banderuole fasulle. Dobbiamo aggrapparci all’Essere, all’Idea, nostra ancora di salvezza. Sul resto scoppiettano solo chiacchiere, panzane e interessate menzogne. Qui da noi, in Grecia, impazzano i Sofisti, ciarlatani imbonitori che incantano con le parole, funamboli dell’opinione. Ma anche da voi, nella vostra Roma, è tutto un gracidare di rane. Vi seccate la gola a furia di straparlare di riforme. Navigate dove vi porta il vento. Non avete un timone. La nave si governa con la ragione, con l’intelletto che scruta e discute le Idee. C’è un unico porto: la verità”.

D’accordo. Allora, qual è la sua verità sulla Giustizia?

“Partiamo da lontano. Amico, ti racconto un mito. Per me, il mito è un mezzo, non un fine. Non è ancora la verità: però funziona bene come strumento didattico, per far capire. Prometeo, un dio filantropo, rubò a Zeus il fuoco e a Ermes le tecniche, per donarle all’umanità, che sguazzava nell’ignoranza e nella miseria. Era un bel gesto, ma a doppio taglio. L’uomo si mise a sfruttare la natura, senza criterio. Fuse i metalli, cucinò i cibi, costruì mura e città. Si lasciò abbagliare dalle ricchezze. Tentò di aggregarsi in comunità e stati. Ma la convivenza non era facile. Sete di potere, invidie e rapine innescavano dinamiche distruttive. Zeus decise allora di rilasciare altri due doni: il rispetto per i simili, e la giustizia. Ermes, incaricato della distribuzione, non sapeva come fare. Con le tecniche era stato facile. Prendiamo la medicina. Non l’aveva sparsa a pioggia: l’aveva data ai più capaci, che la usavano in favore del prossimo. Si poteva usare la stessa tattica con la giustizia? Zeus corresse il tiro. La giustizia doveva essere una virtù a statuto speciale, toccava a tutti senza distinzione, pena la dissoluzione dello stato. È chiaro? Il mito rivela che senza giustizia non esiste stato: la politica degenera in guerra sporca, il malaffare di pochi profittatori”.

Chiaro. Ma quali sono natura ed essenza della Giustizia?

“Cominciamo da ciò che la Giustizia non è, e non può essere. Qualcuno la definisce il diritto del più forte. In questa visione, le leggi sarebbero il codardo scudo dei deboli, escogitato per arginare lo strapotere di pochi. O, nel caso peggiore, di uno solo: il tiranno, che è invece il più sventurato e infelice degli uomini. Succede così tra le belve brute, e questo dimostra che il teorema è sbagliato per l’uomo. Altri la vedono come la facoltà, per ciascuno, di fare ciò che vuole. È il relativismo senza freni, l’impero del piacere, la democrazia polverizzata che sfocia nell’anarchia. Se fosse così, ciò che è giusto per uno, sarebbe iniquo per un altro. Noi invece sappiamo che l’Idea – e la Giustizia è Idea – è il trionfo completo dell’essere: identica a se stessa, autentica sempre, universale. Non può sgorgare dall’oscuramento della ragione. Tratteggiando i suoi contrari, già profiliamo l’identità della Giustizia. È ciò che compatta lo stato. Se sgretola e squarcia, non è giustizia”.

Da dove si comincia per riformare la Giustizia?

Dalle anime. L’anima è l’Idea che s’incarna. Mi piace immaginarla come una biga che sfreccia in cielo, trainata da due cavalli. Il bianco punta in alto, alla purezza delle Idee; il nero in basso, alla palude della terra. L’auriga, che è la ragione, li mette in riga. Se la traiettoria resta lineare, l’uomo è giusto. Un insieme di giusti fa lo stato giusto. Il cittadino sa qual è il suo posto. Lo presidia, come un coraggioso soldato. Allora tutto gira come le stelle e i pianeti in cielo. La Giustizia è armonia: le parti cessano di essere tali, diventano un tutto, un uno. Educare le anime è il pilastro della giustizia. La scuola è il suo laboratorio e il suo santuario. Il programma è semplice: insegnare l’Essere, il Bene. Come il sole splende in cielo e rende tutto chiaro e visibile, l’Essere e il Bene danno vigore allo stato”.

E i giudici?

“Guardiani delle leggi. Scelti tra i migliori, con elezioni e controlli che vanificano trucchi e interessi di parte, sempre in agguato. Se sbagliano, pagano. Uno stato in cui non ci siano tribunali istituiti nel modo dovuto non è uno stato. Conclusione: fin quando i re non diventano filosofi, o i filosofi re, lo stato sarà sempre una navicella in gran tempesta. E non scriva che è un’utopia. Io, Platone, ho lo sguardo rivolto al cielo, ma i piedi ben piantati per terra. La politica è la mia vera passione. Che la Giustizia sia con voi”.

Ezio Savino

*Per gentile concessione di Beatrice Savino pubblichiamo questo testo di Ezio Savino, straordinario grecista (memorabili le versioni da Eschilo e Sofocle, ha tradotto Tucidide e Aristofane e, per Mondadori e Garzanti, Platone), eccezionale divulgatore dei ‘classici’, finora inedito.

*In copertina: Peter Paul Rubens, Prometeo incatenato, 1612 ca.

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