08 Giugno 2018

Evviva, c’è vita su Marte! Gli scienziati si eccitano e gli immobiliaristi esultano. Che tenerezza: preferiamo un bruco marziano al solito brulichio di umani su un pianeta che ci sta stretto

La parola marziano è il chiodo che scandisce la nostra inquietudine. Marziano significa che viene da Marte, dal ‘pianeta rosso’, di rubina lontananza. Nominato come il dio della guerra, rosso e roso di rabbia, il nostro immaginario l’ha abitato di extraterrestri – marziani, appunto – piuttosto incazzati, pronti, surfando lungo il cosmo, a farci un mazzo così. Da La guerra dei mondi di H.G. Wells alle urla altisonanti di Orson Welles via radio – il programma s’intitolava, appunto, War of the Worlds – i marziani sono, comunque, suprema sintesi di sadica brutalità. La situazione cambia un poco con due capolavori del ‘genere’, Cronache marziane di Ray Bradbury e Le sabbie di Marte di Arthur C. Clarke, ma non cambia l’utopia fondamentale: su Marte è possibile vivere, su Marte c’è la vita. Durante un volo transoceanico – 13 ore, cibo aereo osceno, imbottito di sonnifero ne sono certo (altrimenti per caustica claustrofobia la gente si getterebbe dagli oblò o darebbe di matto) – rintronato dal microschermo appiccicato sul sedile di quello davanti. Mi sono sorbito l’ultima – piuttosto pallosa – variazione ‘marziana’. The Martian. 2015, firma Ridley Scott, recita Matt Damon, che come una specie di Robinson Crusoe cerca di sopravvivere su Marte. Desolazione arrossata. Deserto che pietrifica ogni sogno di vita extraterrestre. Da lassù il blu della Terra è lussuria. Ora. La notizia che sento via radio, stamane, ha il rimbombo di una invasione aliena. C’è vita su Marte! Dice la conduttrice, con marziana, anzi, marziale euforia. No. Non hanno trovato unicorni sul pianeta rosso, né i frammenti di un casco dei conquistadores spagnoli, finiti per caso, cercando El Dorado, su Marte. La Nasa ha scoperto delle molecole. A scoprirle, a dire il vero, è il robot cingolato, Curiosity – un nome da cartoon – spedito a scorrazzare sul pianeta rosso. Bene. Le molecole, scrive Science, “si sono conservate nell’argillite di origine lacustre alla base della formazione Murray, antica 3,5 miliardi di anni”. Sono molecole, si dice, che prevedono la possibilità di vita – o che hanno visto la vita. Viva. Ora gli ansiosi complottisti di teorie interstellari hanno il gancio. I marziani hanno costruito le piramidi, la torre di Babele, Atlantide ed El Dorado. Poi sono tornati su Marte a fare uno spuntino. E poi hanno colonizzato altre galassie – sono moltissime, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Anzi. Magari hanno scoperto l’invisibilità. E sono tra noi. E hanno costruito un parco acquatico tra la Terra e Marte. Mentre la conduttrice radiofonica era certa della vita su Marte, il New York Times è decisamente più sospettoso. Nell’articolo di Kenneth Chang, Life on Mars?, si dice che sì, forse quelle molecole sono l’emblema che vita fu, ma forse no, chissà. Lo sapremo, si presume, dal 2020, quando una missione congiunta di Nasa e Esa (Agenzia Spaziale Europea) manderà una trivella a perforare il suolo marziano. Forse dissotterreranno lo scheletro di Dante. La notizia, in realtà, fa molta tenerezza. Ci ostiniamo a convincerci che non siamo gli unici abitanti di una galassia desolata, pressoché inesplorata, che si snoda alla periferia di un cosmo incommensurabile. Non vogliamo essere gli unici. Questa dolorosa solitudine non ci appaga e preferiremmo un bruco marziano qualsiasi al brulichio immondo di questa vasta umanità berciante in un pianeta sempre troppo piccolo. Quanto al resto. La notizia, se accertata, eccita scienziati e immobiliaristi. Marte è il pianeta buono su cui costruire resort esclusivi, per ricchissimi. Gli altri, restino a marcire sulla Terra. (d.b.)

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